Manzoni 5. “Io anderò oggi a parlare a quell’uomo” dice fra Cristoforo ad apertura del capitolo quinto dei Promessi Sposi disponendosi a salire al palazzotto di don Rodrigo. Dice “quell’uomo”, non dice “belva”, o “mostro”, o “diavolo”, o anche solo “sciagurato”. Chi crede di poter richiamare qualcuno all’umano inizia dal chiamarlo uomo: così Paolo VI un giorno scriverà agli “uomini” delle Brigate Rosse. Sciascia intenderà la lezione e rivolgendosi anch’egli, più tardi, il 14 gennaio 1981, ai rapitori del giudice D’urso ricorderà l’audacia dell’appellativo papale: “E’ la prima volta che mi rivolgo direttamente alle Brigate Rosse. Non agli uomini delle Brigate Rosse, poiché non sono fino a questo punto cristiano, ma a questa mostruosa astrazione che si è così denominata: Brigate Rosse“. Il cristiano chiama “uomo” il reo perché confida che il riscatto sia sempre possibile. “La realtà può cambiare, l’uomo può cambiare” ha detto Papa Bergoglio ora ora a Rio.
“Io anderò oggi a parlare a quell’uomo”
25 Comments
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Per le altre puntate manzoniane ho svolto più commenti ma oggi non ne ho il tempo e del resto questo primo richiamo è già bastante.
“Del bene se ne può far per tutto”, dice poco dopo il vecchio servitore di don Rodrigo che va ad aprire a fra Cristoforo. Mi pare detto bene.
Per la forza che possono avere i semplici aggettivi, a saperli adoperare, cito l’incipit del paragrafo seguente: “L’uomo onesto in faccia al malvagio…“. Per oggi accontentatevi.
In questi due punti penso ci sia quello che io trovo sia il centro del cristianesimo.
Siamo tutti fratelli, ricchi e poveri, l’immigrato e Berlusconi, chi vive in una capanna e chi in un palazzo dai rubinetti d’oro.
E si può cambiare, se penso alla resurrezione penso a questo: chiunque può risorgere, dal buio e dalle profondità in cui talvolta l’uomo scende, si può sempre risalire.
Più passano gli anni e più mi piace questo minimalismo cristiano, una teologia del quotidiano che ama le pianure più che le montagne. (questa frase l’ho trovata su un articolo di Avvenire ” Ma io non sono l’uomo delle cime, sono l’uomo della pianura” riferita a Peguy mi piace particolarmente, sarà che ho sempre vissuto con uomini delle cime).
Qua piove buon giorno a tutti.
Mi pare proprio bello chiamare Uomini tutti gli uomini, donne comprese, ovviamente nel senso giusto.
E penso anche che chiamarli fratelli piacerebbe ancora di più al Papa.
I fratelli vanno amati, ed amarli significa anche darsi da fare concretamente, tutti noi, TUTTA la Chiesa, per mettere in pratica questo amore.
E questo vuol dire spiegare come agire per mettere in atto questo amore, affrontare tutte le difficoltà alle quali si va incontro, promuovere azioni concrete, dedicando del tempo, come facciamo per dimostrare il nostro amore per Dio.
Un Monsignore ha recentemente ricordato a noi romani una frase di Kierkegaard:
“salvaci dall’errore di volerti ammirare o adorare nell’ammirazione invece di seguirti ed assomigliare a Te”
Ed è proprio così: non si può affermare di amare Dio senza fare del tutto per capire cosa vuole da noi e fare del tutto per metterlo in pratica.
Peguy, però, era una cima.
Ringrazio Sara1,
sarebbe bello che portassimo l’approccio (non solo lo stile e non solo i contenuti) di Charles in molte nostre discussioni.
Per quanto riguarda il post,
credo che – almeno in questo caso – il modo di porre la questione da parte di Sciascia, sia altrettanto cristiano.
Non conosco particolarmente bene Peguy, (per quel poco certo non si può dire che fosse uomo piano) la frase che mi ha colpito però è questa: «Claudel manca di semplicità. Ricerca tutto ciò che è estremo, pericoloso, eccezionale. Ha sempre bisogno di oltrepassare i limiti. Il suo cristianesimo possiede qualcosa di provocatorio! Intendiamoci bene, perché non voglio che si creino, non debbono esserci malintesi fra Claudel e me. Sia lui che io lavoriamo per il sacro. Ma io non sono l’uomo delle cime, sono l’uomo della pianura… Marcio con la plebe, seguo i percorsi di qualsiasi altro uomo, rimango a fianco di tutti gli altri uomini, di tutti coloro che vivono, è il caso di dire, la grazia di Dio»
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/peguy-claudel-singolar-tenzone.aspx
Io amo entrambi.
Nelle lettere, sono il Francesco e il Benedetto del nostro tempo.
O no?
Forse sto per scrivere una sciocchezza. Guardate qui:
http://attualita.vatican.va/sala-stampa/bollettino/2013/08/10/news/31535.html
Sbaglio o è una novità assoluta?
E’ nominato un MISSUM EXTRAORDINARIUM per “prendere parte” alle celebrazioni?
Ho visto che ci sono latinisti… si potrebbe tradurre? Grazie infinite.
No grazie! Per ogni argomento in forma straordinaria si rischia l’ostracismo.
Scusate, lo trovate anche nel post precedente, ma mi sono confusa:
http://www.corriere.it/cronache/13_agosto_10/noi-vasi-argilla_c1dfd7c2-0183-11e3-92ac-e02b389c51e0.shtml
@ lyco delle 12.04
ma lo sai che ho pensato la stessa cosa? L’immagine di Benedetto e Francesco!…
giuseppe2 in quella formula non c’è novità: i Papi nominano in continuità – diciamo tre al mese e anche più – tali inviati straordinari: ovunque non possano andare – cioè in 99 luoghi su cento nei quali vengono invitati per le più varie ricorrenze – incaricano qualcuno di rappresentarli, e se non si tratta del nunzio in quel paese, che sarebbe un “missus ordinarius”, sarà un “missus extraordinarius”, cioè un “inviato straordinario”. Qui per esempio il MISSUM EXTRAORDINARIUM NOSTRUM è il cardinale Erdo:
http://attualita.vatican.va/sala-stampa/bollettino/2013/07/27/news/31467.html
Siria, un sms di padre Dall’Oglio “Sto trattando per i vescovi rapiti”
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201308/130810delre.pdf
Se è vero bene fa
ma, nelle missioni diplomatiche, certe cose si fanno e non si dicono, altrimenti si rovina tutto.
Questo, fresco fresco, per la felicità di Sara1:
http://ilblogdiraffaella.blogspot.it/2013/08/mistica-e-modernita-il-6-agosto-1978.html
Ho visto ieri sera che è riaperto. Meglio così, massimo disaccordo ma mi pare cosa buona e giusta che ognuno abbia i suoi spazi.
Di Paolo VI ricordo solo la sua morte, facevamo una festa tutti gli anni in Agosto per riunire la famiglia (numerosa) venne mia zia ad annunciarci la sua scomparsa, per il resto ero troppo piccola, non ho alcuna immagine cui far riferimento.
Se posso permettermi una piccola chiosa all’ineccepibile spiegazione di Luigi, una volta i papi mandavano sempre e non andavano mai. Ora continuano a mandare, ma molto spesso vanno di persona (alla GMG, tanto per fare un esempio). Tutti troveranno che è molto meglio oggi, e sarà senz’altro così … però il sistema precedente esprimeva forse di più la collegialità ed esponeva meno al rischio del personalismo: il cardinale che presenziava era il rappresentante “del papa”, cioè della funzione di comunione e di governo che in lui si incardina, non della persona che, pro tempore, la esercita.
6 agosto 1978, ho seguito in diretta radio l’evolversi fatale della situazione. Data che sono del 1957, i due precedenti papi sono stati più un idealtipo di papa, che un papa in carne ed ossa. Montini fu il primo.
Franti ha ragione però ragione su un punto, che in gergo paleo-fotografico potrebbe definirsi: effetto sovra-esposizione. Nel mio caso, però, fu la morte del primo papa in carne ed ossa a farmi cominciare a riflettere ed approfondire. A me è servita molto, questa sovra-esposizione, purtroppo per voi che ora mi dovete sopportare…
Per fortuna Lycopodium, per fortuna…
Onoratissimo.
Se Luigi consente, un piccolo salto tra letteratura e letteratura. Sciascia non era credente, o quantomeno cattolico. E’ interessante la critica che lancia al Novus Ordo in “Todo Modo” (1976), quando il protagonista segue gli esercizi spirituali dei democristiani: ad un certo punto considera le parole della Consacrazione, e dice che si è persa la dimensione del sacro. Poi racconta del pranzo tra sacerdoti, in cui descrivono Paolo VI “come un ministro” (non ho qui il volume e non posso trascrivere, contentatevi che vado a memoria”. Trovo quantomeno affascinante la figura di Don Gaetano e il dialogo che intrattiene sulla Chiesa col protagonista, il pittore che alla fine non si capisce se sia lui l’assassino di tutti i notabili (o almeno di don Gaetano).
In Sciascia, a me pare, c’era forse una cosa che aveva anche Giovanni Falcone e cioè la “nostalgia della fede”. E avverto, avendo letto quasi tutto del maestro di Racalmuto (e che Maestro!) e non solo i suoi due romanzi classici rifilati agli studenti delle superiori, che in qualche modo quest’uomo alla fine ha cercato di trovare Dio. Aveva perso un fratello suicida appena ventenne, ha scritto delle feste religiose in Sicilia (beccandosi una stroncatura dell’Osservatore Romano), trattato delle “Parità” di Serafino Amabile Guastella di feroce critica a un certo modo di credere. Eppure nel morire si è fatto mettere un crocifisso nella bara, ha ricevuto funerali religiosi e tutto quel che resta è una sorta di scommessa pascaliana che dà per vinta, il suo epitaffio. Credo sia Teilhard de Chardin, se ben ricordo e scrivo: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. Ricorda tanto quel “Lassù, spero”, di padre Cristoforo, con cui si congeda da Renzo, Lucia e i lettori.
Altra cosa: “L’affaire Moro”, quando chiude il capitolo sulla telefonata con cui viene indicato dov’è l’R4 col cadavere di Moro. Sciascia osserva che Moro è diventato, nell’ultima telefonata, “il presidente”. E dice una cosa che suona più o meno così: il brigatista che ha fatto questa telefonata (Gallinari?), ha avuto un momento di esitazione, un sentimento di umana pietà. Spero che questo sentimento riesca a entrare nella sua coscienza. E che lo devasti.
O ancora, parlando della reazione della DC, il no alla trattativa: “Montequieu diceva che una repubblica di buoni cristiani non può durare. Una di buoni cattolici invece sì. In questo modo”. Scusate la tirata e – in anticipo – l’imprecisione delle citazioni. Un abbraccio a tutti.