Manzoni 6. “Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casaccia, fra Cristoforo respirò più liberamente, e s’avviò in fretta per la scesa, tutto infocato in volto, commosso e sottosopra, come ognuno può immaginarsi, per quel che aveva sentito, e per quel che aveva detto”: così il cappuccino all’uscita dal palazzotto di don Rodrigo, nel mezzo del capitolo sesto dei “Promessi Sposi”. Mi chiedo a chi non sia capitato di trovarsi sottosopra almeno dieci volte ogn’anno per le parole dette e per quelle udite. E non solo scontrando un “malvagio” ma anche solo parlando con un figlio, o un collega, o un lettore: capitano baruffe coi lettori. Ma queste solo a chi scrive. Nei primi commenti altri spunti della mia lettura estiva del Manzoni, tutti dal sesto capitolo.
Infocato in volto, commosso e sottosopra
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Non intendiamo di dar giudizi. “Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d’aver dei fatti da raccontare” aveva detto subito prima il Manzoni del “vecchio servitore” che era stato a sentire all’uscio del suo padrone e aveva promesso al frate un qualche aiuto e il frate l’aveva lodato: aveva fatto bene ad origliare? Il Manzoni pone il problema e lo lascia risolvere al lettore “se ne ha voglia”. Noi giornalisti facciamo come i romanzieri: con meno ironia e più sicuri ci azzardiamo a staccare i giudizi dai fatti, riteniamo che ciò sia fattibile e ne meniamo vanto. Io tra loro.
Spoil system nella vecchia lingua. “Il nuovo padrone, dando lo sfratto a tutta la famiglia, e facendo brigata nuova, aveva però ritenuto quel servitore”: lo spoil sistem detto nella vecchia lingua.
Una gran pratica del cerimoniale. “Aveva però ritenuto quel servitore, e per esser già vecchio, e perchè, sebben di massime e di costume diverso interamente dal suo, compensava però questo difetto con due qualità: un’alta opinione della dignità della casa, e una gran pratica del cerimoniale”: se l’applicassimo a Papa Bergoglio e al Maestro delle Cerimonie Guido Marini?
Non è che, forse, fosse più “vecchio” e lavorativamente “anziano” il Piero nel 2005 che il Guido nel 2013?
(E il Piero venne “ritenuto” per due anni e mezzo da un Joseph Benedetto “di massime e di costume diverso interamente dal suo”. Per Guido, ché per ora son passati solo cinque mesi, vedremo..)
Nato a “Valverde (Pavia) 13 gennaio 1942. Arcivescovo. Dal 2007 presidente del Pontificio comitato per i congressi eucaristici internazionali. Dal 1987 maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, nel 2007 fu sostituito da Guido Marini (Genova 31 gennaio 1965). Fu opera sua la “regia” di tutte le grandi cerimonie dell’ultimo Giubileo.”
http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=MARINI+Piero
Alcuni altri, sempre “di massime e di costume diverso interamente dal suo”, li ritenne fino alla fine e fu la fine.
” Noi giornalisti facciamo come i romanzieri: con meno ironia e più sicuri ci azzardiamo a staccare i giudizi dai fatti, riteniamo che ciò sia fattibile e ne meniamo vanto. Io tra loro.”
Caro Luigi, mi chiedo se ci sia un solo giornalista che si esima dal dar giudizi sui fatti; e mi chiedo anche se sia possibile non formulare giudizi, almeno interiormente.
Io non credo. Per il fatto che tutti abbiamo una testa pensante e ogni avvenimento, anche il più banale, viene vagliato attraverso un metro personalissimo di giudizio.
Il brutto è che molti giornalisti fanno un gioco discutibilissimo ( o è meglio dire “sporco” ? ) proponendo proprie letture dei fatti con lo scopo preciso di influenzare i lettori, i quali per la verità non se ne accorgono affatto e assimilano come oro colato le opinioni altrui, senza esercitare le proprie facoltà di raziocinio.
Ciò detto, c’è da chiedersi: sarà mai possibile riuscire a cercare il massimo di obiettività possibile con cui proporre fatti e parole altrui, andando oltre i propri convincimenti, spesso originati da faziosità, per dare spazio, il più possibile, alla verità?
Secondo me questo è un preciso dovere di tutti, giornalisti e non.
È una questione di coscienza, semplicemente. E con la coscienza non si può venire a compromessi. O sbaglio?
A me succede spesso di trovarmi sottosopra, come Padre Cristoforo: meno spesso – ahimè ! – mi capita di respirare liberamente; ma lui, appunto, era Padre Cristoforo ………….
Buona domenica a tutti !
Roberto 55
Apprendo, dalla lettura del Vangelo di oggi, che adesso Gesù è venuto a «gettare il fuoco sulla terra» (Lc 12,49). Prima era venuto a «portare» il fuoco sulla terra. E c’è la sua bella differenza. Il miope traduttorino della Cei ha colpito ancora: vedendo che il testo greco porta “baléin”, la sua opinabile conoscenza del greco, la sua sicuramente incerta conoscenza dell’italiano e l’ancor più palmare limitata intelligenza della realtà gli hanno suggerito di tradurre con “gettare”, incurante del fatto che, tanto per cominciare, nella nostra lingua “gettare il fuoco” è una locuzione quasi inesistente, anche perché descrive un’azione impossibile: al massimo si possono “gettare” degli oggetti infuocati, non il fuoco.
Ne viene fuori un Cristo al napalm (se la vostra immaginazione tende a destra, zona berretti verdi e B52) o molotv (se tendete a sinistra). In ogni caso un terrorista.
Il Cristo di prima, quello che “portava il fuoco”, invece, veniva nel mondo con un dono prezioso (e pericoloso, come tutti i doni preziosi), di fronte al quale la responsabilità di ciascuno è messa alla prova. Di qui la divisione, tra chi accetta e chi rifiuta quel dono. L’ambivalenza del simbolo del fuoco, (che vuol dire calore e vita ma anche purificazione e anche morte e distruzione) era fondamentale per il senso del messaggio, ma si perde completamente nella trivialità di quel “gettare” (il cui campo semantico confina, non lo si dimentichi, con quello di “buttare”).
Il traduttorino collettivo (direbbe Ferrara) ormai lo conosciamo, ma i vescovi italiani che cos’hanno nella testa? L’hanno letta la nuova traduzione, prima di approvarla?
Grande Franti! Ti posso dare un bacio!? Se proprio ti faccio “specie”….te lo dò sul naso ok? SMAK
Luigi Franti avevo letto il “gettare il fuoco” della nuova traduzione come inteso al recupero della tonalità apocalittica che è di tutto il brano, in rispondenza ad Apocalisse 8,5, dove il verbo greco è lo stesso “balein” – credo – del testo di Luca letto oggi: “Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, voci, fulmini e scosse di terremoto“.
“Gettare il fuoco” o “portare il fuoco” ?
Quando si vuole sottilizzare, con un sottinteso intento polemico ( secondo me voluto) nei confronti dei “traduttorini”– magari giovani, mannaggia!– sciocchi, “miopi” e “ignoranti”, sull’uso dei termini usati nella più recente versione dei sacri testi, si rischia di prendere qualche cantonata di troppo.
Con tutto il rispetto nei confronti del Franti, tanto esigente (?) quanto alquanto capzioso, mi viene da rilevare che forse si è dimenticato che, anche andando oltre l’etimologia ( da non sottovalutare, per la verità), esistono i traslati e, in certi casi, si impone una pregnanza di significato che andrebbe, comunque, colta.
Il che vuol dire semplicemente che sarebbe bene per tutti riuscire a trovare ( non è poi così difficile) nelle parole, nelle espressioni usate, il vero significato del concetto espresso, senza perdersi in vacue–spesso superflue– disquisizioni di carattere linguistico.
Mi sembra risibile la lettura di un Cristo “terrorista”.
“Gettare il fuoco” sarebbe una “trivialità”? A me non pare. Proprio non mi pare.
Forse si può ammettere una sorta di cacofonia, derivata ANCHE–almeno lo credo– dalla lunga abitudine al “portare”.
Certo è che, in questo caso, il senso è uno solo pur nei due verbi diversi.
Ad ogni modo è del tutto plausibile, ed anche suggestiva, la spiegazione data da Luigi.
Vero è che tutte le volte che c’è un cambiamento, in quasiasi faccenda, molti si sentono infastiditi. Molti addirittura rischiano la gastrite.
Inoltre osservo che, fuoco o non fuoco, “portare” o “gettare”, Cristo stesso è il DONO prezioso, da capire, seguire, accettare o meno.
Ma qui si approda ad altro discorso.
Il Franti del 18 agosto 2013 @ 12:26 è quello che preferisco.
“La mia faccia sotto i vostri piedi, e potete anche camminare, potete anche muovervi”
“Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, voci, fulmini e scosse di terremoto“.
Getto l’incensiere ripieno del fuoco?
Getto solo il fuoco di cui era ripieno l’incensiere?
Ubi gettò tutto il turibulo senza badare a spese:
Et accepit angelus turibulum et implevit illud de igne altaris et misit in terram; et facta sunt tonitrua et voces et fulgura et terraemotus
Nova Vulgata
Il versetto di Luca la Nova Vulgata lo rende così:
Ignem veni mittere in terram et quid volo? Si iam accensus esset!
Magari sarà come dici tu, caro Luigi: l’apocalittica e tutto il resto. O magari no (sono certo a priori che ci saranno cento esegeti che dicono una cosa e cento che dicono il contrario, tutto con le note come si deve e la bibliografia in tedesco). Ma non è questo il problema, dal mio punto di vista.
Il fatto è che quasi ogni domenica, ascoltando le letture della messa, io mi scandalizzo. Un pochino solo, d’accordo, non è uno scandalo grave … ma è pur sempre uno scandalo. E non è bello.
Si trattasse dell’Eneide, dell’Amleto o del Faust … per me possono farne anche una nuova traduzione alla settimana. Chi se ne frega? Le parole degli uomini, anche le più alte e nobili, sono parole degli uomini, effimere e transeunti come loro. L’immortalità della poesia, “l’armonia che vince di mille secoli il silenzio” ecc. ecc. sono fanfaronate alla Foscolo.
Ma la parola di Dio no. “Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno”. La parola di Dio non passa, è eterna. Anche quando si riveste nei vasi di creta del nostro povero linguaggio umano, secondo la legge dell’incarnazione, e soggiace alle sue povere leggi, rimane un’altra cosa dalla nostra umana parola.
Qui, poi, stiamo considerando la parola di Dio non come oggetto di studio, ma come parola liturgica, parola da servire nel culto, parola da pregare e da venerare. Chi la vuole anche studiare, si accomodi e applichi pure tutti gli strumenti che vuole (dall’esegesi storico-critica alla TAC e alla risonanza magnetica), traduca e ritraduca finché gli pare …
Ma la liturgia è (dovrebbe essere) un’altra cosa. Cosa di Dio, non cosa nostra.
O Franti è voluto esser benigno, ho gli è sfuggita l’opportunità -purtroppo per niente ironica- di scrivere :
Cosa di Dio, non “cosa nostra”.
Perchè alcuni la trattano proprio come “cosa nostra”, cioè metodo mafioso…
Ohhhhhhhhh, qullo “ho” leggasi “o”
Dunque, delle due l’una: o la chiesa, quando ha deciso, 50 anni fa (che sono un battito di ciglia rispetto alla storia della salvezza), di usare nella liturgia una traduzione italiana della Sacra Scrittura ha scelto una traduzione contenente degli errori così gravi che era necessario sanarli, oppure quella traduzione non conteneva errori o imperfezioni così gravi da rendere indispensabili delle mende.
Nel primo caso lo scandalo sì che sarebbe grave, anzi gravissimo: vorrebbe dire che per mezzo secolo abbiamo pregato una parola falsa, adulterata. Ma credo che nessuno pensi questo.
Allora perché il bisogno di una nuova traduzione? Non sanno, quei signori, che quelle parole erano già intrise delle preghiere, delle lacrime forse, degli infiniti atti di amore e di adorazione dei cristiani che le hanno ascoltate, lette, meditate in questo mezzo secolo?
Quando, nella guarigione del paralitico, hanno cambiato il “lettuccio” in una “barella”, è una stupidata perché si potrebbe dire che l’uno vale l’altra. Ma quel “lettuccio” era santo, perché santificato dalla fede e dall’amore di tanti (quanti? solo Dio lo sa) che hanno ascoltato e meditato quel racconto. Loro, invece l’hanno buttato via.
Quando “i vignaioli” della parabola son diventati “contadini”, potrebbe perfino apparire una scelta felice per una volta (se davvero pensiamo che la rabbia omicida sia una cosa più da cafoni affamti che da raffinati enologi, il che è tutto da dimostrare). Ma, in ogni caso, ne valeva la pena?
Quando impariamo che non era mica vero che Paolo avesse detto: “completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo”, perché invece aveva detto “completo ciò che manca nella mia carne ai patimenti di Cristo” (cito a memoria, ma la sostanza è questa), a noi pusilli non si confondono un po’ le idee?
Insomma, lo scandalo deriva dall’impressione che non vi sia, al fondo, un atteggiamento autenticamente religioso verso ciò che è (dovrebbe essere) sacro. Invece dell’obbedienza, del piegarsi alla volontà di un Altro, che si rispecchiava nella reverenza con cui si eseguiva tutto, anche il minimo particolare, nella liturgia, una disinvolta manipolazione di tutto.
consiglio a Luigi Franti quando alla Messa viene ferito dalle nuove orribili traduzioni della CEI la preghiera che dico dentro di me quando sonoo ferita dalle nuove orribili canzonette simil pop cantate alla Santa Messa: Gesu perdona loro perche purtroppo sanno quello che fanno.
Ecco perché ogni volta che, ascoltando le letture della Messa, sento che hanno cambiato qualcosa non posso fare a meno di chiedermi: “ma perché hanno cambiato? Che cosa volevano? Dimostrare che sono più bravi? Ed è lecito usare della parola di Dio per far questo?”
La CEI ha trattato la Sacra Scrittura come un prodotto di cui, dopo un po’ di anni bisogna curare il restyling. Ma non si vergognano?
Come il lettuccio del paralitico anche il Salve Regina, anche il Confiteor anche l’AVE Verum, anche il Regina Celi laetare erano santificati dalle innumerevoli voci che le avevano cantate nei secoli: non erano piu semplice musica, semplici inni o sequenze, dal risuonare della prima strofa il fedele era gia inserito in una esperienza spirituale era gia parte del Sacro.
“La CEI ha trattato la Sacra Scrittura come un prodotto di cui, dopo un po’ di anni bisogna curare il restyling. Ma non si vergognano?”
Vescovi tutti, vergognatevi!
Lasciate le cose come stanno.Sempre.
Si sa che le traduzioni invecchiano e che, alla fine, chi invecchia non ha più posto. Ma forse, a lungo andare, invecchierà anche la coazione a tradurre.
In una vecchia Bibbia leggo:
“Sincere sono le busse di chi ama ingannevoli i baci di chi odia”.
Come traduce oggi?