“Olio sale pepe e rosmarino, bonissimo, fìdate!” dice la pescivendola romanesca col tono di sempre. Ma intorno prevalgono le facce indiane e sulle ceste le nomenclature esotiche. Manioca Equador, Pakinda Pakistan, Cavolo cinese, Eddos (patate cinesi), Yuka (che mi paiono banane), Sayote Costa Rica, Kalabosa (sembra una zucca), Laim Brazil (sono limoncini), manghi, Ginger, Cuore di platano che è una magnifica pannocchia. In mano ai venditori pakistani anche le denominazioni nostrane inclinano all’esotico: ho visto un Milanzane e un Pontarella, un Cilimentini, Bietha Italia e Patata Italia. I “Tomate de arbol” li avrei comprati solo per la bellezza del nome. Un passo più in là c’è “Ernesto er pommidoraro”, proprio di fronte a “L’orto di Filippo” con una scritta degna di Catalano (quello di Arbore che diceva “è meglio vivere bene con due pensioni che male con una pensione sola”): “Se verdura fresca devi compra’ da l’ortolano devi anna’”. Dietro al bancone delle mele lei grida a lui che le attraversa il passo: “Chè, sei scappato da ‘a gabbia?” La venditrice di agrumi che trasporta cassette a due mani motteggia con un cliente: “No quelli non ti ‘i do’! So’ ‘a femmina cattiva io”. Mi incanto a vedere gli infiniti sacchetti con le farine e i semi colorati che un giorno avevo scoperto a Damasco. E’ il “Nuovo mercato Esquilino” che ha preso il posto del mitico mercato all’aperto di piazza Vittorio, la “gran fiera magnara” descritta da Carlo Emilio Gadda in quattordici capoversi di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, che scorre qui vicino: “L’indomani alle dieci esatte il Biondone era in loco”. Uno rilegge la meraviglia di Gadda e passa belle ore di spesa familiare in questa ingtrecciata meraviglia venuta da ogni mondo. Tutto il mondo che qui pare composto in pace. Ascoltando cinesi egiziani e peruviani berciare tra loro in romanesco ti convinci che la famosa integrazione sta arrivando per vie inaspettate.
Le meraviglie di Piazza Vittorio da Gadda ai cinesi
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il mercato di Piazza Vittorio è l’unico luogo del quartiere Esquilino dove davvero si vive insieme… il senso di estraniamento che per vari motivi si avverte lì dentro, per chi vive in zona, si dissolve. Certo, resta la tendenza di andare a cercarsi il venditore della propria “etnia”… ma gli italiani più scaltri, ho visto, di fronte alla buona cominciano anche a buttarsi all’estero se trovano la merce migliore.
per la cronaca dico che il Filippo dell’omonimo orto è proprio il nostro fornitore di frutta e verdura… ho assistito diverse volte alle liti tra le donne che si passano avanti per accaparrarsi le cose più fresche e promettenti.
altra errata corrige.
terza riga : …si avverte PER LE STRADE, lì dentro…
Mi avete fatto venire in mente Campo de’ fiori, un film di quelli belli di una volta, con Aldo Fabrizi e Anna Magnani …
Nostalgie a parte, a me passeggiare per i mercati (senza comprare niente, perché detesto sia comprare che vendere) piace abbastanza e non ho nulla contro i venditori stranieri, anzi le rare volte che metto piede fuori d’Italia e che mi capita di visitare una città del vicino oriente (mai stato più in là del Mediterraneo) mi sento molto a mio agio … però quando vedo nelle nostre città tutti quei negozi di alimentari gestiti da pakistani, uno attaccato all’altro, mi chiedo: chi li ha comprati? Con quali soldi? Qualcuno ha fatto qualche controllo, al momento dei rogiti, sulla provenienza di quei denari? Lo stesso vale per i cinesi, o per i russi che comprano gli alberghi … non è che l’Italia la sta comprando la malavita internazionale?
“non è che l’Italia la sta comprando la malavita internazionale?”
Non ditelo alla ‘ndrangheta….
non ho tempo ora… ma all’Esquilino ‘Ndrangheta e Camorra sono molto presenti… si dice, eh!
Chi non è di Roma non può capire cos’era -e cos è oggi- Piazza Vittorio. Provo a spiegarlo :” Piazza Vittorio sorge sul colle Esquilino, bisogna tenere presente che quello dell’Esquilino è il quadro di un quartiere le cui più antiche tracce sono i resti di una vasta necropoli utilizzata dall’VIII alla fine del I secolo avanti Cristo. Il grande Mecenate la bonificò fra il 35 e il 30 avanti Cristo circa, e sopra la necropoli sorse una zona residenziale grazie alla presenza di importanti assi viari e perché sulla zona vi si concludeva il percorso di numerosi acquedotti, fra questi, Marcia, Iulia e Claudia, uno dei quali sorge a mo’ di rudere a tutt’oggi. La Piazza è grande, bellissima, circondata da una cancellata stile umbertino, come lo è l’urbanistica dell’intera zona, sorta dopo l’unità d’Italia, quando alla Roma Papalina si sostituisce quella Umbertina appunto.
La Piazza è stata per anni,un punto di riferimento per tutti i capitolini in quanto sede di un grandissimo mercato scoperto,con una fitta rete di banchi sparsi tutt’attorno gestiti da romani “veraci” ripieni di quella romanità tipica, strillona -come direbbe Gadda :”“quer gallinaccio co’ la faccia fanatica.. intento a “strillà dar barcone come uno stracciarolo”- una romanità colorita,forbita, piccante e pure sopra le righe talvolta, ma mai cialtrone o irriverente.
Quella era la zona centrale di Roma, per via di quei banchi dove c’era di tutto..cose impensate…c’erano : venditori con ceste di lumache (lumacari), droghieri, porchettai, pizzicagnoli, banchi di frutta e verdura, cesti di fave pecorino, pane casareccio (quello del burino) che sgusciava ad ogni angolo…insomma…di tutto tutto tutto…
Attorno alla piazza i negozi di lussi, quelli dei “giudei” (gli ebrei) : Spizzichino, Anticoli, Di porto- ricchi commercianti – dove la merce si poteva acquistare pure a credito. Insomma, andare a piazza Vittorio era sinonimo di opulenza, di benessere, e punto di aggregazione e d’incontro.
Oggi il mercato nella piazza non esiste più, è stato spostato in ambiente al chiuso, i proprietari dei banchi, quei romani così folcloristici, hanno abbandonato i loro esercizi, o li hanno affittati a filipini, indiani, cinesi. Han detto che avrebbero restituito la piazza ai romani, in realtà la piazza è divenuta la casa di tutti: ogni tipologia umana, di ogni etnia e colore, con conseguente degrado, un degrado fino a qualche anno fa, spaventoso!
Non so fino a che punto ci sia stata questa integrazione visto il coprifuoco dopo una certa ora. Come dicevano gli amici del blog: la malavita internazionale ha allungato le mani sulla intera zona che è diventata loro proprietà
Va bene, visto che siete così spiritosi: «non è che la parte d’Italia non di proprietà della mafia e della ‘ndrangheta se la sta comprando la malavita internazionale?».
(La mia osservazione, poi, era meno svagata e peregrina di quel che poteva sembrare, perché è noto che contrastare l’insediamento di una nuova entità criminale sul territorio è meno difficile che sradicarla una volta che si è ‘ambientata’. Probabilmente è già tardi, ma un controllo preventivo e mirato sui movimenti economici di residenti stranieri, in particolare di certe etnie, sarebbe forse servito a qualche cosa.)
Clodine: frequentavo il mercato di Piazza Vittorio all’aperto – dal 1966, quando arrivai a Roma – e frequento, da quando è stato spostato, il Nuovo mercato esquilino, avendo sempre abitato da queste parti. Nel post volevo dire che un terzo del nuovo è dato dall’antico, mentre mi pare che tu intenda che nel nuovo non c’è più nulla dell’antico. Domando, prima di argomentare a vuoto: ma tu il nuovo lo frequenti?
Leonardo: non so nulla delle mafie. Certo temo gli enigmatici cinesi, più di tutti gli altri. Ma proprio sul Corsera di oggi ho una lunga intervista con il cardinale Zen Ze-kiun che trovo vicino per cristianesimo e per qualcosa che potrei denominare “romanità acquisita” – i cinesi del mercato li trovo vicini per acquisizione del romanesco.
Moralista: incredibile, conosciamo lo stesso verduraro! La fantasia con cui è accavallata ogni erba all’altra sul suo bancone, senza ceste, in castcate e arrampicate, persino sul tondo della bilancia… e le mele sotto le lattughe, le zucchine con la ricciarella!
Dott. Accattoli: bellissime cartoline etniche. Ma Gadda, insisto, è un’altra cosa. L’universo interiore e il mondo esteriore che ha generato Gadda è un’altra cosa, radicalmente differente. Il gran Lombardo ha cesellato intramontabili pastiche linguistici con dialetti neolatini innestati su distanti e grottesche lingue accademicamente laureate: alle orecchie e al cuore di un italico le sculture e pitture e impressioni di Gadda hanno ricadute infinite, impensate, sfumature sempre nuove, rievocano suoni forse uditi nell’infanzia, forse addirittura dal grembo materno: si pensi, per una volta seriamente, al dialetto come lingua dell’anima. Davvero lei si illude che i nipotini dei faraoni, dei mandarini cinesi e dei pescatori maori possano – in una decina di anni – avere edificato qualcosa di analogo? E’ – lo dico con radicale e appassionata e cristiana simpatia umana per tutti, ripeto: per tutti: è un’innesto visibilmente innaturale, un tentativo di sopravvivenza raffazzonato realizzato da una parte dai romani che vendono agli indiani e dall’altra dagli indiani che – eroicamente – tentano di sistemarsi economicamente occupando i posti nel mercato ex popolare romano ed ex romanesco. Succede qualcosa di analogo a Porta Palazzo, a Torino. Lì è tutto, tutto, tutto, tutto in mano a laboriosissime famiglie islamiche, cinesi, indiane. Poi, mentre anche affascinato ti domandi se per caso una falla spazio temporale non ti abbia condotto a Istanbul o Bagdad o Bombay, arrivi al mercatino delle erbe, ancora integralmente gestito da famiglie contadine piemontesi e, scusate, non è colpa mia (andrò all’inferno?) ma solo lì riesci a tirare un respiro di sollievo, sì, solo lì. E allora capita, forse solo ai matti come me, di far finta di volere comprare il radiccione per la frittata e indugiare nei pressi di due anziane donne con il fazzoletto a fiori in testa, le mani da contadine – pulite ma macchiate di verde scuro e terra – che fasciano con la paglia mazzi di insalata e intanto schioccano discorsi in stretto piemontese, un po’ francese, un po’ italiano. Tornando dal funerale della mia carissima zia, qualche anno fa in liguria (le mie radici sono anche lì) presi da sollo una stradina laterale, che tra gli ulivi e gli orti conduce dal campo santo alla cittadina dove sono nato. Era ottobre e c’era ancora qualche frutto solo il noce, avvolto nel mallo ormai marcescente. Ne ho raccolta una e un contadino, che lì vicino stava tagliando l’erba per i conigli con il falcetto, mi ha guardato dicendomi in dialetto “ Che vuscià u stag’attentu de nu abbruttisscia e màn” (Stia attento signore, stia attento e non si sporchi le mani). Io non lo so ma quella frase detta in quel modo da quella persona in quel contesto ha avuto su di me una ricaduta anche etica: “stai attento e vedi, se riesci, di non sporcarti le mani, di non fare del male al prossimo tuo. Vedi, se puoi, di liberare e non imprigionare”. Davvero Accattoli lei crede le sostituzioni linguistiche e quindi culturali non abbiano pesanti conseguenze sociali? Davvero crede che non avrà conseguenza la scomparsa definitiva – manca poco in Piemonte e Lombardia – di uomini e donne che si esprimono con la lingua venuta su con le piante dal suolo? “Io non lo crEdo”, come diceva il maresciallo Cotone-De Sica ne “I due Marescialli”, altro capolavoro metalinguistico popolare che, mi creda, solo chi ha vissuto in strada e ha ascoltato i racconti di guerra dei propri vecchi, può capire pienamente. Con la consueta stima e con l’augurio di una preghiera reciproca in questa serata in Coena Domini.
Raramente passo per Piazza Vittorio,dotto Luigi, è vero!
L’ ultima volta che ho fatto una rimpatriata, per così dire, è stato lo scorso anno. Ho comprato un cellulare in uno dei tanti negozi -mi sembra che un tempo in quello stesso c’era “abbigliamento Anticoli” ,il negozio di mia madre- ora gestito da cinesi, ma i commessi erano tutti italiani.
Nel mercato sono entrata una sola volta e 3 o 4 anni fa per comprare le lumache -che a me piacciono- volevo anche ritrovare una persona, ma mi sono smarrita: romani ai banchi non ce ne sono, giusto una decina in tutto. Chiedendo qua intanto pensavo: ..”sono tutti stranieri …che ne so..non capisco, sono indiani, filippini, cinesi..c’è di tutto: dov’è la mamma di Cinzia (una mia amica che aveva un banco di prosciutti e salumi) l’ho cercata :” nun ce sta più la sora Inese -m’ha detto un altro presciuttaio- ” semo rimasti na’ manciata de quelli della vecchia piazza”…
ed è vero!! nemmeno l’ombra – finalmente seguendo le indicazioni arrivo dal “lumacaro”, romano,ed è lo stesso di sempre :” so’ brava gente -m’ ha detto- e che dovevo fa’, pure loro devono da campa, poveri cristiani'” Ed ha ragione: tutti dobbiamo vivere in questa terra, ognuno di noi ne ha il diritto.
Ma infatti io non ponevo l’accento sull’aspetto dell’integrazione, che credo ormai sia avvenuta dappertutto in Italia, tranne qualche sacca. E’ il problema della mafia, di queste organizzazioni che hanno il monopolio, che fanno da pardoni e seminano anche una certa paura; è questo che preoccupa..
Beh, do ragione ad Ignigo quando dice:
“arrivi al mercatino delle erbe, ancora integralmente gestito da famiglie contadine piemontesi e, scusate, non è colpa mia (andrò all’inferno?) ma solo lì riesci a tirare un respiro di sollievo, sì, solo lì.”
E’ vero: quando ho sentito quel presciuttaio parlare il romano, mi si è aperto un sorriso che senza le orecchie avrebbe fatto il giro della testa, per non parlare di quando ho rivisto il “lumacaro” -l’ escargots è meno plebeo- mì è sembrato: sai quando ti trovi in un paese all’estero e senti parlare un compatriota, non importa se sei siciliano e l’altro torinese: che gioia..che festa.
Così mi sono sentita!
Stupenda e misera città,
che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini,
le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato
con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d’estate;
a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire
che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
fratelli proprio nell’avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi
vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognun, era il mondo.
Pier Paolo Pasolini
Che questi versi siano degno commento a quello che ha scritto Luigi?
Che bel concerto di ricordi e colori e voci – ringrazio tutti – sento anch’io quello che dite, Ignigo e Clodine e tutti. Non ve n’abbiate se invito a guardare con fiducia a quello che mi pare venga crescendo tra banco e banco, nei mercati rionali e un poco dappertutto. Io immagino che l’umanità ha tali risorse da vincere – potenzialmente – qualsiasi lontananza e mi rallegro ogni volta che avverto un segno di avvicinamento. Per questo amo il Nuovo mercato esquilino e la sua umanità rimescolata.
Anch’io ho dei versi che sembrano ispirati al bellissimo post di Luigi: è il testo di una canzone di Gianmaria Testa, che divido in due parti perché è un po’ lunga; s’intitola “Al mercato di Porta Palazzo”.
Al mercato di Porta Palazzo
fanno la fila, fanno la fila
le femmine da ragazzo
fanno la fila, fanno l’andazzo
e si lasciano indovinare
sotto le gonne, sotto le gonne
e si lasciano indovinare
sotto le gonne, le gonne nere
e sopra il molo del caricamento
fanno la coda, fanno la coda
gli uomini da bastone
fanno la coda sul cemento
e si lasciano perquisire
sotto le giacche, sotto le giacche
e si lasciano perquisire
sotto le giacche da ricucire
ma una mattina di luna d’inverno
e c’era la neve e c’era la neve
sulla piazza succede un inferno
e tutti a chiedersi come e dove
dalla coda del caricamento
qualcuno grida, qualcuno grida
nella piazza di Porta Palazzo
fra le ragazze si rompe la fila
e ce n’è una sdraiata per terra
sopra la neve che svapora
ce n’è una sdraiata per terra
e tutte le altre le fanno corona
e alle sette e quarantacinque
era già nato, era già fuori
alle sette e quarantacinque
l’hanno posato sul banco dei fiori
mi favoriscano un documento
dice la guardia appena che arriva
trafelata dal caricamento
per vedere che succedeva
favoriscano un documento
e anche qualcosa da dichiarare
questo è un caso di sgravidamento
sul suolo pubblico comunale
ma documenti non ce ne sono
e neanche qualcuno che dica niente
solo la gente che tira e che stringe
intorno ai garofani e alle gardenie
documenti non ce ne sono
e quasi più niente da documentare
solo che un giorno di luna d’inverno
tutta la piazza ha voluto il suo fiore
ritorna la coda dal caricamento
torna la fila torna l’andazzo
degli uomini da bastone
e delle femmine da ragazzo
che si lasciano perquisire
sotto le giacche sotto le giacche
che si lasciano indovinare
sotto le gonne le gonne nere.
Un augurio di Buona Pasqua, con tanta gratitudine per Luigi e per tutti gli amici di pianerottolo.
Gianmaria Testa, chi era costui?
Una rapida ricerca (Youtube, grazie di esistere) mi ha fatto scoprire un autore non banale: non ho ancora deciso se mi piace, ma comunque grazie a Sumpontcura per avermelo fatto scoprire (io, in fatto di canzoni, son fermo al paleolitico).
A Leonardo: notizie e discografia le troverai su Wikipedia. Dei sei cd pubblicati finora, a me piacciono soprattutto l’antologia “Il valzer di un giorno” (Harmonia Mundi, 2000) e “Da questa parte del mare” (Fandango, 2006). Da quest’ultimo, tutto dedicato al tema dei migranti, ho tratto la canzone “Al mercato di Porta Palazzo”.
E già che ci sono commento anche ‘sto topic che tanto mi aveva affascinato leggendolo.
Il banco con le spezie colorate ha da tempo colpito anche me, tutte quelle gradazioni di giallo e di rosso,quei riconcilianti profumi naturali, i colori della terra, dal verde scuro al marrone, quegli strani peperoncini verdi e piccantissimi veri anestetici delle mie papille. Credo di aver squarciato anche alcune delle tante barriere difensive che onestamente credo ancora ci distanzino dagli immigrati che in tanti li lavorano. Alle mie spalle, ogni volta che aspetto che il signor macellaio mi taglile bistecche o prepari il macinato sento alzare il volume della voce del giovane orientale (sempre lindo e pinto in maglione blu e calzoni grigi), il quale quando mi giro per verificare che non sia accaduto nulla di tragico, mi sorride a pieni denti e con due grandi occhi, naturalmente contraccambio il saluto sorridendo e con la mano, poi finito con la carne,raggiungo il suo bancone per acquistare i pinoli, i pistacchi, la papaya, l’anas e le banane già seccate e spezzettate.
Ma il massimo del divertimento lo raggiungo quandoci vado in compagnia della mia amica e vicina di casa, Lisa, milanese dop, che in quel bailamme di esotismo e romanità, con quell’azzento e quella vocina si posa in cima da vera ciliegina!!!
Deliziosa Marta Paola..deliziosa !!