Ad Assisi la settimana scorsa l’assemblea dei vescovi ha discusso in seduta riservata la bozza di un documento sul Mezzogiorno che ha un paragrafo – il n. 9 – intitolato Una piaga profonda: la criminalità organizzata. Non conosco il contenuto perché la bozza non è stata data ai giornalisti, ma faccio una proposta alla commissione che la deve rivedere dopo le osservazioni dell’assemblea. Propongo che il documento faccia propria alla lettera questa affermazione contenuta nel paragrafo 12 della nota “Nuova evangelizzazione e pastorale” pubblicata nel 1994 dalla Conferenza episcopale siciliana: “La mafia appartiene, senza possibilità di eccezioni, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del maligno. Per questa ragione, tutti coloro che in qualsiasi modo deliberatamente fanno parte della mafia e ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, di essere fuori dalla comunione della sua Chiesa”. E’ la parola più schietta che sia stata detta fino a oggi sulla mafia da un gruppo di vescovi ed è ora – io credo – che abbia il sostegno di tutti.
Mafiosi operai del Maligno: una mia proposta alla Cei
26 Comments
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.
il mio di sicuro. Bravo, Luigi. Vediamo che succede…
Anche il mio. Certo questo è un discorso che apre molte questioni…Tutti naturalmente sono pronti a condannare in termini generali la mafia e i mafiosi. Ma poi se si parla di rapporti con la politica..be’ vengono fuori i nervi scoperti…
e anche qualche problema con uomini di chiesa…forse!
ma figurati Luigi! è il regno dei pavidi!
@don Mario
Purtroppo il dubitativo che anch’io avrei usato per pietà, non è applicabile almeno in questi casi.
Si tratta di una serie di fatti documentati e finiti con giudizi e condanne di giudici.
Al di là delle parti criminose sono messi in luce i fatti e le opere di preti coraggio.
E’, a mio avviso, un’interessante documento.
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=244056
Vangelo e Lupara 09/03/2008
Killer in crisi mistica, frati armati di lupara, assassini devoti alla Madonna: personaggi come Leonardo Vitale, Pietro Aglieri, padre Giacinto “il frate con la pistola” sono soltanto alcune delle tessere che vanno a comporre il tenebroso sodalizio, tutto isolano, tra credo cristiano e credo mafioso, veste talare e uomini d’onore. Ma, in Sicilia, la Chiesa è sopratutto quella dei “sacerdoti coraggio”, preti che ogni giorno combattono contro la mafia, lontani dalla ribalta, nel piccolo di una parrocchia di borgata. Questi uomini si radunano sotto la bandiera di due paladini dell’antimafia cattolica: il cardinale Pappalardo e padre Pugliesi.
Antonella Ferrera intervista Vincenzo Ceruso, autore di Le sagrestie di Cosa Nostra, edito da Newton Compton.
confiscati beni di don Coppola
sequestrati i beni di don Coppola Agostino, 56 anni, arrestato e condannato negli anni ‘ 70 per vari rapimenti e legato a boss mafiosi come Liggio e Riina. nel 1988 fini’ in carcere per associazione mafiosa
———–
@Marco don
concordo.
Saludus
intanto “le istituzioni” si cautelano …
http://www.avvisopubblico.it/news/avviso-pubblico-no-alla-vendita-dei-beni-confiscati_131109.shtml
Immagino di attirarmi un po’ di impopolarità, tuttavia credo che ci sia una certa dose di retorica in molte delle condanne ecclesiali della mafia, tranne che in quella forte, saggia e vera di Giovanni Paolo II, dai toni profetici: verrà il giorno del giudizio di Dio, a cui nessuno potrà sottrarsi. Ma chi oggi pensa in questi termini, che certo sono cristiani, ma forse un po’ troppo medioevali, come medievale è quel che disse un certo Francesco, da Assisi:
Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
A me sembra che in quelle parole di Francesco ci sia già tutto, ma certo non faccio i conti col senso del peccato che scarseggia sia nel normale fedele (dalla “famosa” casalinga di Voghera a quella di… Bagheria), sia in fedeli davvero anomali che credono di poter coniugare un culto esterno (sul foro interno non mi pronuncio) e forse superstizioso alla totale negazione della radice di quel culto, l’Amore. Da qui l’esigenza, politica e mediatica, di prendere le distanze da una malintesa religiosità di alcuni boss che rischia di gettare un’ombra inquietante sulla Chiesa. Non nego che, vivendo nello stesso humus sociale e culturale, talvolta l’infezione malavitosa e mafiosa abbia colpito anche uomini di Chiesa o ad essi vicini, ma questo è accaduto, accade e accadrà riguardo ad ogni male capace di sedurre l’uomo.
Lo vogliamo dire che chiunque uccide, sia l’uomo che la sua dignità, è fuori dalla vita di grazia? Non è che non mi renda conto che il vincolo associativo sia il segno di una scelta radicale per il male, è sicuramente così, ma il probema vero viene prima, è l’incapacità dell’uomo – particolarmente dell’uomo moderno – di avere il senso del male e, diciamolo, del peccato.
“I Vescovi hanno approvato la nuova edizione del Rito delle Esequie, libro che sarà pubblicato una volta ottenuta la prescritta autorizzazione (recognitio) della Sede Apostolica. È stata pure approvata la bozza della nota su Chiesa e Mezzogiorno, stabilendo che il documento sarà reso pubblico dopo l’ultima lettura rimessa al Consiglio Episcopale Permanente, che si riunirà nel mese di gennaio“: così nel comunicato sui lavori dell’assemblea della Cei, pubblicato oggi.
Gerry, qui non è solo un problema di omicidi e crudeltà efferate… è una questione di piccole, apparentemente innocue e “bonificate” scelte quotidiane, potenzialmente di tutti noi… con gradazioni di collusione alla malavità organizzata più o meno percepibili e consapevoli… perché tanto “così va il mondo”.
roba su cui ci autoassolviamo facilmente, come cristiani, e insieme, come Chiesa… un’operazione che facciamo in modo selettivo.
Concordo con la proposta.E mi chiedo: come mai vespa ha dato tanto spazio in TV ad uno come Cosentino?
Moralista, appunto, ci autoassolviamo, tutti (me compreso, anche se la mia sensibilità un po’ giansenista fa da freno).
Il problema non è la particolare efferatezza, ma l’incapacità di vedere e riconoscere il male, relativizzandolo. Quello che ho cercato di dire è che non serve una condanna morale (nel senso di sociologica o politica), condanna scontata ed alla quale (a parole) si uniscono tutti: quello che vorrei vedere, almeno tra chi cerca di vivere la fede, è la ricostruzione del senso e significato del male, per me e non per la società. Del peccato, per me, perché io sarò giudicato, non la situazione in cui vivo. Una ripulsa della mafia troppo sociologica e politica, che non sia conseguenza di un’adesione al progetto di amore di Dio e di allontanamento dal suo contrario mi appare – per i credenti – oltre che comoda, riduttiva.
ringrazio Luigi per aver messo l’accento su questo documento, che altrmenti mi sarebbe sfuggito. Come meridionale, napoletano afflitto -come tutti i napoletani che aborriscono la camorra e la politica che ne è parte integrante- che assiste allo scempio di una delle più belle e culturalmente ricche città del mondo, non posso che essere toccato da quanto dice la CEI.
Per fortuna c’è una Chiesa che non giustifica più certi comportamenti. Credo che il passo successivo sia quello di includere non solo i comportamenti apertamente “mafiosi”, ma una certa “mafiosità” culturale. In calabrese mafiuseddu indica la persona che si fa rispettare, che tutela i propri interessi in qualunque modo. Forse antica eredità spagnola, la mafiosità alligna tanto al nord quanto al sud. E’ costume, è assuefazione a stili di vita basati sulla prepotenza e sul sospetto, sulla rivendicazione di diritti parallela alla ricerca di privilegi e scappatoie.
Il “sistema” -così a Napoli il popolo chiama la camorra- è ben rappresentato da parlamentari “mafiuseddi”: tra quelli che incuranti di comprovati legami con la malavita trovano abbondante spazio sulla tv pubblica (come ben sottolinea Savigni), quelli che cantano canzoncine offensive verso i napoletani alle feste leghiste, quelli che lasciano pagare a noi le multe che l’Unione europea ci commina per certe tv private, quelli che appena eletti con una coalizione passano il giorno dopo a quella opposta, quelli che dicono senza mezzi termini che le regole della democrazia stanno loro strette…
Mafiosità. Dalla condanna aperta della Mafia (sacrosanta) si passi anche alla condanna della mafiosità.
Caro Cherubino . .quelli che..
quelli che .come in Lombardia.. si dicono cristiani e fanno la comunione tutte le mattine … e nel frattempo fanno affari anche illeciti ( vedi Grosso e Abelli) e si appropriano di tutte le cariche , fanno incetta di tutti i buoni posti ben retribuiti, da Governatore in giù, e li danno ai loro amici, parenti e accoliti…ai loro “protetti” , soprattutto nella Sanità .. e se lavori in un ospedale ma non ti si vede al meeting di Rimini o non fai parte del loro giro …. non fai certo carriera .. questi come li vogliamo chiamare ? mafiosetti o Ciellini?
Insomma, quella dei vescovi siciliani del 94, una specie di scomunica fu (ma mons. Cassisa c’era? E che fece, pure lui scomunicò?).
Ma quando fu fatta quell’altra scomunica, quella per i comunisti, non si ebbe a dire che non era cosa buona, e che bisognava distinguere tra la dottrina e l’organizzazione e i singoli picciotti, i quali, meschini, potevano non rendersi pienamente conto … e comunque, per consolidata dottrina, il peccato mortale non richiede sempre piena avvertenza e deliberato consenso? E invece qui si disse che perfino chi pose «atti di connivenza con essa», scomunicato doveva essere?
Tra le prove che deve sostenere l’iniziato per entrare nella “famiglia” mafiosa vi quella di sparare al crocifisso.
Ma i mafiosi e i malavitosi, in genere, collezionano Bibbie e addobbano le case di immagini sacre.
Finora la chiesa non gli ha mai negato i sacramenti a cominciare dal battesimo.
Vedo che si parla di peccato come qualcosa di senso con cui gli individui si misurano per ridefinire gesti e comportamenti considerati trasgressivi dalla società civile orientata cristianamente.
In linea di massima, funziona per i credenti strutturalmente “sani” e che al netto di cadute pur emendabili, compiono opere di carità o quanto meno ci provano.
Non di meno funziona per i non credenti che conducono una vita sociale nel rispetto delle leggi e delle persone.
Avere coscienza del peccato, ovvero del trasgredire a Dio e alle sue leggi, per semplificare, può appartenere a chi ha sparato al crocifisso e a chi coscientemente uccide e che attraverso la droga alimenta un circuito di morte?
Una moderna e dolce shoah?
Sempre per semplificare si potrebbe dire che il crocifisso è il risultato delle opere del maligno e la Risurrezione è la vittoria definitiva del bene sul male, che redime dal peccato originale e che attraverso la Parola indica la strada verso la vita eterna.
Penso che costoro, i mafiosi, siano in permanenza alle prese con chiodi, martello e corona di spine nel crocifiggere Gesù Redentore.
Per questo, con il cuore addolorato, non vedo redenzione peggio che mai una speranza di redenzione nemmeno per i cosiddetti “pentiti”.
E’ ora che la chiesa si scrolli la polvere dai sandali!
Caro discepolo, non so a chi ti riferisci (anche se qualche sospetto ce l’ho, vivendo da molti anni in Lombardia…) e capisco bene il tuo punto di vista. Lavorando nel campo della formazione so bene quanto certe appartenenze contino, qualche volta più della competenza. Ma devo dirti che ho conosciuto dei ciellini che sono ottimi cristiani. Ma sicuramente la mafiosità come tratto culturale si inserisce anche nelle organizzazioni cattoliche, ma nessuna ne è del tutto immune.
Ricordo quello che sentii dire una volta da padre Sorge: i disvalori della mafia sono come un cancro: sono degenerazione di valori buoni. Il valore della famiglia diventa complicità e privilegio, una tradizione giuridica umanistica basata sul caso concreto e sulla equità si trasforma nel contrario: abuso dei cavilli e ricerca delle immunità per assolvere sempre e comunque, l’antecedenza della persona rispetto allo Stato e alle istituzioni diventa anti-stato, la solidarietà diventa corporativismo (e mi collego all’esempio che portavi).
Per questo è importantissimo che vi siano uomini come don Diana che dicano a nome della Chiesa “per amore del mio Popolo non tacerò”. Per questo è importantissimo il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi “verrà il Giudizio di Dio !”. Ed è importante ch esorgano “profeti laici” come Roberto Saviano che mostrino l’inferno. Resto sempre impressionato da come lo scrittore venga attaccato dalla gente comune, persino dai ragazzini, nelle interviste su di lui riprese nella terra dei casalesi. Ma vi sono anche segnali di speranza, come il tripudio della gente per le strade di quel paese in cui hanno appena arrestato dei boss…
Più di tutto è importante che sia proclamata la Parola di Dio: perchè è essa l’unico vero antidoto. Nella misura in cui la Chiesa annuncerà il Vangelo le tenebre delle mafie saranno cacciate indietro, prima di tutto dalle menti e dai cuori. E da lì si passa alle strade fino alle aule del parlamento.
Non è il caso di puntare il dito accusatore su preti o uomini pubblici, non è il caso di stracciarsi le vesti perchè si vede questo o quello che “passa sopra” a tante cose illecite (non c’è solo la Mafia organizzata, c’è molto di più in giro), ma è il caso di “ribaltare” la nostra stessa vita e fare scelte precise fatta di “sì” e di “no”, è il caso di rischiare personalmente e non prestarsi alla convenienza (punto in cui l’illecito ci raggiunge e colpisce sempre) e non è neppure il caso di parlare di “grandi scelte” perchè sono sufficienti quelle piccole.
L’illecito continua ad esistere perchè è continuamente alimentato da “uomini senza fama” che continuano a sostenerlo.
E sul fatto della Comunione tutte le mattine … bé … meno male che si accostano! Prima o poi l’effetto Eucaristico salterà fuori e la coscienza prenderà posizione … d’altra parte perchè scandalizzarsi? Gesù stesso ha detto che è venuto al mondo per i malati e non per i sani, no?
marta09, concordo con la prima parte, anche se le prese di posizione pubbliche pure sono importanti. Ma sulla seconda ricordo che l’effetto dell’eucarestia non è automatico, non è magico. Tanto è vero che la Chiesa (ricorda il passo di s. Paolo) raccomanda di non ricevere l’eucarestia con cuore “indegno”. Se fosse vero ciò che dice direbbe a tutti di accostarsi all’eucarestia sempre.
1 Cor. 11
7Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. 28Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.
@Cherubino, lascio agli “addetti ai lavori”, agli specialisti della materia la questione “Eucarestia”, ma sul magico non l’ho mai pensato (veramente pensavo in termini di “mistica”) e sull’automatico neppure perchè c’è comunque la nostra volontà.
Se fosse davvero “magica ed automatica” ci sarebbero conversioni tutti i giorni, ma di quelle toste però! 😀
Sì, sono importanti le prese di posizioni pubbliche, di uomini pubblici, ma non dobbiamo aspettare le loro prese di posizione per prendere le nostre.
E … per il fantastico San Paolo il
“Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”
parla di “esaminare sé stessi” (che non è garanzia di giusto esame perchè se non c’è la coscienza …), ma il “mangiare e bere” come condanna non è relativo all’ “esame di sè stessi”, ma è vincolato al senza riconoscere il corpo del Signore … quindi è molto probabile (ma gli specialisti in questo blog potrebbero dissentire) che l’esaminare sé stessi BENE avvenga proprio DOPO che si è riconosciuto che si sta mangiando il corpo del Signore
E’ sempre e solo una questione di coscienze e di libertà, di … fare agire questa coscienza.
carissimi amici, che leggo sempre con piacere come il maestro di pianerottolo Luigi ( anche mio maestro), la citazione dei vescovi siciliani del 1944 è davvero la più forte che si trova in giro. Arriva alla fine del primo Sinodo dei vescovi della regione, quando la guerra non era nemmeno finita e appena dopo che la mafia “aiutò” gli americani nello sbarco da quelle parti. Segno che la Chiesa vede lungo e non si lascia distrarre dai miti. Il nuovo documento contiene una frase simile e definisce le mafie «la configurazione più drammatica del male e del peccato, forme brutali e devastanti di rifiuto di Dio». Potrete leggere tutto sul Famiglia Cristiana in edicola giovedì, dove si anticipa buona parte del nuovo documento della Cei. Il maestro di pianerottolo mi permettà, bonariamente, un po’ di pubblicità.
ogni bene
infatti è proprio sul riconoscere il Corpo del Signore che “casca l’asino”. Infatti quella frase non indica solo un riconoscere “teoretico”, ma un’adesione di vita, è quel riconoscere che fece dire a Giovanni sulla barca piena di pesci “è il Signore” e fece tuffare nel lago Pietro per raggiungere il suo Signore. E’ quel riconoscere il Risorto che accadde ai discepoli di Emmaus quando si aprirono loro gli occhi e “riconobbero” Gesù nello spezzare il pane. Un mafioso, come qualsiasi altro peccatore non pentito, non può riconoscere il Signore, anche se è convinto che l’ostia è il Corpo di Cristo. Perchè non accoglie l’amore trasformante di Gesù. E per questo che l’esaminare se stessi viene prima, non dopo il ricevere, riconoscendolo, il Corpo di Cristo. S. Paolo dice esattamente la sequenza: esamini… poi mangi…
E il motivo è semplice: esaminarsi serve a conoscere e detestare il proprio peccato, serve a disporsi a lasciarsi salvare. Questa disposizione battesimale è necessaria perchè il sacramento operi la grazia sua propria. Il sacramento rafforza la disposizione incerta solo in caso di peccato veniale, mentre entra in conflitto con un cuore non distaccato dal peccato mortale. Questa è dottrina di sempre e la trova perfettamente attestata in S. Tommaso. E un sacerdote ha il dovere di non dare la Comunione ad un peccatore pubblico. E un mafioso, un padrino, è più che pubblico. Nel sistema è lui il “pubblico”, è l’antistato. E un prete ha il dovere cristiano di non dargli i sacramenti e di intimargli la contrizione, il pentimento e il mutamento di vita, con la pratica di opere buone in riparazione del male compiuto. La Chiesa deve raffigurare a queste persone quel giudizio e quell’inferno cui sono prossime, come ha fatto Giovanni Paolo II. Quesot non vuol dire odiarle, ma tentare un estremo serivzio proprio nei loro confronti. Proprio questa franchezza è il servizio di verità che la Chiesa può dare loro.
A seguito del commento di Alberto Bobbio – che ringrazio per la segnalazione – riporto qualcosa di ciò che Famiglia cristiana anticipa nel prossimo numero, prendendolo dal blog del collega della Stampa Giacomo Galeazzi:
Il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, non ha avuto timore a dire ad Assisi che «se tutte le Chiese italiane, a partire dai vescovi, inizieranno a guardare con interesse e con impegno alla questione del Mezzogiorno, probabilmente qualche cosa comincerà a cambiare, perché impareremo di più e meglio a piegarci tutti insieme sui problemi». Ma non è l’unica autocritica. Ce n’è un’altra dal sapore amaro: «Non ovunque e non da tutti si gridano le parole risuonate nella Valle dei Templi». Si tratta delle parole di Giovanni Paolo II, il tremendo avvertimento agli uomini delle cosche, «un giorno verrà il giudizio di Dio», lanciato il 9 maggio 1993 ad Agrigento. Il testo della Cei riconosce che «nel Mezzogiorno la Chiesa ha mostrato di recepire in maniera disomogenea la lezione profetica di Giovanni Paolo II», ma anche quella dei «martiri per la giustizia», don Pino Puglisi, don Peppino Diana, il giudice Rosario Livatino: «Tanti sembrano cedere alla tentazione di non parlare più del problema o di limitarsi a parlarne come di un male antico e invincibile». Invece, le mafie sono «la configurazione più drammatica del male e del peccato, forme brutali e devastanti di rifiuto di Dio». Il documento spiega che la criminalità organizzata non deve «dettare i tempi e i ritmi dell’economia né della politica meridionale», ma ricorda anche che negli ultimi vent’anni le organizzazioni mafiose «hanno messo radici in tutto il territorio italiano», arrivando nel Sud fino «all’esautoramento dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici». Con l’alterazione del mercato del lavoro, del sistema degli appalti e con l’interferenza nelle scelte urbanistiche si arriva, quindi, a «contaminare tutto il territorio nazionale». Né è servita l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti regionali a scardinare «i meccanismi perversi o semplicemente malsani nell’amministrazione pubblica». La crisi ha fatto crescere «l’egoismo individuale e corporativo un po’ in tutta Italia», lasciando al Sud il ruolo di «collettore di voti estranei al suo sviluppo». Il testo denuncia la «falsa onorabilità e l’omertà diffusa», «meno diritti e opportunità per le donne», giovani «condannati a una perenne precarietà» e osserva che non si può continuare a considerare il lavoro nero «un sano ammortizzatore sociale». Tuttavia, non tutto è mafia. Non manca la speranza. I vescovi la individuano nei giovani che sono scesi in piazza per contrastare la mafia e rilevano come «la parte migliore della Chiesa nel Sud» sta con le «associazioni antiusura, antiracket», con il «volontariato e le reti di solidarietà che non si rassegnano alla violenza e allo sfruttamento».
Scusatemi, ho mancato al citazione. Alla fine del primo Sinodo siciliano dopo la guerra si comminava la scomunica a«tutti coloro che si fanno rei di rapina o di omicidio ingiusto e volontario». Durante quel sinodo si ebbe la prima grande discussione sulla mafia. La conclusione a cui arrivò la discussione fu di grande effetto per la società di allora: i mafiosi vennero bollati come uomini senza morale e senza Dio. Quella discussione venne ripresa negli anni, negli anni Cinquanta, negli anni Ottanta e poi negli anni Novanta ne uscì la citazione che Luigi ricorda. In mezzo purtroppo vi è stato il cardinale Ruffini che definì la mafia invenzione dei comunisti.
@Cherubino … mah! .. 🙂
@albertobobbio
“In mezzo purtroppo vi è stato il cardinale Ruffini che definì la mafia invenzione dei comunisti.”
Le ricerche che ho fatto sull’argomento non conducono a documenti o discorsi ufficiali che certifichino questa affermazione.
Lo dico per onore del vero, anche se il card. Ruffini ha di fatto girato la testa altrove e con distacco rispetto al dramma vissuto dal suo popolo.
————–
«un giorno verrà il giudizio di Dio», lanciato il 9 maggio 1993 ad Agrigento.
La frase fu detta al termine della celebrazione e nessuno l’aveva prevista né era stata preannunciata ad alcuno.
Successe che prima di recarsi nella piana l’auto e la scorta del Papa al seguito deviarono improvvisamente percorso, il Papa ando in visita ai genitori del giudice Livatino, da solo con la scorta al di fuori.
La visita non era prevista.
S’intrattenne circa 10 minuti e ne usci turbato, così riferisce chi c’era.
Probabilmente questa fu la molla che fece scattare quell’espressione detta in quella maniera così forte e nello stesso tempo irata, del tutto inusuale e fuori dai canoni per un Papa.
Rosario Livatino era molto religioso e lo erano, forse, ancor più i suoi genitori, persone devotissime.
Ancora un saluto a tutti !
Roberto 55
A Nino e a Roberto 55. Nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto, al capitolo primo NUOVI MARTIRI, paragrafo MARTIRI DELLA GIUSTIZIA, si può leggere un mio profilo di Livatino intitolato Rosario Livatino: “Il rendere giustizia è dedizione di sé a Dio”