A proposito della messa tridentina ci scrive un amico missionario in Congo che già aveva partecipato ai nostri dibattiti e che anche stavolta invita a guardare più ampiamente e andare al largo. Il suo è un aiuto a ridimensionare i problemi mettendoli – come è giusto – su un tappeto grande quanto il pianeta. Grazie Mario!
Kinshasa, 11 luglio 2007 – Caro Luigi, vedo nel tuo sito e altrove molti interventi circa il motu proprio sulla Messa tridentina, come se si trattasse di un evento che mette in questione il cammino conciliare. Tutto questo, visto di qui, mi sembra un po’ esagerato. Voglio solo portare la testimonianza di cosa capita qui a Kinshasa ove da molti anni convivono pacificamente i due riti: quello Romano e quello Zairese, senza che alcuno pensi che siano in contraddizione (entrambi però seguono il Messale e Lezionario di Paolo VI). Inoltre in quasi tutte le parrocchie di Kinshasa alla domenica vi è la Messa “latino-francese” ove si cantano molte parti in latino (Asperges, Kyrie, Gloria, Credo, Prefazio, Pater) mentre il resto è in francese. Ho sentito molto più latino qui a Kinshasa che in Europa o in nord America. Una tipica domenica di Kinshasa avrà la Messa in rito zairese (dura almeno 2 ore) in lingua lingala con molti canti e danze; una Messa latino-francese e una Messa francese alla sera. Tutte frequentatissime e ben curate sia nella rispetto delle norme liturgiche del sacerdote e ministri che nel canto molto curato (ogni parrocchia ha varie corali ben preparate). Per quanto posso capire, non credo che il Motu Proprio porterà scompiglio o scandalo nella Chiesa della Repubblica Democratica del Congo (che è pur la più vasta d’Africa con oltre 30 milioni di cattolici). Un cordiale saluto a te e alla tua famiglia. Complimenti per il tuo sito che consulto ogni giorno (quando c’è corrente e riesco ad aprire internet). Mario Barbero
Il latino della messa visto dall’Africa
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A questo proposito -anche se trattasi di India e non di Congo- giorni fa è comparsa su Asia News questa interessante notizia:
http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=9771&size=A
” La Chiesa indiana accoglie con favore il ritorno della messa tridentina
L’arcivescovo di Mumbai, mons. Gracias, sottolinea l’importanza del documento con cui il Papa approva la celebrazione della messa tridentina: “Arricchisce la Chiesa di un grande patrimonio e viene incontro alle necessità dei fedeli”.”
Da Marco Sostegni di Vinci (patria di Leonardo) ricevo questo messaggio:
Buongiorno Dott. Accattoli, perchè l’inglese sì come lingua globale e il latino no per le Sante Messe almeno per una certa stampa più attenta alle necessità di categoria? A volte nella mia parrocchia hanno celebrato in similitaliano dei sacerdoti stranieri, polacchi, dell’Estremo Oriente…, non può immaginare la fatica; il latino almeno unifica tutto. Meglio rimetterlo anche alle scuole medie. Quanto piace alla stampa italiana rompere le scatole ai non fatti… vero? Un cordiale saluto. Marco Sostegni, Vinci
Approposito di “reciproche impollinazioni” fra riti e tradizioni (con i dovuti rigore e cautela) : a suo tempo il Maestro di Cappella (ora non più fra noi) di San Lorenzo (il mitico Don Porro) spesso raccontava (i suoi aneddoti erano grandiosi) di come una volta eseguirono , a un pontificale di Siri, in cattedrale, la famosa Missa Luba: http://www.rtsi.ch/prog/Rete2/welcome.cfm?mpg=4555&focus=1#focus
L’aneddoto aveva la parte più succulenta nel fatto che Siri -deliziato dalla composizione- d’istinto pensò che l’Ordinarium era stato musicato con melodie tradizionali indigene de…l’Appennino Ligure! 😀 – Così lontani, così vicini…
Quanto è piccola cosa, in fondo, questo cattolicesimo europeo oggigiorno. Nonostante le famose radici. Forse perché è dai frutti che dovrebbero riconoscerci.
Altro che radici: l’Europa ha segato il ramo su cui stava seduta. E adesso ha il culo per terra.
E’ bello leggere i commenti provenienti dallo Zaire e dall’India. Sarà perchè lì la Chiesa è giovane e vivace.
Per me la chiave dei problemi liturgici è bene espressa dal missionario:
“Tutte [le messe sono] frequentatissime e ben curate sia nel rispetto delle norme liturgiche del sacerdote e dei ministri sia nel canto molto curato (ogni parrocchia ha varie corali ben preparate).” Si intuisce il lavoro pastorale specifico e l’interesse dei fedeli.
Da situazione diverse si deve arguire cose diverse. Non sarà il latino, nè l’italiano e nemmeno la lingua lingala a cambiare la situazione, ma solo l’interesse dei fedeli e il lavoro pastorale. Del resto le statistiche, dove ci sono (USA), dimostrano che l’abbandono della messa festiva era iniziato negli anni cinquanta, ben prima della riforma del messale (1969) che tuttavia non lo fermò.
Infatti.
Basterebbe un pò di lavoro pastorale, di educazione e introduzione allo spirito della liturgia. Basterebbe trattarla come tesoro autentico, come miniera di significati, di simboli e di azioni, per contrastare almeno un pò la noia, la ripetitività, la mancanza di coinvolgimento che sono tra le cause dell’abbandono della Messa.
Tra l’altro, il mondo attuale è in realtà molto desideroso di simboli, l’ordine simbolico torna ad avere uno spazio grande, come da molto tempo non accadeva.
Basterebbe far vivere la Messa con questo spirito, e non degradarla a festicciola di paese o di quartiere, per non doverla poi ritrasformare – per reazione – in un ritrovo per pochi appassionati tridentini.
Su “Italians”, di Beppe Severgnini, su Corriere.it, è uscita ier l’altro questa interessante lettera di Don Stefano Colombo (che scrive spesso a Italians e credo sia anche un caro amico di Severgnini) :
http://www.corriere.it/solferino/severgnini/07-07-11/05.spm
…Per ossequio alla ‘par condicio’, vi segnalo anche quest’altra missiva inviata a Severgnini, pubblicata ieri su Italians, come ideale risposta a quella di
Don Colombo: http://www.corriere.it/solferino/severgnini/07-07-12/03.spm
Il confronto tra le due lettere è interessante: una esprime buon senso, l’altra ideologia.
Per quanto, come ha ammonito giustamente Leonardo, “leggere l’inglese non è ancora obbligatorio fra gli italiani, sinora” , vi voglio comunque rendere (potenzialmente) partecipi di qualche interessante informazione su ‘la Cina e il rito romano (dal 7/7/7) Straordinario’ :
Da wikipedia (la cui affidabilità oscilla a seconda dei casi, ma, in questo articolo , solo in inglese ahimè, ricchissima di validi riferimenti bibliografici linkati a piè pagina) , sulla ‘Chinese Patriotic Catholic Association’ [La Chiesa Patrottica filogovernativa cinese, per intendersi] :
“CPCA had to declare rejection of papal authority and non-acceptance of formulations of Catholic teaching and instructions issued by the Holy See after 1949, the year communists gained power over all of mainland China. Thus the CPCA could not officially recognize the dogma of the Assumption of the Blessed Virgin Mary (1950) by Pope Pius XII, nor the canonizations from 1949 onward (e.g. the canonization of Pope St. Pius X), nor Vatican declarations on even well-established devotional piety (e.g. on the Sacred Heart of Jesus or on Mary as Queen), nor the Second Vatican Council (1962-1965). In practice, however, Chinese translations of the documents of the Second Vatican Council, of the 1983 Code of Canon Law, of the 1992 Catechism of the Catholic Church (revised in 1997) and of the 1970 Roman Missal, which at first had to be imported from Taiwan and Hong Kong, have been printed locally for some years.[2]
The CPCA thus could not accept the 1970 revision of the Roman Missal by Pope Paul VI, so that Mass continued to be celebrated in mainland China in the Tridentine Mass form. For lack of the revised text in Latin or Chinese, even priests who refused any connection with the CPCA kept the older form. As the effects of the Cultural Revolution faded in the 1980s, the Mass of Paul VI began to be used, and at the beginning of the next decade the CPCA officially permitted the publication even locally of texts, originally prepared in Taiwan, that brought the Mass liturgy into line with that in use in other countries. Since the Canon of the Mass is now said aloud, observers have been able to check that the Pope’s name is mentioned even by those priests who, at least externally, accept directions from the CPCA, leading to the conclusion that “there is only one Catholic Church in China, whether state-recognized or so-called underground, they have the same faith, and the same doctrine.”[3] ”
http://en.wikipedia.org/wiki/Chinese_Patriotic_Catholic_Association
In sostanza, qui dice -come già avevo letto altrove- che, almeno fino agli anni ’80 inoltrati, la riforma liturgica paolina non era stata introdotta nella gran parte della Chiesa cinese (patrottica + clandestina) .
Credo che i primi a ricevere i nuovi messali siano stati i ‘Clandestini’ (come dice qui, da Taiwan e Hong Kong o, come lessi altrove, da missioni tedesche) poi seguiti dai ‘Patriottici’ .
Non pochi osservatori hanno suggerito, nei giorni dell’uscita della Lettera ai Cattolici Cinesi, come vi potesse essere una sorta di ‘fil rouge’ che connettesse la Lettera al Motu Proprio , in uscita subito di seguito .
Qui si può intuire un ulteriore vantaggio pastorale della ‘liberalizzazione’ del ‘rito tridentino’ .
Aggiungo: ciò vale anche per i paesi dell’ ex Blocco Sovietico, dove per anni la “Chiesa del silenzio” ha operato più o meno clandestinamente (effetti della ‘Ost-Politik’ e nuances locali a parte) adottando per gran parte il Messale di San Pio V anche ben più in là del Concilio.
Mi sembra quindi giusto che il Papa mostri a molti cattolici che in anni di martirii e fedeltà nella sofferenza hanno preservato la Fede, celebrato l’Eucaristia e amministrato i Sacramenti mediante il vecchio messale, che la Chiesa da loro conosciuta e/o riabbracciata con la riacquistata (o riacquistanda) libertà non ‘rinnega’ (mi si passi il termine tranchant) ciò che per loro è stato a lungo, e in angustiis, “fonte e culmine” della loro vita cristiana.
Ancora un elemento quindi che evidenzia l’intelligenza e lungimiranza pastorale di Benedetto XVI , e conferma ulteriormente la verità di quanto affermato da Luigi in questo suo post: bisogna “guardare più ampiamente e andare al largo. […] ridimensionare i problemi mettendoli – come è giusto – su un tappeto grande quanto il pianeta.”
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Stefano
Ciao a tutti, sono stato in ferie ed intervengo solo ora.
Per quanto riguarda la messa in latino, penso che sia vero che rievochi un senso del mistero forte di cui talvolta si sente l amancanza nelle liturgie di oggi.
Penso però che dovrebbe rimanere solo per qualche occasione particolare durante l’anno liturgico e non diventare la messa abituale.
Vi invio un interessante articolo di Enzo Bianchi sull’argomento
Saluti Leone
SE IL MESSALE È UNA BANDIERA
di Enzo Bianchi
la Repubblica, 8 luglio 2007
Molto atteso dai pochissimi cattolici “tradizionalisti” e molto temuto dai vescovi e dalle chiese locali, è stato promulgato, dopo molte dilazioni indicatrici di incertezze, il “motu proprio” Summorum Pontificum che “liberalizza” il rito della messa vigente prima della riforma liturgica. Preconizzato da più di un anno, ha destato grandi preoccupazioni e ha acceso un dibattito di grande qualità.
Conferenze episcopali, singoli vescovi, teologi e liturgisti hanno analizzato con spirito di pace e volontà di riconciliazione con i tradizionalisti scismatici i problemi e le derive che potrebbero inoculare contrapposizioni e ulteriori divisioni tra i cattolici. Sì, perché in questi 40 anni del post-concilio, le chiese hanno percorso un lungo cammino, spesso faticoso, nell’attuazione della riforma liturgica, hanno registrato anche qua e là abusi e contraddizioni allo spirito dell’autentica liturgia cattolica ma, come ha affermato Giovanni Paolo II nel 1988, “questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla tradizione e apertura al legittimo progresso; perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale, “secondo i santi padri”” (XXV annus n. 4). Di conseguenza, nel chiarire le possibilità offerte ai tradizionalisti Giovanni Paolo Il precisava che “la concessione dell’indulto non è per cercare di mettere un freno all’applicazione della riforma intrapresa dopo il concilio (Udienza generale del 28.9.90).
Noi cattolici, ma per la convinzione profonda che il vescovo di Roma è il servo della comunione ecclesiale, obbediamo anche a prezzo di fatica, di sofferenza e di non piena comprensione di ciò che ci vien chiesto autorevolmente e che non contraddice il vangelo: siamo anche capaci di obbedienza pur dissentendo lealmente e con pieno rispetto. Questa obbedienza che vuole essere evangelica e “in ecclesia”, richiede che ci esercitiamo a pensare e riflettere per capire maggiormente e per animare la comunicazione in vista di una comunione matura e salda, per fare di tutto affinché la chiesa non soffra di disordine e di ulteriori contrapposizioni: chi ha un vero sensus ecclesiae questo soprattutto teme!
Dunque questo “motu proprio” deve essere accolto come un atto di Benedetto XVI teso a metter fine allo scisma aperto dai lefebvriani e alla “sofferenza” di altri pur restati in comunione con Roma. Il papa è consapevole che più passano gli anni, più le posizioni si induriscono, più ci si abitua allo scisma e si affievolisce il desiderio di una reciproca riconciliazione tra chiesa e scismatici. Per questo il papa autorizza con liberalità la celebrazione della messa conformemente al messale detto di Pio V. Si esce così dall’indulto concesso da Giovanni Paolo II, perché allora si dava la possibilità di celebrare la messa detta di Pio V se il vescovo lo permetteva, mentre ora vi è la possibilità di celebrarla e il vescovo non può proibirla. Non è più dunque “eccezionale” ma “straordinaria”, non è più una deroga alle regole ma permessa dalle regole.
Ma per chi è stata promulgata questa nuova legislazione? La risposta non è semplice perché quanti chiedono la possibilità di praticare il messale di Pio V sono una galassia numericamente ridotta ma molto variegata. In tutto il mondo questi cattolici con sensibilità tridentina sono circa 300.000 con circa 450 preti, sul totale di un miliardo e 200 milioni di cattolici, e di essi circa la metà appartiene alla porzione scismatica dei seguaci di mons. Lefebvre. Nel “motu proprio” si pensa certo a questi ultimi – per quali, afferma la lettera, “la fedeltà al messale antico divenne un contrassegno esterno” – ma c’è attenzione soprattutto ai tradizionalisti in comunione con Roma, quelli legati al rito diventato per loro familiare fin dall’infanzia.
Accanto a questi cattolici, scismatici o no, all’orizzonte affiorano anche giovani preti che vorrebbero ritornare all’antico rito e alcuni movimenti ecclesiali che auspicano una ripresa di un’i-dentità fondamentalista cattolica; vi è poi un’appariscente deriva di confraternite e ordini cavallereschi vari che attendono di poter celebrare in latino per rinvigorire il loro folklore e ridare lustro alle loro livree medievali.
Ma qui sorge una serie di domande che esigono una risposta evangelica e una responsabilità conforme al sensus ecclesiae da parte di tutti: vescovi, presbiteri, fedeli cattolici. Non è che questi gruppi si nascondano dietro i veli della ritualità post-tridentina per non accogliere altre realtà assunte oggi dalla chiesa, soprattutto attraverso il concilio? II messale di Pio V non rischia di essere il portavoce di rivendicazioni di una situazione ecclesiale e sociale che oggi non esiste più? La messa di Pio V non è per molti una messa identitaria, preferenziale e dunque preferita rispetto a quella celebrata dagli altri fratelli, come se la liturgia di Paolo VI fosse mancante di elementi essenziali alla fede? C’è oggi troppa ricerca di segni identitari, troppo gusto per le cose “all’antica”, soprattutto in certi intellettuali che si dicono non cattolici e non credenti e misconoscono il mistero liturgico. E ancora, perché alcuni giovani che non sono nati nell’epoca post-tridentina e non hanno mai praticato come loro messa “nativa” quella pre-conciliare, vogliono un messale sconosciuto? Cercano forse un messale lontano dal cuore ma praticato dalle labbra? E se la celebrazione della messa risponde alle sensibilità, ai gusti personali, allora nella chiesa non regna più l’ordo oggettivo, ma ci si abbandona a scelte soggettive dettate da emozioni del momento. Non c’è forse il rischio, in questo soggettivismo, di incoraggiare ciò che Benedetto XVI denuncia come obbedienza alla “dittatura del relativismo”?
E perché coloro che chiedono il rito di Pio V si sentono i “salvatori della chiesa romana”? Salvatori rispetto a cosa? A un concilio ecumenico presieduto dal vescovo di Roma? Perché assicurano: “Vinceremo… tutta la chiesa tornerà all’antica liturgia!”? Questo non è un cammino di riconciliazione e di comunione, ma di rivincita, di condanna dell’altro, di rifiuto di riconoscere le colpe rispettive… Sì, c’è il timore che si risvegli nella chiesa una serie di rapporti di forza in cui c’è chi perde e chi guadagna. Ma questo risponde più a un’ottica mondana che a un’ottica evangelica!
Ogni cattolico – anche chi come me può testimoniare con gioia per averlo a lungo praticato che il messale di Pio V lo ha fatto crescere nella fede, nell’intel-ligenza eucaristica e nella vita spirituale e lo sente come un monumento liturgico, un’architettura rituale capace di far vivere la comunione diacronica di tutta la chiesa – deve interrogarsi per non lasciare spazio a forme di idolatria e, con il cardinale Ratzinger, “ammettere che la celebrazione dell’antica liturgia si era troppo smarrita nello spazio dell’in-dividualismo e del privato e che la comunione tra presbiteri e fedeli era insufficiente”. Sì, nessun idealismo né sul messale né sulla sua pratica e non sia un messale a far guerra all’altro messale, perché così si sfascia la chiesa.
Mons. Fellay (il successore di Lefebvre alla guida della Fraternità San Pio X) ha dichiarato che “la liberalizzazione del messale di Pio V provocherà una guerra nella chiesa con una deflagrazione pari a quella della bomba atomica”. Sono parole gravi, ma che ci fanno restare vigilanti! Benedetto XVI scrive nella lettera che d’ora innanzi non ci sono due riti ma “un uso duplice dell’unico e medesimo rito” e tuttavia non si possono tacere le differenze: tra un “uso” e l’altro ci saranno letture bibliche sempre diverse, si vivranno i tempi liturgici in modo diverso, con feste del Signore e dei santi in date diverse; con il messale di Pio V si sarà autorizzati a pregare in modo non conforme all’inse-gnamento ecumenico del Vaticano II, così si pregherà per “eretici e scismatici perché il Signore li strappi da tutti i loro errori”, mentre per gli ebrei si userà l’espres-sione “popolo accecato”. Cosa significherà questo nei rapporti ecumenici con le chiese e con gli ebrei?
Sì, verificheremo cosa accadrà nella chiesa e come crescerà o sarà contraddetta la comunione. Sarà determinante l’azione dei vescovi, ai quali “spetta salvaguardare l’unità concorde, vissuta nelle celebrazioni della diocesi” (Sacr. Car. 39). La stragrande maggioranza dei vescovi e intere conferenze episcopali nazionali e regionali, anche italiane, hanno manifestato la loro opposizione a questo provvedimento, ma ora nel-l’obbedienza e per amore della chiesa dovranno discernere come compaginare la comunione che è sempre innanzitutto comunione liturgica. I vescovi non smettano di chiedere a quanti vogliono praticare la messa di Pio V un’accettazione del concilio e della sua riforma liturgica come legittima e conforme alla verità e alla tradizione cattolica: le espressioni possono essere diverse, ma uno è il vescovo e il presbiterio attorno a lui. L’unità non può essere realizzata a qualsiasi prezzo, né a prescindere dall’autorità del vescovo in comunione con il papa. II viaggio della barca della chiesa non è ancora giunto al suo termine e nessun porto può diventare una meta, ma solo un luogo di sosta e di transito: anche il messale di Pio V, anche quello di Paolo VI… C’è ancora un altro domani anche per la forma della liturgia.
Saluti Leone