“Quando si rompe così il ritmo delle cose [com’è avvenuto con il mio sequestro] esse [le piccole circostanze della vita], nella loro semplicità, risplendono come oro nel mondo”: parole di Aldo Moro in una lettera dalla prigione delle Brigate Rosse. Sono passati 35 anni dall’uccisione di Moro, avvenuta il 9 maggio 1978 e dalla preghiera di Papa Montini per lui in San Giovanni in Laterano, gridata a Dio l’11 maggio. Ogni anno in questi giorni rileggo qualcuna delle sue lettere alle quali guardo come a un documento del sentimento cristiano nel fuoco della nostra epoca. Quest’anno ho riletto la lettera che Aldo scrive a Noretta il 26 marzo, domenica di Pasqua e a essa dedico un bicchiere di Vino Nuovo. Per una lettura riconoscente delle lettere di Moro svolta da Roberto Contu leggi qui.
La memoria di Aldo Moro come oro nel mondo
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” Le missive stesse di testamento che il prigioniero scrive in più versioni ci parlano del valore immenso delle piccole cose in un momento di buio totale…”
Luigi, colgo in queste parole qualcosa di quel che ho detto nel post precedente.
Il valore delle piccole cose è immenso, ma purtroppo molto spesso ci sfugge quando le viviamo nell’immediato. Risplende come oro, invece, quando per qualche motivo siamo portati a riviverle con nostalgia, nella memoria, perché ormai passate e lontane.
Dio è presente anche nelle piccole cose che rendono bella la vita, ma noi le banalizziamo in una abitudine che ci impedisce di assaporarne la bellezza.
Dovremmo educare noi stessi a guardarle con gli occhi incantati del bambino che fa nuove scoperte e ne gioisce.
Da piccola, quando ancora non sapevo di Dio, restavo incantata, commossa fin quasi alle lacrime, da certi paesaggi di straordinaria bellezza, e dentro di me ringraziavo Qualcuno–e non sapevo chi fosse, ma DOVEVA esserci–per aver creato quelle meraviglie.
Ecco,se riscoprissimo la semplicità delle piccole ma “grandi” cose intorno e vicino a noi, sentiremmo più spesso la presenza di Dio.
Aldo Moro è stato un martire e, come tale, non può che risplendere, nella Storia, come luce viva di Dio.
Certo, guardando a ritroso la tragedia che abbiamo vissuto, non possiamo che stupirci di come abbiamo fatto a sopravvivere e a riprendere, bene o male, il cammino.
Proprio in questi giorni mi è capitato di prendere in mano il libro di Sciascia su Moro, inizia così:
“Ieri sera, uscendo per una passeggiata, ho visto nella crepa di un muro una lucciola. Non ne vedevo, in questa campagna, da almeno quarant’anni: e perciò credetti dapprima si trattasse di uno schisto del gesso con cui erano state murate le pietre o di una scaglia di specchio; e che la luce della luna, ricamandosi tra le fronde, ne traesse quei riflessi verdastri. Non potevo subito pensare a un ritorno delle lucciole, dopo tanti anni che erano scomparse. Erano ormai un ricordo: dell’infanzia allora attenta alle piccole cose della natura, che di quelle cose sapeva fare giuoco e gioia. Le lucciole le chiamavamo cannileddi di picuraru, così i contadini le chiamavano. Tanto consideravano greve la vita del pecoraio, le notti passate a guardia della mandria, che gli largivano le lucciole come reliquia o memoria di luce nella paurosa oscurità. Paurosa per gli abigeati frequenti. Paurosa perché bambini erano di solito quelli che si lasciavano a guardia delle pecore. Le candeline del pecoraio, dunque. E ogni tanto ne prendevamo qualcuna, la tenevamo delicatamente chiusa nel pugno per poi aprirne a sorpresa, tra i più piccoli di noi, quella fosforescenza smeraldina.
Era proprio una lucciola, nella crepa del muro. Ne ebbi una gioia intensa. E come doppia. E come sdoppiata. La gioia di un tempo ritrovato – l’infanzia, i ricordi, questo stesso luogo ora silenzioso ora pieno di voci e giuochi – e di un tempo da trovare, da inventare. Con Pasolini. Per Pasolini. Pasolini ormai fuori dal tempo, ma non ancora, in questo terribile paese che l’Italia è diventato, mutato in se stesso (“Tel qu’en Lui-même enfin l’éternité le change”). Fraterno e lontano, Pasolini per me. Di una fraternità senza confidenza, schermata di pudori e, credo, di reciproche insofferenze. Per mia parte sentivo come un muro che ci separasse una parola a lui cara, una parola-chiave della sua vita: la parola “adorabile”. Può darsi che questa parola io l’abbia qualche volta scritta, e sicuramente più volte l’ho pensata: ma per una sola donna e un solo scrittore. E lo scrittore – forse è inutile dirlo – è Stendhal. Pasolini trova invece “adorabile” quel che per me dell’Italia era già straziante (ma anche per lui, ricordando un “adorabili perché strazianti” delle Lettere luterane: e come si può adorare ciò che strazia?) e sarebbe diventato terribile. Trovava “adorabili” quelli che inevitabilmente sarebbero stati strumenti della sua morte. E attraverso i suoi scritti si può compilare un piccolo dizionario delle cose per lui “adorabili” e per me soltanto strazianti e oggi terribili.
Le lucciole, dunque. Ed ecco che – pietà e speranza – qui scrivo per Pasolini come riprendendo dopo più che vent’anni una corrispondenza: “Le lucciole che credevi scomparse, cominciano a tornare. Ed è stato così anche con i grilli: per quattro o cinque anni non li ho sentiti, ora le notti sono sterminatamente gremite del loro frinire”.”
“Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. ”
Quando rapirono Moro ero bambina, le lucciole c’erano ancora ci illuminavano la strada quando andavamo alla Chiesetta per il rosario.
Che bella pagina, straziante e bella (capisco un po’ Pasolini, anche se non la definirei certo adorabile; ma il senso di una dolorosa bellezza, quello sì, si può provare, credo…)
Grazie Sara
(Si aprirebbe poi una lunga riflessione su “come si può adorare ciò che strazia?” e il mistero numinoso e tremendo di cui parla Rudolf Otto, ma credo che la discussione ci porterebbe proprio troppo lontano…)
Tu eri una bambina Sara, io una mamma bambina. Ricordo perfettamente quel periodo che, invero, preferirei dimenticare sotto tutti i punti di vista. Ma non si può. Ci sono eventi che segnano, specie quando la storia personale s’incrocia e s’ingloba dentro la memoria storica. Allora le ferite inferte alla società civile, con violenza,sono le nostre ferite che non possono essere rimosse. L’atmosfera di morte che si respirava in quel periodo era palpabile, coinvolgeva tutti. La storia del nostro paese dal dopo guerra, ma anche prima è una storia -come direbbe il Guicciardini e di grande uso corrente- fatta di “micce accese”pronte ad esplodere . In quel pridodo si era tutti dentro la medesima “bolla” : ricordi nitidi di un film in bianco e nero che rievoca paura iniziata con la strage alla stazione di Bologna nel 69 [ scene di morte: i nostri compitini elementari non narravano d’altro] cui seguì quella di Brescia e il treno “Italicus”nel 74. La morte di Moro, perciò, segnò la fine di un decennio di sangue.Eppure, tante riforme erano state sancite in quel decennio, dal nuovo diritto di famiglia alla riforma della sanità della scuola e molte altre. Eppoi, sull’onda di un femminismo esasperato la lotta per i figli solo se desiderati e gli altri destinati alla cloaca che si concluse con la legge sull’aborto. Si rivendicava la libertà sessuale e la parità uomo donna. Ideologie che , se da un lato risultavano di grande fascino e verità, dall’altro galvanizzavano e influenzavano generazioni di giovani donne che in realtà non possedeva gli strumenti per esercitare tante idee innivative e rivoluzionarie. Certamente i tempi non erano maturi e le armi spuntate: frutti velenosi, di morte, se ne raccolsero a ceste nei decenni a seguire. Che i tempi non furono maturi ora come allora ce lo raccontano le storie di femminicidio che macchiano a tutt’oggi di sangue la cronaca.
La strage di Bologna è dell’80, me la ricordo benissimo nonostante avessi solo 9 anni.
Qualche anno fa ho scoperto che non c’entravano allora le brigate rosse, ma l’esatto opposto ossia terrorismo nero di estrema destra, prima l’avevo sempre accostata alle BR.
Gli opposti si toccano Clodine si fanno stragi per qualsiasi motivo fanaticamente perseguito.
Su Moro pur essendo piccola ricordo di aver vissuto quei giorni con un senso di grande disperazione, pensavo a questo uomo solo che sapeva di dover morire, anche la maestra ci fece pregare per lui in classe, poi finì così, un trauma.
Mi riferivo alla strage di Piazza Fontana [1969] …è stato un lapsus. In realtà quella di Bologna ,come dici tu giustamente, è dell’80…il 2 Agosto.
Se non ho capito male anche Piazza Fontana rientra nel terrorismo nero, quella di Bologna la ricordo bene perchè era estate eravamo a casa di scuola, interruppero i programmi per l’edizione straordinaria.