“Roncalli e Montini, simili e diversi. Il Concilio fu un’esperienza fondamentale anche per il passaggio tra i due papi, realmente consoni nelle loro intenzioni fondamentali, ma con personalità del tutto diverse. Era interessante vedere papa Giovanni, totalmente carismatico, che viveva dell’ispirazione del momento e della vicinanza al popolo e, dall’altra parte, trovarsi papa Paolo VI, un’intellettuale che rifletteva su tutto con una serietà incredibile“: è un brano di un’intervista di Pasquale Chessa e Francesco Villari al cardinale Raztinger sulla sua partecipazione al Vaticano II realizzata per l’Archivio delle memorie di Raisat Extra. Riprendo il brano dal “Papa Ratzinger blog” che ha riproposto il 5 febbraio quell’intervista già pubblicata da Repubblica il 13 maggio 2005. Mi piace applicare le parole del cardinale Ratzinger sulla coppia Montini-Roncalli al rapporto tra papa Benedetto e Giovanni Paolo che come Roncalli ci appare “totalmente carismatico” e capace di affidarsi alla “ispirazione del momento”. Ma soprattutto trovo pienamente rispondente alla figura di papa Ratzinger quello che egli diceva di papa Montini: “Un intellettuale che rifletteva su tutto con una serietà incredibile”.
Incredibile serietà di papa Ratzinger
33 Comments
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Si tratta di un parallelismo tra quattro figure magnifiche, tutte tempestive e quindi, direi, provvidenziali.
Il collegamento Montini/Ratzinger lo trovo appropriato nei tratti fondamentali, anche se va detto che il primo era un intellettuale/politico, nel senso alto e nobile del termine, mentre Benedetto mi pare più disinteressato alla politica come metodo, istinto e risorsa di governo.
Si tratta comunque di tempi profondamente diversi, e quindi di necessità che sono cambiate.
Va anche detto che forse Benedetto riesce a dare di sè un’immagine più gioiosa e attrattiva di quanto non riuscisse a Paolo, che – per come si è svolto il suo ministero petrino – viene identificato molto con la figura del Cireneo.
Paolo VI è stato anche soprannominato, come tutti ben sapete, Paolo Mesto.
A prova che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: la parola GIOIA è al centro della predicazione e dell’entusiasmo evangelico di Montini.
Comunque la figura del Papa Cireneo è molto bella, è una conferma della sua grandezza, del suo senso profondo di responsabilità, della fatica implicata dal rispetto per tutti, dalla preoccupazione di andare avanti insieme, dal desiderio che ognuno si senta accolto, garantito anche nei passaggi più difficili e ostici.
Reputo un grave lacuna che su Montini non esista praticamente una biografia italiana completa, esauriente e davvero scientifica.
mi sa che sono anni quelli che bruciano ancora
troppa gente si è costruita il proprio personaggio, nel bene e nel male, allora
una biografia di montini mi somiglierebbe al libro di Calabresi sui figli delle vittime del terrorismo
a conclusione delle interviste su dossetti e lercaro a bologna, su repubblica locale è apparsa una intervista a melloni che dopo parole di fuoco sulla fine dell’episcopato di lercaro a bologna, in realtà conclude con aperture di speranza che sono davvero un bell’arcobaleno, vista la tempesta delle premesse
mi dicono che melloni ami i toni accesi, ma umanamente ne ho sentito anche dire un gran bene
luigi ci puo’ dire la sua sull’uomo melloni? – lasciamo il polemista e lo studioso fuori ….
Luigi scrivila tu una biografia su Montini ormai sei uno specialista
per chi ha avuto modo di non perdersi la fantastica puntata de La Grande Storia di Rai3
PAOLO VI, IL PAPA DIMENTICATO
di Luigi Bizzarri
collaborazione Paola Lasi
consulente storico Alberto Melloni e e Stefania Falasca
Il film-documento ripercorre la vicenda umana e religiosa di papa Montini e ricostruisce il contesto storico, sociale, di costume che a quella vicenda ha fatto da sfondo, ricollocando il Papa bresciano in prima fila nella storia della Chiesa del Novecento.
Giovan Battista Montini, è stato prima criticato, contestato e poi, semplicemente, dimenticato.
Eppure Paolo VI è stato il primo Papa del Novecento a varcare i confini italiani, ad andare in pellegrinaggio in Terra Santa, a viaggiare in Africa, America, Oceania e Australia, Asia, fin quasi alle porte della Cina; è stato il primo papa a parlare alle Nazioni Unite, perfino il primo Papa vittima di un attentato, in diretta TV.
Non solo: Paolo VI ha dovuto “gestire” l’utopia di Papa Giovanni, ha dovuto “traghettare nel mondo” la Chiesa uscita dal Concilio, ha dovuto ‘guardare in faccia’ la guerra del Vietnam.
Ha dovuto assistere, impotente e dolente, al dramma del rapimento e dell’assassinio dell’amico Aldo Moro, una morte tragica alla quale lui stesso non sopravviverà.
http://www.lagrandestoria.rai.it/category/0,1067207,1067034-1069515,00.html
Condivodo l’accostamento Montini-Ratzinger: entrambi sono due papi “intellettuali”, in parte incompresi perché preceduti da due papi “carismatici”.
Nell’ultima intervista di Melloni a “La Repubblica” su Lercaro ho trovato ingiuste le parole dedicate a Poma e alla sua “era”. Sicuramente ci sono state (purtroppo) incomprensioni, ma non darei la responsabilità (non direi “la colpa”) ad una parte sola. Personalmente ho vissuto nella Chiesa bolognese la stagione di Poma (sono stato per un triennio anche nel Consiglio pastorale diocesano) come una stagione importante, di attuazione del Concilio (tra i vescovi ausiliari c’era il futuro card. Cé, vero “motore” del rinnovamento pastorale); in quegli anni si sono sviluppate le strutture di partecipazione (Consigli pastorali), con l’apporto significativo dell’Azione cattolica e del volontariato, sono sorte iniziative come la Scuola diocesana di teologia per laici, la mensa di fraternità, i gruppi missionari… Ricordo anche che l’Azione cattolica chiamò Dossetti a tenere tre incontri di riflessione sulla Parola di Dio.
Inviterei quindi tutti a superare i pregiudizi e a non guardare la realtà (che è sempre più complessa dei nostri schemi) con “lenti” prefabbricate.
Il card. Lercaro fu protagonista “paradigmatico” in molti ambiti, tra cui quello dell’architettura liturgica. Nel bene (tantissimo) e nel “male”, come testimonia quello che scrive l’architetto Sandro Benedetti “L’architettura delle chiese contemporanee. Il caso italiano” Jaca Book 2000, pp. 49-58.
Nonostante la lunghezza, ve lo sottopongo, perché manifesta in fieri la medesima deriva di “auto-spoliazione culturale”, fatta propria anche da altre autorevoli personalità, in ultimo il citato Melloni.
Una deriva che non si è limitata ad “influenzare” (eufemismo!) i soli edifici in pietra, ma tutto l’edificio ecclesiale.
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«Episodio di decisa rilevanza ed esperienza di snodo tra la temperie antecedente il concilio Vaticano II e quella seguente è la vicenda sviluppatasi nella diocesi di Bologna tra la metà degli anni ’50 ed il 1968 . Significativo perché (tra poche in Italia) in essa un committente – il cardinale – si fa anima e motore sia della elaborazione e dello sviluppo delle riforme liturgiche, che poi saranno stabilizzate ed ufficializzate con il concilio Vaticano II, sia di un rapporto diretto attivo e stimolante nei confronti dell’operatività architettonica. . Sapendo suscitare e far lievitare un insieme di personalità e di iniziative che faranno unica la contingenza bolognese. Con l’organizzazione in pochi anni di significative azioni. Queste ed altre opere cadenzano il decennio di ricco coinvolgimento instauratosi tra il Lercaro ed il gruppo di consulenza culturale attivato nelle molteplici iniziative, che hanno fatto altamente significativo il caso bolognese.
Un rapporto il cui svolgimento a tutt’oggi non sembra ancora chiarito nei reciproci scambi e condizionamenti. In effetti, nella tematica dell’ architettura sacra, questo rapporto sembra dipanarsi in modalità di complesso sviluppo. Sol che si noti come, insieme al sempre maggiore spazio dato durante gli ultimi anni di vita della rivista «Chiesa e Quartiere» ai temi urbanistici ed alla pianificazione, anche il Cardo Lercaro accentui nei suoi interventi questa flessione. Al punto da derivare da questa ottica un’avventurosa problematizzazione del modo di intendere e concepire il tema della costruzione delle nuove chiese. Cosa che è avvenuta in particolare riflettendo sulla esplosione mondiale della città nella metropoli e delle megalopoli in espansione: con la messa in crisi di quella cultura del «quartiere» urbano, su cui pure nel decennio ’50 in Italia ed altrove tanto si era discusso.
In effetti negli ultimi testi di Lercaro sull’ architettura sacra si coglie una vistosa flessione ed un impoverimento espressivo e simbolico del modo con cui aveva concepito la costruzione delle chiese nelle sue precedenti riflessioni; per le quali invece, un decennio prima, aveva suggerito esaltanti stimoli interpretativi. Passando cioè da una concezione di “luogo in cui la presenza dell’invisibile si riveli quasi fatta visibile”, ed architetture in cui deve aleggiare il senso del sacro” (1958), portatrice di una qualità non transeunte, ad un intendere le nuove chiese come impoveriti ed occasionali edifici. Come si può cogliere in un importante intervento del 1968, concepito ormai in un quadro riduttivo ed immerso nel flusso del precario divenire della storia che tutto modifica: quasi sprovvisto di quella forza espressiva prima invocata. Ridotto quasi a luogo del provvisorio, oggetto da abbandonare o da modificare, “come il loro momento suggerirà”. Assimilato in toto ai manufatti assoggettati alle sempre transeunti condizioni del vivere sociale. “Le strutture architettoniche delle chiese si devono modificare così rapidamente come si modificano oggi le condizioni di vita e le case degli uomini”; in omaggio al “senso della transitorietà estrema di queste strutture materiali e della loro pura funzione di servizio rispetto alla vita degli uomini”. Fino al punto di chiedere di “fare chiese modeste e funzionali, di fronte alle quali i nostri figli si sentano liberi di ripensarne delle nuove, di abbandonarle, di modificarle come il loro momento e la loro sensibilità religiosa suggerirà”.
Come se la natura ontologica del tema fosse preteribile ed abbandonabile nel trito dipanarsi delle cangianti concezioni, che gli uomini maturano lungo la fatica del loro vivere.
Tesi che rovesciano le convinzioni precedenti e che ben presto pesantemente incideranno nel farsi dell’ architettura non solo in Italia. I cui esiti si avvertiranno subito. Non a çaso nel Concorso per una chiesa a Ravenna (1968), il progetto vincitore si limiterà a definire nel modo più neutro possibile, uno spazio interno coprendolo anonimamente con un semplificato solaio piano: concependo una costruzione a tamponature atta a trasformarsi col tempo nei modi più vari ed impensati. Sorta di neutro salone: analogo nello spirito architettonico ai manufatti “a contenitore” dell’allora vigente produzione architettonica, ma povero, nello spazio interno, di qualità caratterizzanti il fuoco liturgico dell’Evento eucaristico».
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Quantunque, piuttosto che lasciar sbizzarrire gli architetti, coi risultati che vediamo, uno spoglio e anonimo salone sia probabilmente il male minore. Poi tanto ci mettiamo tutte le nostre care cianfrusaglie cattoliche e diventa una chiesa come tante, senza infamia e senza lode.
off topic
In http://paparatzinger-blograffaella.blogspot.com/2008/02/lista-docenti-ebrei-via-web-il-commento.html
è commentato l’orrendo fatto della lista dei docenti d’origine ebraica.
Sottolineo il bellissimo finale:
“Cos’avrebbero i 162 della lista nera che non si armonizza con il ritratto che ci impone l’impero del luogo comune e dell’indifferenza? Che cosa li marchia? Li segna un dato di appartenenza, li ‘sfigura’ agli occhi di chi li odia il fatto che appartengono a qualcosa che sfugge le categorie del pensiero politico o del potere. Agli ideologi dell’indifferentismo l’identità di un uomo e di un popolo da fastidio. In un tempo ombroso, oltre a vigilare contro odiosi gesti, occorre che tutti coloro che si costituiscono intorno a una identità siano radicali e liberi, disposti alla testimonianza di ciò che di buono e di grande segna in modo speciale la loro esistenza. Sia che si tratti di una eredità del sangue, come nel caso dei nostri fratelli maggiori ebrei, o una eredità di fede come nel caso di noi cristiani. Così che la differenza sia una festa dell’umano, un invito al vero a cui convertirsi sempre tutti, e non un motivo di odio”.
Bellissimo, Leonardo: Cianfrusaglie cattoliche. Io sono cresciuto in una di quelle chiese, ed il mix tra un Crocifisso semi astratto color vinaccia alto 3 metri ed un piccolo busto realistico in marmo bianco di S.Domenico Savio era bellissimo nel suo contrasto.
@ Leonardo @ Canelli
Qualcuno di mia conoscenza ebbe a dire recentemente
“Se si spigola qua e là tra chiese nuove e/o riadattate più o meno posticciamente, il fedele si trova spesso costretto ad abitare spazi liturgici e a celebrare riti costruiti, pensati, presentati in tutto o in parte proprio con una mens comunque viziata dall’ideologia iconoclasta”
in http://www.stefanoborselli.elios.net/news/archivio/00000424.html
Non la metterei giù così dura. Certo non siamo al barocco, nemmeno a quello campagnolo nostrano, che ho trovato, pensate, riprodotto perfettamente sulle rive della cascata del Niagara, nella chiesa di una comunità italo-americana di Buffalo.
Io contestualizzerei: ogni edificio religioso è espressione del gusto estetico del proprio tempo. Quanto ad assenza di immagini, non penso che una chiesa romanica lo sia meno di quella di Alvaar Alto sulle nostre colline.
Entrambe sono in linea con il gusto artistico del momento e per questo più vere del finto gotico delle chiese USA o di quella dell’Antoniano di Bologna. In molte delle chiese nuove del bolognese si trovano felicissimi e suggestivi giochi architettonici di luci e colori. S.Vincenzo de Paoli, S.Giacomo fuori le mura, S.Silverio di Chiesa Nuova sono chiese che, in un contesto fortemente urbanizzato riescono, viste dall’interno, a accogliere in un ambiente aperto con grandi vetrate e comunque lontano dal quotidiano, grazie a piccoli giardini, che aiuta il raccoglimento.
S.Domenico Savio poi ha la caratteristica di svilupparsi ad anfiteatro, ma sempre con un presbiterio ben definito e rialzato, dominato da quell’enorme e un po’ inquietante crocifisso. Bellissimo il fonte battesimale verso cui si scende, posizionato all’ingresso della chiesa stessa. Un vero discorso programmatico, se si vuole, di liturgia e pastorale.
Ma parlare di iconoclastia sarebbe come dire che si sente la mancanza degli affreschi e degli stucchi negli edifici pubblici e privati moderni.
Tornando al ragionamento iniziale, dovremmo anche dire che tante sono le chiese monumentali in Italia che sono state de-barocchizzate e scrostate di stuchci ed affreschi per riportarle allo “splendore” trecentesco all’inizio del ‘900, ma qui sì si tratta di ideologia, ma di ideologia politica e di riderca di un tempo dell’oro nella storia italiana, alla pari della ricerca del tempo dell’oro che nei paesi del nord europa rappresenta il gotico.
Mi sa che qui bisogna contestualizzare ed ampliare la visuale, altrimenti si piega la realtà alla tesi che si vuole postulare.
Poi se volete esiste anche la chiesa del Lippo, di fianco all’aeroporto, che, posta in zona industriale, si potrebbe dire che felicemente assomiglia a un capannone artigianale…
😉
PS: e che dire della megabasilica sotterranea di Lourdes, di fattura misto hangar-bunker?
Quale fu il prelato che la definì un bel garage?
E invece le meravigliose chiese di Napoli, che ad un gusto “smunto-padano-nordico”, con quei colori fortissimi e tutto quel rosso, hanno un che di …satanico? 😉
@ Canelli
Tu dici: “Quanto ad assenza di immagini, non penso che una chiesa romanica lo sia meno di quella di Alvaar Alto sulle nostre colline”.
La questione dell’assenza di immagini nel romanico sembra più complessa; almeno a leggere il “Medioevo simbolico” di Pastoreau, dove la cromoclastia non sembra proprio romanico-cattolica. Ma qui devo tacere (ne sutor) e cederei la parola ai proff. bolognesi.
… Savigni potrebbe dire qualcosa, io a cromoclastia etimologicamente ci arrivo, ma non oltre.
Non ho la soluzione. Comunque l’amico lucchese Romano Silva, storico dell’arte medievale, sta organizzando in questi anni vari convegni italo-germanici su “Il colore nel Medioevo”: sta venendo fuori una rivalutazione della presenza del colore nell’architettura e nella scultura medievale, sinora sottovalutata.
Sulle chiese moderne della media periferia bolognese concordo con Alessandro Canelli: ho abitato per quasi tre anni a Bologna – tra il 1973 e il 1975, nel quartiere San Donato – e amavo visitare quelle chiese che per lo più mi piacevano. Ricordo con gratitudine San Domenico Savio nominata da Alessandro dove sono andato spesso a messa. Anche alcune delle nuove chiese di Roma – più recenti ma della stessa ispirazione – mi sono amiche. Non ho difficoltà a dirlo anche se oggi va di moda deplorarle. Mai badato alle mode.
Olà, allora ci potremmo essere incrociati – a S. Donato (e a S.Domenico Savio) ci sono stato dal 1970 al 1977. Ma nel 1977 avevo 12 anni.
Don Giorgio Nanni, il parroco di allora, è ancora in gamba, anche se ha un bel po’ d’anni.
I casi della vita….
Comunque, tanto per chiudere cerchi, una grande appassionata e conoscitrice delle “Nuove Chiese” di Bologna è una delle nipoti di Mons. Bettazzi, studiosa di architettura.
Se è tutto vero quello che si dice, allora la pratica ha sconfitto la teoria minimalista; ma cmq le contestazioni di Benedetti, mi sembrano inoppugnabili, oltre che molto in linea con … Benedetto.
Il post di Leonardo dice in breve, quanto diffusamente è detto qui http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/47226 ed anche nel sito chiamato “delvisibile.wordpress.com” si fanno interessanti discorsi sui modi di RIAPPROPRIAZIONE dell’architettura religiosa contemporanea.
NON è questione di mode, semmai di una reazione a mode imposte da altri. Il rimedio però non è il semplice discorso reattivo, non fino a “far di ogni erba un fascio”.
Infatti non solo le persone abitano i luoghi, ma anche i luoghi “plasmano” le persone (ACCATTOLI DEDICÒ TEMPO ADDIETRO UN POST DI RINGRAZIAMENTO PER LE BELLEZZE INCONTRATE!): la liturgia è anche i luoghi dove si svolge, anzi … questi luoghi SONO liturgia.
C’è stato un tempo in cui questa verità è stata dimenticata, per altre urgenze, come dimostra il testo di Benedetti.
All’inizio c’era il rifiuto del luogo liturgico stesso; poi questo luogo è stato pensato come puro “contenitore”, non importa come fatto; poi ancora, accettato il dato teologico del luogo, c’è stato una dura contraddizione tra diverse “teologie” e relative architetture.
Si sono confrontate forme estremisticamente assembleari (la chiesa anfiteatro) e forme che tentavano bene o male il recupero e la valorizzazione dei poli celebrativi; forme basate su un generico senso religioso (spesso scivolante verso un tono sincretistico, quasi “new age”) e forme che non intendevano prescindere dalla qualificazione cristiana.
Spesso nessuna di queste idee si è presentata allo stato puro: così interni ed esterni hanno presentato “problematicità” di diverso ordine e grado, spesso difficili da interpretare (o da giustificare).
E spesso sembra impari il confronto con quel che la tradizione ecclesiale ci ha dato in dono..
La domanda cruciale è allora: quale livello di CONSAPEVOLEZZA CATTOLICA intendono testimoniare le singole realizzazioni?
Non si è evidenziato un link, lo inserisco di nuovo:
http://delvisibile.wordpress.com/
Il problema del colore nel medioevo ha echi ovunque, anzi un ECO; qui si capirà perchè non c’è l’apostrofo:
http://www.lightingacademy.org/news.php?pcode=0000000048&language=ITA
“La domanda cruciale è allora: quale livello di CONSAPEVOLEZZA CATTOLICA intendono testimoniare le singole realizzazioni? ”
provo a ribaltare la domanda:
esiste un disegno oggettivamente ed immutabilmente cattolico di un luogo sacro? indipendente dal tempo e dallo spazio?
Sant’Apollinare in Classe è più cattolica del Duomo di Milano o della Cattedrale di Colonia (conclusa coi fondi degli Hoenzollern, che certamente cattolici non erano)?
La gotica Cattedrale di Santo Stefano o quella barocca a pianta circolare di San Carlo Borromeo a Vienna?
A Bologna, San Pietro barocca e monumentale, San Petronio incompiuto sulla Piazza, Santo Stefano costruito sul tempio di Iside?
Delle tre chiese di Lourdes, quale è più cattolica?
Quella alta, simil gotica, quella scavata dietro la grotta, con un enorme mosaico raffigurante una Madonna 60enne anche fin troppo realistica, o il “garage” dove però possono partecipare alla liturgia anche i gruppi di malati su barelle e carrozzine?
Posta così la questione, è chiaro che la risposta è NO.
Tuttavia sottolineo che esiste una sorta di “canone” di cui tu stesso hai fornito alcune “dimensioni”, quando parli di: “felicissimi e suggestivi giochi architettonici di luci e colori”; “ambiente aperto con grandi vetrate e comunque lontano dal quotidiano, grazie a piccoli giardini, che aiuta il raccoglimento”; “un presbiterio ben definito e rialzato, dominato dal […] crocifisso”, “il fonte battesimale verso cui si scende, posizionato all’ingresso della chiesa stessa”.
Non esiste un approccio unico, ma esiste una gamma di approcci che trascrivono spazialmente e architettonicamente il Mistero della fede. Questa trascrizione non è senza vincoli, quei vincoli strutturali che sono forniti dalla teologia liturgica e (oggi che ammettiamo l’eclissi di molte evidenze) anche dalla fenomenologia religiosa e dall’antropologia culturale.
Questi vincoli possono però essere sovvertiti e pervertiti; ma allora la chiesa-edificio non è più nemmeno “funzionale”.
Non penso di essere iconoclasta, anche se trovo che delle immagini sacre si può anche fare a meno. Naturalmente non ho nulla contro le belle chiese, e sono per lasciarle così come sono, quando ci sono (ad esempio non girando gli altari!). Dico solo che sarebbe meglio non provarci a fare noi delle “belle chiese”, perché non siamo capaci. In futuro non credo che ci sarà un gran bisogno di nuove chiese, ma se proprio si devono costruire, meglio non farle ‘creare’ agli architetti. Magari copiarle (si risparmia anche sul progetto).
Scusa Leonardo, no ti ho dato dell’iconoclasta; le iconoclastie sono altre.
Riporto quanto ti riguarda:
“10 Febbraio 2008 @ 7:45
Se è tutto vero quello che si dice, allora la pratica ha sconfitto la teoria minimalista; ma cmq le contestazioni di Benedetti, mi sembrano inoppugnabili, oltre che molto in linea con … Benedetto.
Il post di Leonardo dice in breve, quanto diffusamente è detto qui http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/47226 ed anche nel sito chiamato “delvisibile.wordpress.com” si fanno interessanti discorsi sui modi di RIAPPROPRIAZIONE dell’architettura religiosa contemporanea”.
Leonardo: io vedo un sorgere continuo di nuove chiese che seguono lo spostamento della popolazione.
Concordo con lycopodium nel fatto che il luogo di culto debba rispondere al suo scopo liturgico, ma vedo anche la volontà nelle soluzioni architettoniche più recenti di bene integrarsi nei nuovi quartieri.
Il rischio dell’esperimento esteticamente e funzionalmente fallito è sempre in agguato. Ma vedo anche che sono poi le persone che fanno di un edificio un successo o un fallimento.
Forse, mi verrebbe da pensare, se c’è una cosa che dovrebbe esser presente a chi pensa un nuovo edifico religioso dovrebbe essere il fare in modo che possa essere apprezzabile da tutti. Anche nell’uso delle immagini e dell’arte.
Spero che vorrete perdonarmi queste poche righe fuori tema: mi piacerebbe avere notizie su Miriam. E’ nata? Sta bene? Moralista, dicci qualcosa!
A TUTTI
Scusate, ma questi qui che scrivono sui muri a Torino “Via Israele dalla fiera del libro” e “Ebrei assassini”, chi sono? Cosa vogliono?
Io non ho parole, rimango stupefatto di fronte e due particolari che sempre emergono quando c’è di mezzo Israele:
1) La bassissima voce di chi difende Israele: si difende Israele con il tono di chi chiede scusa, di chi ha un certo imbarazzo.
2) Le pochissime voci che dicono cose vere a questi personaggi che scrivono sui muri tali idiozie.
Quando c’è di mezzo Israele si cade in una marea scivolosa di distinguo di se di ma di però della serie io non sono antisemita però non mi piace il governo i camikaze sono assassini ma sono stati esasperati e altri deliri, altri stupri della realtà, altre empietà vendute come conoscenza della realtà internazionale.
La verità è che di fronte a chi vuole impedire agli intellettuale israeliani di prendere parte alla fiera del libro di Torino, noi – scusate – ma ho l’impressione che si faccia poco o nulla.
Costoro che scrivono sui muri tali idiozie rimangono per me un interrogativo sbalorditivo: chi sono? Che leggono? Cosa li appassiona? Come hanno formato il loro pensiero? Discutono o ascoltano solo loro stessi?
Qualcuno mi aiuti (qualcuno che non sia Alberoni, grazie).
Un’ipotesi di lavoro potrebbe essere quella di Rondoni, di cui cito una frase nel mio post del 9 Febbraio 2008 @ 16:33 …
caro Sump, vedo solo ora la tua richiesta di notizie.
Grazie alla segnalazione di un amico, inatteso lettore del blog (cosa mi mette in imbarazzo… ora mi autocensurerò tragicamente).
Trovi la risposta in un commento all’ultimo post di Luigi.
Grazie!
Da Mario Serafin ricevo questo messaggio:
Caro Luigi, l’accostamento dei papi Montini e Ratzinger come intellettuali seriamente riflessivi è plausibile e mi fa ricordare che è stato proprio Paolo VI a scegliere, nel 1977, l’allora cinquantenne teologo Ratzinger quale successore a Monaco del cardinale Doepfner, uno dei moderatori del Concilio, prematuramente scomparso. Paolo VI ha fatto sue scelte personali di vescovi per diocesi importanti, cercandoli anche tra docenti di università statali, come nell’altro caso dell’arcivescovo di Torino Michele Pellegrino. Montini e Ratzinger sono testimoni della “fatica del credere” (di cui hai scritto in un indimenticabile articolo, “un cristiano chiamato a fare il papa”, dopo l’elezione di Ratzinger, richiamandone la tua lettura dell’Introduzione al cristianesimo): una fatica sostenuta nella gioia e sempre con impegno. Ci sono cristiani naturalmente gioiosi e di buon umore, come Roncalli e Wojtyla, e cristiani che conquistano la gioia con qualche fatica, e tra questi, pur nelle loro diversità di esperienze e caratteristiche umane, io metto Montini e Ratzinger. Al loro insegnamento è giusto dedicare attenzione seria come quella del loro impegno nel prepararlo e proporlo. Mario Serafin