“Non vedevo l’ora di tornare fra la mia gente. É stato il mio sogno e il mio sostegno poter rivedere presto la comunità. Sarà veramente Pasqua per me, una Pasqua particolare”: così il parroco trentino di San Carlo, don Lino Zatelli, 70 anni, annunciava a Vita Trentina del 4 aprile il ritorno a celebrare con il popolo nel giorno di Pasqua. La polmonite da Covid 19 l’aveva tenuto lontano dalla vita parrocchiale a partire dal 19 febbraio. Prima undici giorni di isolamento in casa, poi due settimane di ricovero a Rovereto, infine la convalescenza. Nei commenti riporto brani della conversazione con il settimanale diocesano.
Lino Zatelli: “Con il virus ti viene facile il pianto”
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Fino a quando la barca tiene. “Li abbraccerò – i miei parrocchiani – almeno con gli occhi e la prima cosa che dirò loro saranno parole di ringraziamento. In tanti hanno pregato per me, molti qui in chiesa, alcuni si sono dati anche appuntamento in videocollegamento. Davvero splendidi. Quest’esperienza mi ha fatto scoprire il volto più bello della comunità. Saperla impegnata nella preghiera, personale e di gruppo, è stato incoraggiante. Per noi sacerdoti è importante sentire che la gente ti vuole bene, ti cerca, ti dà coraggio. Hai un’ulteriore dimostrazione di affetto e di amicizia che ti impegna a guardare al futuro: da questa base interessante si prende slancio per riprogettare insieme un futuro in parrocchia”. Non ha avuto paura di cadere dalla barca? “Una certa paura c’è stata, perchè il virus ti indebolisce fisicamente ma anche psicologicamente. Però più della paura di cadere dalla barca – ad un certo punto, essendo molto debilitato, mi sono abbandonato al Signore in un momento di forte verità – c’è la preoccupazione di sapere fino a quando la barca tiene. Ovvero, se si riuscirà a tenere fino all’approdo, a concludere questa traversata”.
Attaccato alla sopravvivenza.“In certi momenti, sei confuso, ti stanchi subito, cominci e non finisci… invochi l’ossigeno, non riesci a spiritualizzare molto perchè sei attaccato alla dimensione umana, alla sopravvivenza. Poi recuperi in modo ancora più intenso la dimensione della preghiera. Ma il virus è una brutta bestia: in certi momenti ti viene facile il pianto e ti riesce difficile fare una telefonata”. Così don Lino racconta “l’esperienza di solidarietà e di umanità” vissuta nel ricovero: “Sui volti dei compagni vedi la paura e la tristezza. Allora si diventa amici, ci si sostiene anche solo con lo sguardo da un letto all’altro. Tanto che quando mi hanno dimesso mi sentivo privilegiato, egoista. Mi è venuta qualche lacrima, cogliendo come dal grande dolore nasce una grande umanità”. Prova una “tristezza assoluta” per “la grave perdita di tanti sacerdoti in quest’anno di pandemia” e loda la professionalità di medici e operatori sanitari: “Li definisco esperti di umanità”. Com’è cambiato il modo di vedere il Covid? “Tantissimo. Non si può essere superficiali. Questa malattia, lo capisci entrando in ospedale, è una cosa molto molto seria, si soffre e si muore. Ora mi sento di essere anche severo sulle misure di prevenzione, non possiamo essere superficiali”.
Ottantanove storie. Questa di Lino Zatelli è l’ottantanovesima vicenda da Covid – 19 che racconto nel blog. Per vedere le altre vai al capitolo 22 “Storie di pandemia” della pagina “Cerco fatti di Vangelo” elencata sotto la mia foto:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/cerco-fatti-di-vangelo/22-storie-di-pandemia/
Luci nella via
In quell’anonima strada di periferia
chi avrebbe pensato di incontrare
la vita. Questo diceva confusa, nuova,
l’anziana signora. Le avessi potuto parlare,
le avrei detto del potersi fidare, del non credere
all’inganno solo viscerale. Le avrei detto:
se viene una luce lasciati portare,
non temere il deserto se lo vuole il cielo,
ma temi le verdi praterie senza notte,
né luna, né stelle, né pioggia, il lume artificiale.
Da: https://gpcentofanti.altervista.org/piccolo-magnificat-un-canto-di-tanti-canti/
Anche nelle situazioni più disperate e difficili possiamo trovare delle perle da raccogliere.