“C’è un prete che amo più degli altri perché quando penso a lui mi sento più buono. È don Sergio, malato di Sla, la terribile malattia resa famosa da Welby e che in Sardegna non è rara. Don Sergio è cappellano dell’Ospedale principale della città ed è quindi consapevole di cosa sta vivendo. Per ora è degente all’ospedale e da un mese la situazione si sta aggravando. Ha già perso l’uso delle gambe, completamente del braccio destro e parzialmente del sinistro, è stato colpito gravemente dalla polmonite che ha superato. È perfettamente cosciente e parla stentatamente, ma si fa capire. Da un mese vado tutti i giorni a trovarlo e per me è una esperienza di prim’ordine che mi ha riservato delle sorprese che non avrei immaginato“. – Così inizia un racconto dell’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Mani pubblicato oggi da Avvenire a pagina 25. Nei primi commenti le “sorprese” narrate dall’arcivescovo e il link al testo completo.
Il vescovo Mani e Sergio “inspiegabilmente contento”
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[Segue dal post] Ecco – con qualche mia abbreviazione – il seguito del testo di Giuseppe Mani di cui nel post:
Tre settimane fa i medici gli prospettarono la Peg, cioè una sonda nell’intestino per nutrirlo e poi anche la tracheotomia. Lui era a conoscenza di ciò che lo attendeva e mi disse che, tutto considerato, era meglio andare subito in Paradiso invece di intraprendere per sé e per gli altri un cammino così difficile. Però mi disse: «Lei è il mio vescovo ed è lei che deve decidere della mia vita. Mi faccia sapere cosa devo fare».
Assicuro che non avevo messo in conto una responsabilità di questo genere nei confronti dell’obbedienza che i preti debbono al vescovo. Ci ho pregato non poco, poi due primari che incontrai nei corridoi dell’ospedale e che vollero accompagnarmi al letto di don Sergio mi illuminarono dicendomi che avrei dovuto fargli fare sia la Peg che la tracheotomia, come fu fatto al Papa. Con coraggio dissi a don Sergio che doveva restare con noi perché avevamo ancora bisogno di lui. Mi guardò dicendomi: «Non posso dir Messa. Sono soltanto un problema. Cosa ci faccio qui? Sono un prete inutile». «No, caro don Sergio, non dici Messa perché sei diventato la Messa. Stai sul Calvario, in Croce come Gesù. E ci stai per noi. Continui a essere in modo eminente il cappellano del Brotzu perché offri per i tuoi malati te stesso. La tua presenza tra noi serve alla cosa più importante: serve a suscitare amore, e di amore ne susciti tanto, a cominciare dal tuo Vescovo».
Mi guardò con un sorriso di accettazione e mi disse: «Allora se lei ha deciso così, rimango ancora». Proprio il giorno delle Ceneri gli è stata effettuata la Peg. Ne ho parlato ai giovani dicendo che, mentre noi stavamo facendo un po’ di digiuno, un nostro fratello aveva cessato definitivamente di mangiare. La sera l’ho trovato sereno e mi ha raccontato l’operazione: «Sono sereno dentro, inspiegabilmente contento». Non è mancato l’aspetto umoristico. «Quando mi sono svegliato, ai piedi del mio letto ho visto un giovane della mia parrocchia vestito da infermiere che era venuto a farmi visita. ‘Tu che fai qui?’. ‘Lavoro all’ospedale: sono addetto all’obitorio’. Ho pensato per un momento di essere arrivato…».
Questo è il link al testo completo pubblicato oggi da Avvenire a p. 25 con il titolo “L’inspiegabile gioia di don Sergio malato di Sla”: http://edicola.avvenire.it/ee/avvenire/default.php?pSetup=avvenire.
La mia vicinanza nella preghiera a don Sergio: fulgido testimone del Vangelo! Credo di capire la sua gioia intima, che non è certo contentenza per il destino infame che le è capitato in sorte, ma per la condivisione ai patimenti di Cristo. E’ Cristo che rende unico e singolare lo sguardo del credente,che va oltre, fino a dare un senso a quello stare inchiodato ad un letto senza un vero perché (?) quando le sue gambe, le sue mani e tutto il suo essere potrebbero servire assai circa l’apostolato operando attivamente e con zelo per la collettività! Invece, don Sergio sa, che quella condizione che ad un occhio superficiale appare come d’impedimento, nasconde invere una forza straordinaria, animiza, di così tale potenza da riuscire a far passare per la cruna di un ago una quantità infinita di peccatori incalliti: è l’insondabile mistero della crux, e proprio perchè tale, non lo si può che guardare e adorare e meditare in religioso silenzio ripetendo : “O crux, ave spes unica! …”
E allora desso siamo tutti amici di Don Sergio, no? 🙂
Amici e fratelli e figli, in modo tutto speciale.
Anzi, propongo di adottarlo qui, su queste pagine, come fratello maggiore, come compagno privilegiato del cammino di questa stagione, come amico sicuro e fedele.
Luigi, perchè non chiedi a Mons. Mani che glielo riferisca, ovviamente se siamo tutti d’accordo?
CERTAMENTE, Francesco….condivido. Quale benedizione per tutti noi una presenza spirituale così potente..
ps
volevo dire “animica” …e ho scritto “animiza”..scusate
Mi scuso in anticipo se sono cattivo.
Trovo francamente di cattivo gusto mettere in piazza storie di questo genere sia quando lo fanno i Radicali sia quando lo fanno i Vescovi e la CEI.
Rispetto senza ammirazione la scelta del prete e del Vescovo ma non ritengo siano modelli cui ispirarsi e il modo subdolo con cui la storia personale di quell’uomo è utilizzata e raccontata è sgradevole.
I due primari, stando al codice deontologico (art. 33, 35, 38, 39 e 53) avrebbero dovuto dire al Vescovo di attenersi alla volontà espressa dal paziente.
Ho quasi il ribrezzo nei confronti di questo alto prelato e nel leggere questa ipocrita strumentalizzazione della vicenda!
Forza Don Sergio,
“se il Signore da un peso, darà anche la forza di portarlo”.
Il Signore non obbliga nessuno a forzare il decorso naturale degli eventi per prolungare indefinitamente il tempo di un’agonia.
Sono più che convinto che il Signore avrebbe accolto don Sergio tra le sue braccia anche se avesse deciso di rifiutare le cure.
Tirare in ballo il Signore in queste vicende, attribuirGli la responsabilità di aver caricato un uomo di una patologia terribile come la SLA è piuttosto rischioso e richiede prudenza.
Guarda Marco, il tema è di così delicato approccio, che da qualcunque parte lo si giri, se non lo si maneggia con grandissima cura, si rischia di naufragare nel mare dell’incomprensibile…e allora ci si bombarda di domande circa il perchè del male, della banalità del male, e perchè si debba accettare la malattia e addirittura sopportarla stoicamente. Provo ad azzardare una risposta- la mia risposta- “forse percè chi ha fede, crede ci sia qualcosa che va al di la, qualcosa di inspegabile in termini razionali che trascende l’umana comprensione” Ma…è un tema assai complesso dove le risposte, se contemplate dal punto di vista pragmatico non saranno mai esaustive. Per dare un senso a questo “dolore della carne” è necessario andare oltre e guardare a lui, a quel capo incoronato di spine [amerai il Signore tuo Dio con tutta la tua mente] a quel cuore squarciato [con tutto il tuo cuore) in una parola, a quel Cristo in croce [con tutto te stesso]
Per dare un senso, ammesso ci sia, alla malattia che colpisce a tradimento, è necessario guardare a Lui..non c’è altra via!
Clodine,
io sono d’accordo con lei.
Il punto è che a Gesù in croce non hanno infilato un sondino e un respiratore. Intendo dire che per don Sergio la pena è già la sua malattia e la SLA è una vera e propria croce che paralizza per circa quattro-cinque anni prima di uccidere definitivamente.
Ora, se un paziente in quelle condizioni esprimesse in scienza e coscienza la volontà di ricorrere ad alimentazione ed idratazione artificiale e ad essere tracheotomizzato avrebbe tutto il diritto di essere assistito al meglio; allo stesso modo un uomo (prete o laico, credente o ateo che sia) che preferisca rinunciare agli stessi trattamenti dovrebbe avere il diritto di essere ascoltato ed esaudito.
Non è eutanasia: è sospensione di cure ritenute sproporzionate rispetto ai benefici apportati in termini di qualità della vita.
Credo che occorra comprendere che efficientismo, edonismo, individualismo, relativismo portino ad un’incapacità di dare senso a determinate condizioni umane ma nello stesso tempo che si debba anche tener conto che l’eccessiva medicalizzazione della vita e della morte incute paura a molte persone che si sentono invase, dissociate e disumanizzate da certi trattamenti.
Prego che don Sergio possa avere la forza di andare fino in fondo alla sua scelta ma rimane in me il disgusto per la strumentalizzazione oscena della sua vicenda.
Mi fa orrore pensare a quest’uomo convinto che il prolungamento artificiale della sua agonia sia gradito a Dio e serva per noi, per me. Mi sento in colpa e mi verrebbe di dirgli: “Amico, hai già portato la tua croce. Va in pace verso il tuo Destino di gioia se lo desideri! Non preoccuparti per me. Hai già dato e testimoniato tanto!”.
Posso scandalizzare tutti?
Concordo pienamente con Marco, tranne che per il disgusto che lui prova ritenendo una strumentalizzazione il fatto che se ne parli.Non la prenda così,Marco…provi invece, se vuole, a comprendere anche che i gesti di Don Sergio – per alcuni – possono essere un aiuto a sopportare la propria di sofferenza.
Farei qualunque cosa in mio potere – come già altre volte ho sottolineato – affinchè nessuno, NESSUNO, dovesse mai patire pene come quelle imposte ( perchè a me sembrano imposte) a Don Sergio. L’aver lasciato al suo vescovo la decisione fa di lui un discepolo vero e fedelissimo, ma non poteva attendersi altro che questa prospettiva, poichè nessun vescovo avrebbe mai chiesto di non fare nulla e non provare di tutto.
Come ne usciamo?
Con i discorsi di sempre, fino a quando qualcuno di buona volontà – ma anche di grande polso – non decida che è tempo di chiedere a noi che ci siamo con le mani dentro il da farsi, rispettando tutte le idee e tutte le fedi ma “scendendo” dai piedistalli legislativi e politici e “sporcandosi” le mani tra letti,medicine,assistenza,giornate e nottate lunghissime,nessuna prospettiva di guarigione e tanta vita che se ne va.
Vorrei capire che c’entra Dio e la mia fede con tutta questa sofferenza…….tranne per il fatto, naturalmente, che solo da Lui può giungermi la forza e il coraggio di affrontare un altro giorno. Ma per il resto ?
Ma guardate che qui prima delle eventuali considerazioni sul dolore salvifico e sul prete che non può dire Messa perchè divenuto lui stesso Messa, c’è un parere dei medici.
Mani racconta che sono loro ad aver consigliato la Peg e la tracheotomia.
Ora, a meno di non voler credere che anche i medici ospedalieri siano dei doloristi propagandisti della commozione cristiana e del suo utilizzo promozionale, penso che siano valsi i criteri e gli orientamenti della medicina, mirati a curare e sostenere il malato fino a parametri verosimili, e non certo a tenerlo in vita in modo artificioso.
Non potersi nutrire autonomamente non vuol dire affatto che la vita sia finita, altrimenti dovremmo lasciar morire molti malati terminali vigili e coscienti ben prima del tempo.
Si può discutere sul racconto di tali vicende, ma il destino dei testimoni cristiani è anche quello di vivere e morire in pubblico.
Ma a parte questo aspetto, stiamo attenti: non è che ogni azione medica su un malato incurabile sia trattamento artificiale che provoca ipso facto più sofferenza.
Non scherziamo.
@Principessa: può darmi del tu, poi lei è pure nobile… Forse ho esagerato parlando di disgusto. Chiedo scusa.
Francesco73,
la SLA è una malattia del motoneurone, ossia del neurone che dal midollo spinale porta il comando motorio al muscolo striato. Tutti i muscoli striati compresi quelli respiratori e deglutitori. Vi sono varie forme di malattia ma più frequentemente il decorso ha una durata di quattro-cinque anni e porta a morte per insufficienza respiratoria.
Ad un certo punto il paziente deve decidere se ricorrere o meno al sostegno di respiratore artificiale ed idratazione-alimentazione artificiale.
Nessun medico può imporre alcun trattamento sanitario senza il consenso informato del paziente!
Art. 35 Codice Deontologia medica
– Acquisizione del consenso –
Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente.
Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all’art. 33.
Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del consenso.
In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.
Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente.
Art. 53
– Rifiuto consapevole di nutrirsi –
Quando una persona rifiuta volontariamente di nutrirsi, il medico ha il dovere di informarla sulle gravi conseguenze che un digiuno protratto può comportare sulle sue condizioni di salute. Se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale nei confronti della medesima, pur continuando ad assisterla.
C’è un rispetto della vita ma anche della libertà del paziente.
Il Vescovo poi fa un riferimento fuori luogo paragonando la situazione di don Sergio a quella di Papa Giovanni Paolo II che era affetto da morbo di Parkinson, malattia totalmente diversa in termini fisiopatologici e clinici rispetto alla SLA.
Non ho mai affermato che la vita di don Sergio sia di minor dignità rispetto ad altre. Affermo piuttosto che determinati trattamenti possono causare una sensazione di corpo invaso, dissociato dallo spirito, disumanizzato e talvolta persino dolore fisico (il respiratore nelle fasi avanzate può procurare un collassamento delle pareti della trachea che a sua volta determina crisi di fame d’aria). La nutrizione attraverso PEG è un riempire lo stomaco di soluzioni nutritizie non è propriamente mangiare, azione che racchiude anche una componente piacevole di assaporamento di gusti.
Ciò che sostengo è il diritto a scegliere liberamente se ricorrere o meno a tali trattamenti. Questo diritto è garantito dalla Carta costituzionale e ovviamente dal Codice di deontologia medica che negli art. 16 e 17 fa anche esplicito riferimento al divieto di accanimento terapeutico e di eutanasia.
Infine, non credo che se don Sergio avesse rifiutato tali cure sarebbe stato meno testimone o meno cristiano. Nel Vangelo c’è scritto di portare ognuno la sua croce, non di aggiungervi pesi ulteriori.
Marco, la tua dettagliata risposta fa sorgere una domanda: sei medico?
Anche tu dammi del tu.In quanto a nobiltà, spero di averne dentro … per il nick, era solo il nomignolo che mi dava mio padre e al quale sono molto affezionata, come si può comprendere.
…Anch’io sono convinta che Dio non può compiacersi del dolore, se cosi’ fosse non sarebbe il mio Dio. E non è neppure sensato dire : “dobbiamo fare la Sua volontà”, come se tutto quanto di malefico e virulento attacchi l’uomo nel fisico, e il mondo nelle catastrofi naturali, dipenda dalla Volontà di Dio; similmente l’accettazione passiva al dolore. Non è così: Dio non ama affatto il dolore, e non ci vuole sofferenti, anzi, tutt’altro…
Per contro posso dire, che quando il dolore purtroppo, nella sua tragicità colpisce col suo artiglio, l’unico sostegno e consolazione è guardare a Lui che ha patito come un cane, sapendo che, come il Padre non potè impedire la Sua morte in Croce, così non può impedire alla malattia e alla morte di fare il suo corso. A quel punto, il discrimine tra colui che ha fede e colui che non ce l’ha è dare un senso al dolore, santificare il dolore, elaborarlo perchè ci elevi, anzichè dare al dolore il potere di schiacciarci ancora di più…invero, se offerto, ha una reale forza redenzione.
Poi, che dire, il Signore ci fa dono della vita: siamo dei bellissimi vasi pregiati. Capita che questo vaso si rompa, ci si prodiga a riappiccicare i cocci, ma poi, viene il momento in cui si dirà: ” Signore, grazie per il dono che mi hai fatto, ne ho goduto, ti sono grata, ma vedi, si è rotto, lo rimetto nelle tue mani”…senza accanimenti inutili!
@Principessa:
sono uno studente di medicina appassionato di temi bioetici anche se frequento reparti clinici di Medicina Interna.
Non vorrei però che questo impedisse ad altri di esprimere liberamente la propria opinone e contraddirmi, anche su questioni tecniche. Siamo sullo stesso piano in Internet e inoltre le tematiche bioetiche e deontologiche sono particolarmente dilemmatiche. Difficile capire chi ha ragione, ognuno porta un lumicino di verità.
Comunque il codice deontologico dei medici è consultabile online sul sito della FNOMCEO.
Il nomignolo principessa è splendido!
Marco,fondamentalmente sono contro l’accanimento terapeutico…ma lo sono totalmente! Però riesco a capire, stimo e ringrazio coloro che offrono la malattia per una convinzione più alta, metafisica direi, un pensiero che ci sovrasta…incomprensibile se non si è folli: è la follia della croce…non si può spiegare in termini razionali, possiamo stare a discuterne per mesi senza arrivare a comprendere…
Clodine,
io sono d’accordo con lei.
Basta che non si pretenda di imporre a tutti i cittadini e/o a tutti i cittadini cattolici la scelta effettuta da don Sergio, o meglio, dal Vescovo di don Sergio.
Io ripeto che sono fondamentalmente d’accordo con lei: è molto bello e vero il suo discorso. Contemplare la Croce di Cristo insegna l’amore.
Marco caro, non credo che ci possa essere qualcuno che ha totalmente ragione o totalmente torto in nessuna questione e specialmente in qualcosa di così delicato come la fine della vita o l’approccio di una malattia.
Questo spazio che Luigi ci assicura aiuta anche a comprendere di più le varie scelte che tante persone operano ogni giorno – almeno per quanto mi riguarda – e a confrontarsi con le numerose esperienze di ciascuno. L’uguaglianza che Internet sancisce, in questi casi, è impagabile.
Così come ha molto valore la testimonianza di qualcuno come te, che si sta avvicinando ad una professione delicatissima ma che, oggi, si ritrova a fare i conti con limiti che divengono ogni giorno più sottili e vacui.
Continua a intervenire……..
Maioba, dove sei? Benchè tu sia di un’altra diocesi, conoscerai certamente don Sergio: potresti portargli il nostro saluto?
Cercando nel sito della diocesi di Cagliari ho trovato un Sergio Pintus, classe 1937, che ha la qualifica di cappellano dell’ OSPEDALE “G. BROTZU” (S. Michele)(CAGLIARI).
cari amici,
conoscendo gli entusiasmi
di don Giuseppe (così era per noi a Roma),
mi farebbe piacere che una persona terza,
verificasse lo stato fisico, psicologico ed emotivo di don Sergio,
e qualora rispondesse alle parole di don Giuseppe,
ringraziare il Signore per il dono di sopportazione che gli ha fatto.
Ormai…
il caso
sul giornale è finito,
e guarda caso quasi a mò di contraltare,
nei confronti di quelle persone che non riescono a sopportare cure, dolore.
Credo che si dovrebbe accettare il libero arbitrio degli uomini di accettare cure prolunganti la vita temporale o di rifiutarle lasciando al corpo il suo corso secondo la LEGGE NATURALE.
L’eventuale caso “don Sergio” dovrebbe essere modello,
ma non costrizione per le persone affette da SLA.
La vita è dono,
la vita è nel corpo,
il corpo ha dei limiti,
limiti da rispettare,
come è da rispettare la dignità degli uomini.
C’è una persona che può verificare?
Marco, non dobbiamo contendere su queste tragedie, quindi lungi da me (e penso anche da te).
Tu fai riferimento al consenso informato del paziente, e – laddove questo sia possibile – ci mancherebbe!
E’ il caso di don Sergio, mi sembra: credo gli abbiano spiegato tutto, tant’è vero che lui stesso ha espresso dubbi importanti se continuare o meno a curarsi e nutrirsi.
Ma poi ha deciso come ha deciso, e penso che affidarsi al Vescovo – che ha comunque sentito i medici – sia stata una scelta libera, e ovviamente interessante per gli aspetti “eucaristici” (io sono un prete, ho affidato a Lei la mia vita, e in Lei e per Lei alla Chiesa, e quindi al Signore Gesù).
A parte le considerazioni di ordine religioso, torno a dire che mi sembra che qui si trascura un pò il ruolo dei medici.
Sono loro che nelle situazioni drammatiche delle malattie irreversibili orientano molto il paziente e chi lo assiste.
Nonostante tutto, occorre fidarsi anche di questo apporto.
E a Cagliari i medici si sono espressi chiaramente per una opzione.
Non mi sembra accanimanto terapeutico, e trovo eccessiva la disinvoltura con cui si dichiara “non-vita” quella attuale di Don Sergio.
La fede c’entra fino a un certo punto.
Alzheimer e SLA
Mi sono trovato di fronte a persone ospedalizzate colpite da queste terribili degenerazioni del corpo e della mente.
E’ un’esperienza durissima di una realtà inenarrabile, e inconcepibile.
Resto letteralmente di sasso, senza parole e sempre impreparato davanti a questo Gesù sofferente.
Solo una preghiera insieme ai pochi familiari che con dignità, silenzio e amore, portavano con la Croce di Gesù, tutte le Croci del mondo.
Francamente non capisco l’esternazione del vescovo, da cui mi dissocio.
Io resto in silenzio con il cuore accanto a quello di don Sergio e non di meno a quello della sua famiglia.
Francesco73,
io non ho alcuna intenzione di contendere. Ci mancherebbe.
Ciò che discuto è l’opportunità di diffondere certe storie con lo scopo di proporre modelli comportamentali o peggio di imporre esempi di presunta santità guadagnata prolungando artificialmente la vita.
Quando affermo prolungando artificialmente la vita non intendo dire che la quella di don Sergio sia una non-vita. Una persona è morta quando il suo elettroencefalogramma è muto dunque don Sergio, Welby, Ravasin, Nuvoli, Eluana Englaro sono persone vive. Con l’espressione prolungando artificialmente la vita intendo dire che, lasciata al suo decorso naturale, la malattia di don Sergio lo porterebbe a morire. Inserire un respiratore e/o praticare la PEG per compensare alla paralisi dei muscoli respiratori e/o deglutitori significa impedire il normale decorso della malattia attraverso strumenti terapeutici.
La proporzionalità di tali trattamenti terapeutici non può essere stabilita né dal medico, né dal Vescovo, né dal legislatore, né dal Papa. E’ il paziente, all’interno della relazione profonda, vera con il suo medico, a dover decidere sulla proporzionalità dei trattamenti.
Non è un’opinione la mia, è un dettato deontologico come ho dimostrato. Chiaramente la norma è da applicarsi nel contesto della relazione medico-paziente ma in ultima istanza il consenso spetta al paziente.
Dal racconto mi sembra di poter dire che più che parlare con il Vescovo i due primari avrebbero dovuto parlare con il paziente e rispettare la sua decisione, formulata in scienza e coscienza. Il paragone con Giovanni Paolo II è assurdo e fuorviante.
Se la decisione di don Sergio è quella di obbedire al suo Vescovo è doveroso rispettarla.
Ripeto però che trovo poco gradevole diffondere questa storia in questo modo e in questi termini, così come trovo del tutto opinabile sostenere che tale decisione sia una via alla santità o all’imitazione del Cristo. Don Sergio ha già vissuto il suo Calvario il cui culmine è la paralisi dei muscoli respiratori e deglutitori. Affermare che prolungando ulteriormente la sua vita attraverso macchinari si faccia simile a Cristo, diventi Messa e sia qualcosa che susciti in noi amore è tutto da dimostrare teologicamente e forse qui lei mi può aiutare.
Quello che più mi preme è che non passi l’idea che un cattolico sia tenuto a fare la stessa scelta di don Sergio, pena l’essere meno cattolico di lui.
Chissa’ cosa ne pensa al proposito Luigi…perche’ lui sta cercando fatti di Vangelo! O no?… Vogliamo lasciarlo senza lavoro?
A parte gli scherzi, personalmente penso sia una di quelle situazioni molto molto delicate che richiede rispetto e silenzio…; non e’ materia da “agitati militanti”. Ho incontrato nella mia vita molte situazioni di “troppa” sofferenza… e ho dovuto imparare (non ho ancora finito di imparare…) a chinarmi, capo e anima, e tacere…tacere…tacere pregando…
Ma -chissa’- forse il vescovo ha chiesto a Don Sergio “il permesso” di rendere la sua testimonianza pubblica e allora….
Marco, condivido 100% il tuo ultimo intervento, -che non avevo ancora letto…- soprattutto la tua ultima frase. Grazie.
eccomi. Non sono intervenuto su questa questione per pudore.
E’ effettivamente don Sergio Pintus, per tanti anni parroco e da qualche anno cappellano al Brotzu, il maggior Ospedale della Sardegna.
La settimana prossima cercherò di andare a visitarlo e gli porterò i saluti del pianerottolo.
ciao a tutti.
don Marco
Non oso addentrarmi dentro i contenuti teologici della sofferenza di Don Sergio.
Mi pare evidente che il racconto della sua drammatica vicenda, del suo dialogo col Vescovo, degli argomenti portati e ascoltati, ecco, tutto questo non lo si può nè comprendere nè accettare senza uno sforzo di entrare nella dimensione cristiana del dolore, della testimonianza, di ciò che per un sacerdote o un laico cristiano tutto “oblato” può essere più praticabile che per noi.
Nè mi pare che la pubblicazione di tali storie contenga una sfida dichiarata, un “se non fate così, non siete degni”.
Non ho mai colto questo spirito nella Chiesa, nè nelle vite dei santi, nè in qualche fioretto devozionale di troppo che spesso circonda le epopee eroiche (pensiamo appunto al mio amato e prediletto maestro, Karol Wojtyla).
Ma occorre anche che – chi vuole e può – dia al mondo un segno forte, potente e scomodo di sequela e identificazione con Cristo, soprattutto col Cristo crocifisso e sofferente, chè sono tutti lì la verità e il “potere” del cristianesimo.
“Quando sarò innalzato sulla Croce, attirerò tutti a me”.
Occorre che qualcuno renda presente e visibile anche questo scandalo.
Questa è la testimonianza di don Marcello Melis, giovane sacerdote salesiano a Cagliari morto un anno e mezzo fa.
http://www.youtube.com/watch?v=WpHBBCLTR1o
Qualche anno di paralisi cosciente non è già abbastanza? Occorre anche prolungare con mezzi artificiali questa condizione?
Perché Dio dovrebbe gradire una cosa del genere?
Si è oblati al Vangelo o alle regole dell’uomo? Dove sta scritto che la scelta di don Sergio sia testimonianza di fede maggiore di una persona che, prendendo atto dell’ora ultima veniente, chiede l’accompagnamento e il sostegno dei fratelli nel momento del ritorno al Padre? Perché dovrebbe essere più autenticamente cristiano-cattolico fare così?
Cito una frase di un articolo del card. Carlo Maria Martini dal Corsera di Mercoledì 5/11/08:
“Si può dunque comprendere che, se uno ha davanti ai suoi occhi una cultura che disprezza la vita fisica in tante occasioni, intervenendo violentemente sulla sopravvivenza di persone indifese, egli senta, come lo ha sentito la Chiesa in questi anni per la voce dei Papi, che già soltanto la difesa della vita fisica a qualunque costo costituisce un grande valore e un punto di convergenza importante. Sarebbe errato, però, e ci porterebbe fuori strada, il trarre tutte le conclusioni solo da questo <> della vita fisica. Perché in tanto sta in quanto è derivato da un valore molto più grande e veramente intangibile, che tocca il mistero di Dio stesso.”
Mi sembra posizione saggia ed equilibrata perché coglie gli aspetti in gioco e attribuisce a ciascuno il suo valore.
@Marco “Qualche anno di paralisi cosciente non è già abbastanza? Occorre anche prolungare con mezzi artificiali questa condizione?
Perché Dio dovrebbe gradire una cosa del genere?”
Condivido Marco, hai ragione, anche io lo penso dal profondo del cuore! Penso però, tuttavia, che a ciascuno deve essere data la libertà, in base al grado di forza interiore, alla reale possibilità circa l’adesione a determinate scelte, non escluse quelle, come nella fattispecie, di donare la propria infermità per un verità che sente più alta della stessa libertà. Ove esista una “intenzionalità cristiana” una vera “opzione fondamentale”, per intenderci, è possibile che un credente,un sacerdote in questo caso,possa interpretare la propria malattia come dono e possibilità di vita”compiuta”nella comunione con il Signore. Ovvio che questa scelta non pone il veto a coloro -me inclusa- che non possiedono tale forza dal punto di vista decisionale. Ma questo, chiamiamolo, ” limite” non scalfisce la moralità del cristiano, perché il timore del dolore, della malattia preferendo finanche la morte è istintivo ed esula dall’intenzionalità del cuore o dall’esteriorità del gesto: l’uomo non è stato creato per il dolore, ovvio che ne senta orrore! Il processo decisionale, se accettare o no di vivere o spegnere per sempre il motore -fintanto che c’è la possibilità di decidere consapevolmente- è legato alla coscienza personale, e alla libera responsabilità della persona….altro non so! Poi, sul fronte dell’infallibilità del magistero la “questio disputa” è a tutt’oggi aperta e crea non pochi interrogativi…
Marco,
mi sembra che nella storia di don Sergio ci sia una grande libertà, quella che tra cristiani chiamiamo “la libertà dei figli di Dio”. Don Sergio ha scelto di chiedere su tale questione capitale il parere al vescovo, rimettendosi alla sua obbedienza (e di ciò il vescovo è rimasto, a quanto scrive, piuttosto sbigottito, e non è certo lui ad aver sollecitato l’obbedienza). Tale scelta è evidentemente conseguenza di una scelta fondamentale, una scelta libera, cui don Sergio ha deciso di rimanere fedele anche in questa occasione. La libertà individuale di una persona esiste all’interno di un quadro di valori, rapporti umani, idee, opinioni e costumi: siamo liberi, ma non siamo una monade. Così avviene, o dovrebbe avvenire, per la vita di ogni uomo, e naturalmente per il cristiano, immerso nella vita della Chiesa anche quando giace su un letto d’ospedale. L’idea di un rapporto medico-paziente avulsa da tutto il resto, e dalla stessa realtà e storia fisica, psichica e culturale del paziente, è semplicemente un’astrazione alquanto perniciosa.
L'”utilità” o l'”inutilità” della vita di don Sergio,se cioè – letteralmente, purtroppo – “ne valga la pena” è un giudizio che a lui spetta, non ad altri. Se la sua fede – che si nutre anche, e non potrebbe essere diversamente, delle parole del suo vescovo: ma tutte le nostre convinzioni si nutrono di qualcosa, che non può essere solo un bollettino medico (peraltro qui il parere dei medici sembra coincidere, e questo mi sembra fondamentale) – gli fa comprendere che la sua vita non sarà inutile, nessuno ha il diritto di ritenere questa scelta meno “libera” o meno “vera” di altre.
Qui, mi preme sottolineare, non stiamo parlando di una persona in stato vegetativo: stiamo parlando di una persona perfettamene cosciente e vigile, che può decidere liberamente di se stesso. E lo fa.
Mi sembra gratuito e senza fondamento parlare di spettacolarizzazione e strumentalizzazione oscena e gratuita. E badate che lo dico anche per Welby, dal momento che Welby fu consapevole fino all’ultimo della battaglia che i radicali fecero a partire dal suo caso e accettò coscientemente di essere bandiera di quella battaglia. Legittimamente. Altrettanto legittimamente non accetto che la testimonianza ecclesiale di don Sergio invece debba essere relegata nelle catacombe.
Scusate la punta polemica: ma siamo già al punto che dobbiamo difendere la possibilità di _non_ praticare l’eutanasia (questo sinceramente fatico infatti a chiamarlo accanimento terapeutico), o – se proprio non la pratichiamo – almeno che non si sappia in giro?
Luca,
io sostengo con vigore il rispetto della libertà del paziente! Dunque rispetto la scelta di don Sergio. Non mi sono mai permesso di sostenere che non sia libera o vera.
Ho detto che i medici avrebbero dovuto parlare al paziente prima che al Vescovo perché a stabilire se quel trattamento sia o non sia accanimento terapeutico non siamo né lei, né io, né i primari né i vescovi. E’ il paziente che deve stabilirlo; caso per caso.
Don Sergio si è rimesso alla volontà del Vescovo per dimostrare totale fedeltà alla Chiesa. Sono felice per lui.
Ribadisco che non trovo giusto proporre don Sergio come modello di modo cristiano-cattolico di stare di fronte alla scelta se ricorrere o meno ad idaratazione, respirazione ed alimentazione artificiale nel caso una persona sia malata di SLA.
Questa scelta deve essere libera da suggestioni, pressioni ed imposizioni.
Il codice deontologico vieta esplicitamente l’eutanasia, dunque non c’è da preoccuparsi per questo. Qui più che difendere la possibilità di non praticare l’eutanasia mi sembra che occorra difendersi da poteri statali e non, che pretendono di regolamentare situazioni diversissime per ogni persona che vi si trova coinvolta. C’è un ddl in Parlamento che pretende di affermre che alimentazione e respirazione artificiale siano trattamenti di sostegno vitale e dunque che non sia possibile rifiutarli in nessun caso. Non è il legislatore che può stabilire queste cose.
La decisione può essere presa solo nell’intimità della relazione medico-paziente. La relazione medico-paziente raccoglie in sé i valori fondativi e di riferimento dell’attività medica insieme alle aspettative, emozioni, attese, convinzioni religiose, etiche, culturali e filosofiche del paziente e del medico; questo spiega che non si tratta di una relazione esclusiva e indipendente dalla comunità umana ma anzi è garanzia e tutela del paziente, della sua visione della vita, della malattia, della morte e nello stesso tempo dell’integrità morale della professione medica.
Ti ringrazio per la tua precisazione, che fa giustizia dei miei peggiori sospetti.
Del resto non viene affatto detto che i medici non abbiano parlato col paziente oltre che col vescovo (che del resto ha solo cercato di corrispondere a quanto richiestogli da don Sergio).
La testimonianza di don Sergio dev’essere presa – nella sua volontà di fare della propria vita, anche negli ultimi stadi, una donazione di sé per Cristo e per i fratelli – come esempio di santità (nel senso ampio del termine), proposto (ma non imposto!) a tutti i fedeli. Il che non significa in nessun modo che debba essere strumentalizzata in appoggio a questo o quel provvedimento legislativo (sto seguendo quello che sta accadendo nella commissione parlamentare apposita). Penso che anche tu possa deporre i sospetti di una strumentalizzazione da parte del vescovo e del soggetto ecclesiale: quel tipo di strumentalizzazioni, di solito, utilizzano altri modi e altri toni. La vicenda di don Sergio invita a un uso cristiano, e cristico, della propria libertà, non certo alla sua conculcazione.
Alleluia !! per l’arrivo di Marco al caffè Accattoli.
Per prima cosa perchè non parla “medichese” , poi perchè ha uno di quei pensieri ben definiti che sa farti vedere tutti i lati di una questione, e, non ultimo, per il rispetto di ogni credo e pensiero che si possono celare dietro ogni paziente ( cosa che raramente ho ascoltato o letto).
Concordo in pieno con quanto egli scrive e sono felice di constatare, almeno per quanto riguarda la mia esperienza personale, che anche in Italia ci siano medici che “usano un po’ del loro tempo” per preoccuparsi di stabilire un rapporto medico-paziente che non si riduca ai pochi secondi della visita ospedaliera o ambulatoriale.Dico questo perchè ho sempre notato una grande differenza tra il mio Paese e gli USA dove, specie in casi gravi, si tende a coinvolgere le persone e la totalità dei loro sentimenti rispetto ad una malattia.
Detto questo,secondo me, GPII è stato un santo sulla terra – prima che lo diventi ufficialmente – non per la sofferenza vissuta e mostrata ( magari quello è stato il culmine e, comunque, alla fine ha deciso in piena autonomia che bastavano i tentativi fatti e di “lasciarlo andare”) ma sicuramente per l’amore con cui ha abbracciato tutto il mondo, per i gesti che hanno portato e “riportato” milioni a Dio e alla Sua chiesa….e potremmo continuare all’infinito. Per emulare qualcuno così, bisogna cominciare ogni giorno in ogni piccola azione che facciamo, ma non dimenticando mai che ciascuno anela alla santità in modo personalissimo e pertanto in maniera altrettanto personale lavora ad essa.
Pur non esprimendomi sulla opportunità o meno di divulgare storie come quella di don Sergio, comprendo anche che tanti possono trarre coraggio da certi esempi. Attenzione!!… ho detto coraggio, non certamente modello unico e perfetto di vivere la nostra fede. Sempre rispettando,anche se non lo comprendo, chi decide di offrire la propria sofferenza al Signore, ribadisco, però, che nessuno potrà mai convincermi che “saper” soffrire rende qualcuno un credente migliore di me o lo avvicina al Signore in maniera privilegiata.
Accomunare la nostra umana sofferenza a quella di Cristo che ha sofferto ed è morto per noi mi pare anche un po’ ambizioso nonchè un sopravalutare le nostre reali capacità di sacrificio che, tra l’altro,non capisco come possano far piacere al nostro Dio.
Forse sono troppo semplice nei miei modi di pensare o di credere e non giungo a livelli di fede profonda che potrebbero farmi scegliere una strada simile a quella di don Sergio o di altri, però sono convinta che non fa alcun senso “scegliere” di soffrire ulteriormente,oltre a quello che la vita normale e le malattie che ci colpiscono già impongono.
Sono colmo di gratitudine per la presenza di Marco che riporta sui binari giusti una problematica sempre suscettibile di derive ideologiche non a servizio della persona umana.
Mi ritrovo TOTALMENTE nel buon senso di vita pratica e reale espresso da principessa.
Mi rifiuto di pensare ad un Dio profondamente sadico,
che ha stabilito una qualche legge
in cui vuole che noi persone umane viviamo a tutti i costi e a forza con un corpo in totale disfacimento e tra dolori inenarrabili.
Soltanto una mente profondamente malata,
può pensare che a tutte le persone umane Dio richieda
una bestialità di tale genere.
Dio è libero di fare doni particolari alle persone che lui sceglie,
di capacità di sublimazioni di dolori inumani.
Ad altre persone il buon Dio farà altri doni.
Ho l’impressione, che si sia voluto usare don Sergio in modo “strumentale”….
a pensar male si fa peccato……..
ma ci si “può” azzeccare….
Ora che il “caso don Sergio” è stato lanciato dal suo vescovo don Giuseppe(Generale C.A. in pensione…)
ormai vorremmo seguirne le vicende,
sperando….
che per rispetto alla sua dignità umana
venga strumentalizzato il meno possibile,
e non usato come inumana “bandiera”.
Il senso non è la sofferenza. Il senso è l’offerta della vita, _anche_ (e sicuramente a maggior ragione e a maggior prezzo) nella sofferenza. Solo così ogni sofferenza (imposta dalla vita o dagli uomini – non certo da Dio) può acquistare un senso.
Luca, perchè devo offrire a Dio qualcosa che è già Suo e che mi è stato dato in prestito?
La mia vita non mi appartiene, tutto ciò che in essa accade non mi appartiene, i risvolti della mia vita ( come le malattie) non mi appartengono. La sofferenza HA GIA’ un senso con questi presupposti!
Rimettere nelle Sue mani ogni minuto che trascorre e la soluzione dei problemi e della vita mi pare molto più logico e coerente con la nostra fede.
E che ho detto di così diverso, princess? 🙂
Riflettevo sui temi toccati fino a questo momento, sull’intervento di Luca, di Marco e di prinicipessa poi: ho accusato un senso di smarrimento di fronte all’esperienza nostro essere limitati, della creaturalità che ci assoggetta alla malattia e alla morte, di non essere, in sostanza, fonte di noi stessi, della sproporzione tra ciò che è la pienezza del vivere, e l’impotenza che si sperimenta di fronte al dolore fisico. Qui entra in gioco la capacità umana di superare il proprio limite, entra in gioco l’intelligenza da parte del medico, e la volontà del paziente: la risultante sarà positiva la dove entrambe le capacità viaggeranno in sintonia. Ma il più delle volte accade che l’intelligenza del medico nulla può contro la volontà di un paziente e viceversa: una persona provata nel corpo, difficilmente riesce a capire o dare valore alla sua condizione senza provare smarrimento e angoscia rispetto a ciò che le sta capitando, ci sarà sempre tra intelligere e volere, tra consapevolezza e libertà una lotta senza quartiere : ” Padre, se possibile allontana da me questo calice, ma non la mia volontà sia fatta, ma la tua”; vedete come lo stesso Cristo di fronte all’imminente Passione si trovi scisso tra l’intelligenza di Dio, quel che Dio le sta chiedendo – la vita per la redenzione del mondo- e quella che è la Sua volontà di lasciare tutto e fuggire? Partendo da questo presupposto è d’uopo chedersi quanto sia in questione la possibilità di un cammino interiore e quanto ardua e recalcitrante si sperimenta la volontà del soggetto di interiorizzare la malattia e santificarla, come pure quanto impotente e vacua risulterà l’intelligenza del medico che nulla potrebbe senza quel “fiat” che trascende la volontà stessa…ergo, o forse è solo un’intuizione, che la capacità di offrire il dolore non dipenda sic e simpliceter da noi, ma da una speciale Grazia.
Chiedo scusa, ma allora non avevo capito le tue affermazioni, Luca, nel post delle 16.08.
Sono contenta che abbiamo espresso lo stesso concetto con parole diverse, a conferma di quella pluralità che ci arricchisce tutti, specie in mancanza del conforto visivo.
La Grazia è Grazia,
non è obbligo da parte di Dio,
nè da parte della persona umana.
Al di là di tanti sofismi ,
esiste la persona di carne e psiche,
che si gioca nel suo dolore,
e molto spesso ….
le parole altrui sono vuote.
Solo la Grazia può intervenire,
ma è un atto gratuito e liberale di Dio,
ove vi fosse obbligo,
da parte di chicchessia,
non sarebbe più Grazia,
ma negazione e assoggettamento della creatura e della persona.
(non vi chiamo servi ma amici…)
Dio è il primo che rispetta la persona,
cosa che invece riesce, difficile a tanti uomini e donne. Capisco….
E invece mi sembra di aver completato il pensiero di prinicipessa quando afferma che “accomunare la nostra umana sofferenza a quella di Cristo che ha sofferto ed è morto per noi…è un sopravalutare le nostre reali capacità di sacrificio “….senza una speciale Grazia dall’alto!
Dio elargisce sempre la Sua Grazia in quanto ripieno di Misericordia, poi, sta all’uomo accettarla e di agire secondo la retta ragione illuminata, appunto, dalla Grazia! Dio non è avaro di Grazia, anzi, più ne riversa e più ne è ricco; perché Dio è Dio, e l’uomo è polvere!
Clo,ora mi sono persa e sono confusa!!
quello che io intendevo dire era che la condivisione dei dolori del Cristo è qualcosa di troppo ambizioso e lontano dalla nostra natura umana.Saremmo un po’ troppo pieni di noi se volessimo assomigliare a Cristo, seppure nella sofferenza.
Cioè, c’è stato un solo Gesù Cristo, noi non saremo mai perfetti come Lui ma possiamo solo tentare di vivere dei Suoi insegnamenti. Ed Egli è venuto a prometterci un Regno, ma senza condizionarlo ad alcuna sofferenza o emulazione, bensì ad una vita vissuta nel bene e nel Suo nome.
Nei momenti cruciali di una malattia grave dovrebbe essere solo naturale lasciar lavorare la mano del Signore.
Principessa : più un essere è portatore di un grave handicap, tanto più questo stesso peso lo precipita nella profondità del cuore di Dio. Più un essere è ferito dalla vita, più esso è amato da Maria. Più è rifiutato dagli uomini, più viene proiettato in Dio. Quanto più è ferito, tanto più è Amato!
“misericordia voglio, non sacrificio” Dice il Signore!
Voglio che tu mi conosca: non per offrirmo olocausti, ma amore!
A Principessa vorrei dire che ognuno di noi è chiamato a completare nella propria carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col. 1,24). Impresa improba in ogni tempo, ma praticamente impossibile oggi, in un tempo in cui l’orrore per la carne, il sangue, il dolore, la ruvida concretezza dei liquidi corporei, il disfacimento del nostro corpo, la morte è o rimosso o visto con leguleia, maniacale attenzione ai “diritti” (ovviamente inalienabili, personalissimi, privatissimi) di cui nessuno può ingerirsi e forse neanche parlare.
Quel che è vero è che ci vorrebbe maggiore rispetto, ma per tutti, non solo per chi crede di poter giudicare. Qual è il momento del termine naturale della nostra vita? Quale mezzo è straordinario? Le risposte sono molto difficili e certamente non stanno nei vari articoli dei possibili codici deontologici, nel puntiglioso rispetto di norme o di protocolli medici, neanche fossero le tavole della Legge. Permettetemi un non liquet, saggia decisione di non decidere sempre e per tutti e magari ascoltare, lasciandola parlare, la voce della Verità che dentro di noi sussurra in un frastuono di prese di posizione nette e argomentate. Mi fanno paura, mi insospettiscono, tutte queste dotte argomentazioni; non tutti siamo profeti, nonostante il battesimo ci chiami ad esserlo. Magari fossimo tutti profeti, non ci sarebbe da temere per la fede, la testimonianza (quella vera, personale, sofferta, non per presa di posizione o per principio) parlerebbe per tutti. Mostrando chi, nella sua ultima ed estrema povertà, cerca di essere fedele sino alla fine e, imitando il Maestro, di completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo.
Vede Gerry,
se qualcuno (chi?) ha usato argomentazioni dotte oppure (io) ha citato norme e codice deontologico non lo ha fatto per mettersi in mostra o per dare risposte. Lo ha fatto invece proprio per affermare che non ci sono risposte e proprio per questo la decisione spetta al diretto interessato, che ha diritto di decidere senza pressioni, suggestioni o imposizioni.
E’ facile dire: “Io mi taccio perché ho rispetto.” ma se lei tace non tacciono schiere di Vescovi che definiscono Beppe Englaro un assassino, che negano i funerali a Piergiorgio Welby, non tacciono i movimentati dei movimenti che prendono a calci l’auto di Beppe Englaro e portano pane e acqua in Duomo, non tacciono politici interessati al fantomatico voto cattolico.
Gli unici a tacere sono i pazienti, che in realtà sono gli unici che andrebbero ascoltati. Come futuro medico e dunque come persona che sarà a servizio della vita e della salute nel rispetto della dignità e libertà di qualsiasi paziente in qualsiasi circostanza di guerra o di pace mi sento di non tacere, di non permettere che passi l’idea che occorra prolungare un Calvario per testimoniare Cristo.
Ho a cuore la Chiesa di cui faccio parte ed esprimo le mie idee in libertà finché sarà possibile. Con piena convinzione affermo che le alte gerarchie dimostrano poca lucidità nell’affrontare le questioni bioetiche. I casi sono due: o non sono all’altezza e non colgono i molteplici aspetti dei problemi bioetici in gioco oppure cercano volutamente lo scontro e l’arroccamento non per testimoniare Cristo ma per dimostrare forza e potere nei confronti del secolarismo.
Qualcuno mi invita a ritirare l’argomento della strumentalizzazione. Vorrei farlo ma non posso: troppe volte ho letto cose scientificamente non dimostrabili fatte dire da professori presidenti dei vari movimenti pro-life come se fossero dati di fatto (il prof. Gigli che affermava che Eluana sarebbe morta soffrendo consapevolmente fame e sete; mons. Fisichella che sosteneva l’inutilità scientifica della sperimentazione su cellule staminali embrionali; testimonianze di casi di risvegli da situazioni cliniche completamente differenti dallo stato vegetativo persistente; la volgare testimonianza di una signora che sosteneva di aver visto Eluana sorriderle…).
Non voglio che si imponga il sondino-respiratore di Stato.
E non ho alcuna intenzione di star zitto e lasciar decidere altri della mia vita senza che nemmeno si degnino di spiegare e motivare teologicamente e pastoralmente le loro posizioni.
Non seguendo telegiornali e leggendo in questi ultimi tempi solo articoli fondamentalmente di interesse religioso o teologico,
mi sono perso un dato che mi ha reso chiaro l’esisteza di questo post…
nella Commissione Affari Sociali si sta discutendo di testamento biologico,
e io non lo sapevo.
Non nego che sulla scorta della personale esperienza
il sospetto che don Giuseppe, da Cagliari abbia voluto fornire, in questo momento,
un “assist” politico,
è molto forte.
Ringrazio Marco per la sua chiarezza,
nella Chiesa siamo molti i cattolici che condividiamo le sue espressioni di grande equilibrio.
La Grazia ?
ciascuno ha doni diversi da uomo a uomo e da donna a donna,
già lo rivela la differenziazione dei talenti….
parimenti ai talenti agisce la Grazia,
diversamente tutti dovremmo rispondere alla stessa altezza nella sublime capacità di martirio alla Massimiliano Kolbe.
La santità,
è chiamata personale…..
non quantificabile da nessuno,
e mi sconvolge che qualcuno lo possa fare.
Ciascuno è chiamato in modo diverso, l’uno dall’altro.
Credo che affermare l’obbligo di Dio ai concetti umani,
sia l’inizio della negazione di Dio stesso.
Nella realtà quotidiana,
io incontro “semplicemente” persone umane….
abitate da Dio,
e questo Dio le abita senza farsi tanti problemi sociali, morali, teologici o di codice di diritto canonico,
persone che amano, odiano, soffrono, fanno sesso, si ammalano….
persone normali con un normale Dio dentro….
La Grazia è Dio che mi ama per primo,
e osa conquistarmi,
senza violentarmi.
La santità è conseguenza della Grazia che Dio rivers in abbondanza su ogni battezzato e la rinnova incessantemente nell’Eucaristia. Poi spetta all’uomo il compito, in virtù del suo arbitrio libero, far si che fruttifichi per l’edificazione e del Corpo Mistico e per la propria santificazione. Questo è il rapporto ” Grazia” libero arbitrio “santificazione” …
Ma che dici Matteo: le cose non stanno per niente come vuoi farle intendere…Dio abita il cuore dell’uomo fintanto che il cuore dell’uomo obbedisce ai dettami dell’amore e cerca di stare lontano dal male. Invero, un pervicace attegiamento di chiusura al bene allontana l’uomo dalla Grazia…lo allontana e come bene! Il cuore dell’uomo può diventare un abisso di male se lontano da Dio! E nè Dio vi potrebbe abitare né lo Spirito Settiforme vi potrebbe agire…semplicemente perché è all’opera la stessa inviolabile libertà cui neppure Dio può impedire all’uomo di esercitare. E questo è quanto, teologicamente parlando, poi, se tu hai un’altra teologia fatta a misura secondo il tuo ghiribizzo Matteo, è affar tuo…ma sei in errore! Rivediti!
Bella ed importante discussione: è già stato detto tutto, di tutto, e di più, ed è, pertanto, inutile che io m’inserisca.
PIuttosto, saluto Marco – non ricordo se sei “nuovo” del “pianerottolo”: in tal caso, benvenuto ! – e mi congratulo con te per lo spessore del contributo fornito al dibattito.
A domani !
Roberto 55
Sottoscrivo parola per parola, virgola per virgola, e (come dice Rob55) anche spazi per spazi l’intervento di Marco delle 19.09.
Completare i patimenti di Cristo?
Ho completato il dodicesimo anno di assistenza continua – 24/7 come si dice qui – di una madre che non sa più chi sono e a cui faccio io da madre. Avete idea di che cosa sono 12 anni?
e lei? una donna che poteva caricarsi il mondo sulle spalle per l’energia,l’entusiasmo e l’amore che la colmavano.
Sono certa che, data la sua profonda religiosità,avrebbe offerto le sue sofferenze al Signore – e nulla mi impedisce di credere che non lo stia facendo a modo suo – ma, quando ancora era in grado di pensare (nonostante una bassa scolarità ma con una cultura da autodidatta) mi chiese di non lasciare mai che la sua vita fosse attaccata a macchine di sorta e che la mano del Signore potesse operare senza alcun intralcio umano.
E io? dimmi Gerry, io non avrei avuto il diritto di vivere una vita normale? di essere ancora figlia per un po’? di godermi la vecchiaia di mia madre?……..non è successo, ed è dal mio Signore che ogni giorno giunge la forza per affrontare un’altra giornata. Ma mi rifiuto CATEGORICAMENTE di pensare che Dio si compiaccia di quel che accade e possa interpretare le sofferenze di mia madre ( e le mie) come un completamento delle Sue.
Se proprio ci dobbiamo fare entrare Dio in questi discorsi sono certa che anche Lui sarebbe felice di partecipare come colui che opera la guarigione dalle malattie, e non che trascina le sofferenze per anni ed anni, o che accetta le stesse come un sentiero eccellente per raggiungerLo, o – ancora peggio – che si usi Lui e la fede in Lui per mostrare una specie di modello da seguire per essere perfetti cattolici o per testimoniare la propria fede.
Ribadisco che non credo affatto che il mio Signore possa essere così sadico da desiderare quello che mi capita di vedere e pulire (a proposito di sangue,carne,difacimento del corpo e ruvida concretezza dei liquidi corporei) ogni giorno e a mia madre di soffrirlo.Ma quando mai?
Ci sono, poi, anche momenti in cui la rabbia che sento dentro esplode,specie quando mi succede di leggere o ascoltare chi pontifica su questi argomenti con libri alla mano ma senza aver mai toccato un viso che ti chiede di “lasciarla andare” o una mano che non coordina più la carezza che ti vorrebbe dare. Per questo ringrazio Dio per giovani studenti come Marco che si pongono il problema come fa lui, ma soprattutto che hanno compreso già da adesso che non sono le leggi, la Chiesa, i preti , i vescovi o chiunque altro se ne arroga il diritto, di decidere per ciascuno.Gli unici che dovrebbero parlare,anzi gridare, sono i pazienti, di cui noi assistenti siamo la voce talvolta, che la malattia ha già prostrato abbastanza e che dovrebbero essere messi in grado di scegliersi se vogliono essere curati o meno senza sollecitazioni,modelli o imposizioni legati alla fede o ad alcunchè.
E non sto parlando di eutanasia…
Ma poi, mi capita anche di pensare che, forse, non sono cattolica……
Sottoscrivo anch’io ogni parola di Prinicipessa e ringrazio Marco per la profondità degli argomento, la sua umanità e bontà, il suo saper ascoltare il cuore dell’uomo quando la malattia ne riduce il battito, di saper stare accanto alla sofferenza quando tutti ne rifuggono. Eh si, perché c’è anche quell’aspetto che non si può sottovalutare: la fuga delle istituzione, dei parenti, degli amici,la solitudine in cui si vengono a trovare i famigliari provati nell’anima e nella psiche quando dal congiunto si trova in quella condizione disumana. La questio è seria, e il dibattito aperto, è vero, mille sono i dubbi che ci assalgono: accanimento disumano o umanità a 360°gradi, la vita come dono da riconsegnare quando la medicina pone il veto se staccare o meno il sondino o obbedire alle leggi fisiche poste in essere dall’Onnipotente che spontaneamente, naturalmente lasciano andare il corpo malato alla terra e restituiscono a Dio l’essenza che è l’anima…
Lasciamo che Dio sia Dio, quel Dio meraviglioso e Buono che ama la sua creatura e piange con Lui, che non si compiace del male. Coloro che pensano il contrario hanno grande torto,persuasi che la malattia sia nellla volontà di Dio tanto da attribuirgli delle intenzioni e delle azioni assolutamente indegne del Sommo, rinunciando al dogma che riconosce la Sua giustizia e bontà. Quasi che essendo Padrone sovrano dell’Universo, Egli potrebbe, procurare dolore all’uomo perché cosí gli piace, e perfino che potrebbe prendersi il piacere di affliggere pene agli innocenti. Alcuni sono giunti perfino ad affermare che Dio opera effettivamente cosí, e, sotto il pretesto che noi siamo nulla in confronto a lui, paragonano gli uomini a quei vasi di coccio di cui non ci preoccupiamo se nel trasporto si frantumano. Questo volto non appariene a Dio…Dio è AMORE!
Clodine, alle 21:52,
io ero a dormire,
e ne sono contento.
Preferisco l’amore incondizionato di Dio,
al giudizio ideologico degli uomini.
Mi farebbe piacere essere anche ascoltato,
ma non posso pretenderlo.
Bene,
se io mi faccio una mia teologia….
lascio volentieri a te giudicarlo…
A principessa,
la mia unità,
senza parole,
perchè veramente non ne ho.
Spesso penso che quel che accade oggi a te,
sia riservato anche al mio futuro…
e lì,
le parole non conteranno,
ci saranno, Gesù crocifisso, la mia coscienza, e i miei amici veri,
il resto sicuramente sarà aria fritta.
Ti sono vicino.
…Non omettendo mai,ovviamente, di benedire e ringraziare tutti i medici, chirurghi, operatori sanitari che cooperano per alleviare le sofferenze del genere umano. Infine, donde la luce che fece, e fa, trovare ai tanti ricercatori i rimedi contro malattie gravissime che ancora oggi mietono vittime nel terzo mondo: difterrite, polio, infezioni virali di varia natura ed eziologia – ce ne sarebbe da elencare un mare..-non da ultimo ricerche sulle malattie genetiche, alcune rare, e su quella bestia che è il cancro…?…Echi, se non Dio, fa muovere le mani sapienti su qui piccoli organi, micro.organi appena percettibili di neonati ancora feti nei ventri? E’ sempre Lui: Dio che bendice la medicina e i medici: apostoli e Angeli senza i quali la nostra esistenza sarebbe un calvario…e “godrebbero” della vita solo i forti per via della selezione naturale…
Buongiorno Matteo…
io non spero di essere ascoltata io SO di essere ascoltata -Lui ha detto di essere vicino a chi lo cerca- ed io lo cerco, lo cerco sempre nel bene e nel male..
il problema nostro è che vogliamo Lui ci ascolti, ma non siamo capaci di ascoltare quello che LUI ci vuole dire!
Principessa: anzitutto un fortissimo abbraccio. Chino il capo, consentimi, davanti alla tua esperienza umana e cristiana, che conferisce alle tue parole
una profondità e una verità che le mie non hanno. Davvero.
Il fatto che le nostre sofferenze – ovviamente vissute nella fede – “completino quelle di Cristo” è un dato biblico a cui il credente non può rimanere indifferente. Da che naturalmente NON si deduce che ciascuno sia chiamato a soffrire il più possibile. Il cristianesimo non è una religione di torturatori né di masochisti. Il cristianesimo conosce anche forme penitenziali fisiche, dal cilicio in giù, che non vanno disprezzate ma che tutti i grandi santi hanno sempre saputo guardare con equilibrio, tenendosi lontani (e ancor più tenendo lontani gli altri) da qualunque estremo. Tuttavia, accettare nella fede le sofferenze della vita (le sofferenze che càpitano: fisiche e non fisiche, grandi e piccole) ha obiettivamente, per il cristiano, un valore di unione e assimilazione a Cristo e al suo potere salvifico. Io sono il primo a non saperlo fare (dal mal di denti in giù), ma è così. Dio non vuole la sofferenza e tantomeno la morte, ma dal momento che sono entrate nel mondo (“per invidia del diavolo,” dice la Scrittura) ha saputo mediante la morte e la risurrezione di Cristo trasfigurare anch’esse in strumento di salvezza.
A Marco vorrei dire che condivido la totale disapprovazione, e in certi casi lo sdegno, per alcune forme di strumentalizzazione e di fanatismo che si sono verificate nei casi che ha citato (anche se ha messo insieme cose piuttosto diverse; e non mi risulta che “schiere di vescovi” abbiano “definito Englaro un assassino”: almeno spero). Anzi, temo ancora di più il fanatismo “in buona fede” e “con le migliori intenzioni”. Anche se mi permetto di far notare che la strumentalizzazione non è avvenuta soltanto su un “fronte”.
Semplicemente, mi sembra che i toni e i modi usati dal vescovo per raccontare la storia di don Sergio siano lontani le mille miglia da quei fanatismi e da quelle strumentalizzazioni. Anche la storia di don Sergio merita sicuramente di non essere strumentalizzata, ma anche di non essere taciuta e di essere raccontata nella sua limpidezza come testimonianza cristiana di fede e di carità.
Luca Grasselli dice cose pacate e cristiane (aggettivo, come qualcuno fa notare), fuori da quell’ardore polemico di cui qualcuno si fa scudo, arma più che scudo, per mostrare la propria verità. Io in materia non ho verità, se non Cristo e Cristo crocifisso. So per esperienza personale di questo ultimo mese quanto è difficile vivere con un malato, eppure è solo un mese che ho davvero il problema di mia madre ed è solo da una settimana che mi sono trasferito da lei, mi auguro provvisoriamente: figurati, cara Principessa, se non capisco e piango una situazione come la tua, che è un’elevare all’ennesima potenza la mia e che tu vivi da così tanti anni. Capisco quel che definisci la rabbia che ti senti esplodere dentro: ma la rabbia non è mai la migliore consigliera (lo dico a te perché prima lo dico a me, che di ira – sorda e inutile – mi devo sempre accusare ed emendare).
Purtroppo nessuno è in grado di capire e di accettare fino in fondo che il nostro non è un mondo perfetto, ma dimidiato, afflitto e malato: tutta la creazione – e noi con lei – geme nelle doglie del parto. La discussione sul Dio buono e onnipotente e la contemporanea esistenza del dolore (del dolore innocente) è lunga e inesauribile, interpretabile solo alla luce della fede in un Dio che accetta per amore – non di vincere dolore e morte con qualche miracolo – di condividere con noi questa terribile realtà, mostrandoci una strada che parte dalla Croce e da lì sale. Nel Padre nostro preghiamo per essere liberati dal male, ma sempre se questa è la nostra di strada, nel progetto di Dio per noi, in una singolare economia che chiede di più a chi può dare di più.
Cosa dovrebbe o potrebbe fare la Chiesa (non solo intesa come gerarchia), se non cercare di rendere testimonianza, senza imporre quel che non si può imporre, ma solo proporre, con grande timore e tremore? Il mistero, le domande restano e resteranno; mi creda, Marco, se le dico – come lo potrebbe dire un padre, data l’età – di non agitarsi tanto e cercare di ascoltare la voce della Verità che, ripeto, sussurra dentro di lei e dentro ogni uomo.
Sono una piccola giunta a margine dei bellissimi post di Luca e Gerry: pensare che la decisione del vescovo di rendere pubblica la storia di don Sergio sia strumentale e si fondi sulla spettacolarizzazione fine a se stessa, o per scopi meramente politici…veramente..mi fa orrore il solo pensiero. Sono invero che sia una grandissima testimonianza di adesione a Cristo!
“Domandiamo che la volontà di Dio si faccia in cielo e in terra: che l’una e l’altra cosa riguarda il perfetto compimento della nostra giustificazione e salute. Infatti, noi possediamo un corpo che viene dalla terra e uno spirito che viene dal cielo: così, siamo terra e cielo. E, quindi, in realtà, chiediamo che la volontà di Dio sia fatta nell’uno e nell’altro, cioè nel corpo e nello spirito… Così, ogni giorno, o meglio a ogni istante, preghiamo che in noi sia fatta la volontà di Dio in cielo e in terra: perché questa è la volontà di Dio, che le cose terrene cedano alle celesti, e prevalga ciò che è spirituale e divino”
San Cipriano
venia
“solo” una piccola aggiunta…e ..”sono invero convinta..”
[spero comunque si sia capito il senso di ciò che intendo dire]
Grazie a Princess, Clodine, Luca & Gerry… Profonde e arricchenti condivisioni.
Alla fine cio’ che ci resta e’ passare attraverso la vita tutta…
e attraverso la sofferenza…da credenti…in fedelta’…come Gesu’…
che attraverso la sofferenza imparo’ ad obbedire…
Eh si’, la nostra prima obbedienza e’ alla realta’, alla vita…che e’ sempre dono…ricevuto…e da donare…anche attraverso la sofferenza.
La croce.
Mi fermo qui…se no magari rischio di fare l’elicottero che scaccia i gabbiani…che poi ritornano.
Buona notte.
Vi ringrazio tutti della costante e affettuosa solidarietà che mi capita di leggere sempre quando accenno alla mia mamma e alla mia personale esperienza con la sua malattia.
Penso che siamo fondamentalmente concordi circa la nostra fede comune e la maniera di vivere la malattia attraverso (e con) essa.Però, ho impressione che abbiamo perso di vista le questioni basilari che Marco – specie nel suo bellissimo intervento delle 19.09 – poneva alla nostra attenzione, e cioè il dubbio che prolungare il Calvario di una sofferenza renda migliore testimonianza a Cristo che il non farlo, nonchè l’ultima affermazione che Marco ci propone con vigore e convinzione:
“Non voglio che si imponga il sondino-respiratore di Stato.
E non ho alcuna intenzione di star zitto e lasciar decidere altri della mia vita senza che nemmeno si degnino di spiegare e motivare teologicamente e pastoralmente le loro posizioni ”
Ciascuno dalle nostre personalissime posizioni dovremmo pensare bene a questi due argomenti proposti e spiegare, possibilmente con le nostre parole e con le nostre sensazioni, quello che ci alberga nel cuore che, sì! certamente!, non può discostarsi dalla fede e da quanto crediamo ma che dovrebbe anche rispecchiare il “coraggio” di essere umani, stanchi, pieni di timori.
Come qualcuno ha ricordato, perfino Gesù ebbe paura…
Non so se sia strano che io mi ritrovi pienamente in tutte le parole espresse da principessa e marco in questo post (spero che questo non li sconvolga…)
Li ringrazio per farci stare con i piedi per terra e di farci uscire dalla melma ideologica.
Sì, principessa,
ho sempre presente…
che Gesù ebbe paura…
fu preso da una angoscia mortale
arrivando a sudare nell’estremo psicologico sangue….
Forse per impedimento personale (?) trovo semplicistiche le espressioni di unione ai patimenti di Cristo…..
il dolore…. la vicinanza con morte … sono carnalmente e fortemente concreti,
che non si possono spiegare con smielamenti verbal-mistico-teologici…..
anche Paolo non va strumentalizzato contro la persona umana per mostrare le proprie belle erudizioni bibliche. Credo che conosciamo un po’ tutti Paolo… e quanto sia raccomandato anche saper situare le parole di Paolo per non fare del puro fondamentalismo, tanto caro agli evangelici USA.
Matteo, oltre a “melma”, “smielamento”, “erudizione” e “fondamentalismo” ne hai delle altre? No, così, per sapere, è sempre bello ricevere apprezzamenti.
Non sò,
non credevo che ti stessi facendo apprezzamenti,
in fondo è la mia esperienza, è la mia cultura o pseudocultura se vuoi…
poi se lo vuoi prendere in modo personale….
è una tua libertà.
un saluto
E’ vero,Principessa, che Gesù ebbe paura della morte, ma ancora di più la ebbe della passione, del dolore, perché era realmente uomo composto da nervi, muscoli, ossa, con percezioni sensoriali e extra sensoriali all’ennesima potenza, essendo anche totalmente divino.Dunque,per riuscire a dare una risposta circa la domanda che ci si pone -se, cioè, accettare o meno di soffrire con la perfetta consapevolezza di compiere un atto di somma conformità alla volontà del Padre Eterno, finanche ad accettare l”accanimento” con conseguente una lunga agonia ,volutamente, renda il dono di quella sofferenza più gradito rispetto a chi non ce la fa -me compresa- ad arrivare a tanto; e se, la prima opzione abbia più spessore e peso in termini di testimonianza cristiana [e anche di santità] rispetto a colui che decide di lasciarsi andare rifiutando ogni tipo di ausilio ecc…Orbene, il paridigma in questo contesto -visto che stiamo parlando di santità e se ci sia più o meno valore in termini di autenticità al cospetto di Dio- non può che essere il Cristo, ovviamente. Iniziamo col dire che quando Pietro propone a Cristo di aggirare la prova e la croce la risposta fu: ” va de’ retro satana perché mi sei d’impedimento”, e quella notte nel Getzemani fu dilaniato tra la Sua Volontà e quella del Padre che lo aveva inviato per una causa: l’uomo e la salvezza dell’umanità! Stretto tra la Volontà del Padre e l’amore per tutti noi s’immola in silenzio: accetta. Ma se acuissimo lo sguardo ci accorgeremmo che a dilaniare il corpo di Gesù, ad armare la mano dei flagellatori non fu certo Dio, ma quel tentatore che nel deserto aveva promesso che sarebbe tornato al tempo debito. Quindi non è la Volontà di Dio a chiedere la sofferenza è, invero, la presenza di forze oscure che la causano[come già accennava Gerry] Ergo che il fare “la Sua Volontà” può condurci anche alla sopportazione di una sofferenza estrema, similmente al destino di Cristo,e forse più questa sofferenza è sopportata nello spirito del Cireneo, più ha valore di redenzione per l’umanità…benché Tutta la sofferenza, dalla più piccola a quella indicibile sia catartica e raggiunga il cuore del Padre; tuttavia, quella accettata e vissuta volutamente per un fine altissimo in conformità ai patimenti di Nostro Signore credo abbia una potenza sconfinata, e abbia la capacità di redimere una quantità enormità di anime…
Discussione molto interessante. Intervengo solo per ringraziare Maioba per il video di don Marcello.
Princess, 17:06 – ” …Però, ho impressione che abbiamo perso di vista le questioni basilari che Marco … poneva alla nostra attenzione, e cioè il dubbio che prolungare il Calvario di una sofferenza renda migliore testimonianza a Cristo che il non farlo…”
Io non “l’ho perso di vista” ne’ scordato. L’interessante e profondo dialogo di questo post mi ha “confermato” circa il tema, coincidendo fondamentalmente con Marco e anche con qualche altro insight (piu’ critico verso Marco) molto stimolante. C’e “la legge”, c’e’ la persona, ci sono i medici, ci sono i famigliari, c’e’ la coscienza, c’e’ la liberta’…ma soprattutto c’e’ la Fede.
Don Sergio e’ “inspiegabilmente contento” e di questo sinceramente benedico il Signore. Ma non si faccia di lui l’unico modo/l’unica via cristiana di essere fedeli alla realta’ della sofferenza umana. Meno che meno attraverso leggi. Ciao.
ho l’impressione che davanti alla sofferenza e al dolore dovremmo chiudere un po’ tutti la bocca… come Giobbe…
troppe parole, da qualunque parte vengano, rischiano di essere retoriche…
senza offesa per nessuno.
ciao Lyco e ciao a tutti
No, maioba, te lo dico sommessamente con il cuore in mano e anche mortificata dal tuo intervento: perché parli di retorica: quando c’è di mezzo la Parola di Dio si è fuori di retorica, e, mi sembra che ciascuno di noi abbia tentato di portare il proprio contributo in virtù di esperienze vissute sulla propria pelle, proprio per essere già passati attraverso la grande prova che fu dello stesso Giobbe…qui nessuno ha voglia di scadere della retorica: parola che sento troppo spesso e che comincio a detestare quando la si applica in contesti che non la contemplano, anzi: proprio la drammaticità del tema fugge la retorica. Nessuno, tra noi, ha voglia di speculare sul dolore e la malattia, né tanto meno fare apologia, o attegiarsi a grandi sapienti…Ci è stato chiesto un parere, che un è un giudizio…abbiamo tentato di dare delle nostre risposte, consapevoli di non essere saustivi, men che meno di avere in tasca la verità…tutto qui..
Domani il Tabor ….concentriamoci sul volto trasfigurato di Nostro Signore….
con affetto
chedo venia “un parere che NON è un giudizio”
esaustivi..scusate
anche io son stato chiamato e ho dato il mio parere… tutto qua! che i nostri pareri divergano non è un problema per me!
OK…tu hai mandato un video che ha detto tutto…chi non avuto la possibilità di inviare un video ha tentato di esprimersi come meglio ha potuto…senza pensare un momento di dare l’impressione di far retorica, portando ad esempio le proprie esperienze di vita o condividendo quanto la Parola di Dio ci può dire al riguardo, in un pacato invito alla riflessione su un tema -e lo dissi nell’incipit- di delicato e difficile approccio…Tutto qui!
Scusate se non ho potuto partecipare negli ultimi due giorni, ho avuto impegni.
Grazie a chi ha compreso le mie parole e le mie intenzioni.
Principessa: tu sei cattolica! Afferma il Qoelet 3,20-22:
“Tutti sono diretti verso la medesima dimora:
tutto è venuto dalla polvere
e tutto ritorna nella polvere.
Chi sa se il soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra?
Mi sono accorto che nulla c’è di meglio per l’uomo che godere delle sue opere, perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui?”
E in 8,8 dice:
“Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo, né alcuno ha potere sul giorno della sua morte, né c’è scampo dalla lotta; l’iniquità non salva colui che la compie”.
Se si legge la Sacra Bibbia si comprende che la Fede è un viaggio avventuroso, mai scontato in cui si pecca e si lotta con Dio talvolta. La verità è che siamo immersi nelle tenebre e la Parola è un lumicino che ognuno porta con sé e insieme ci illuminiamo vicendevolmente la strada. Non siamo però al riparo da errori e tragiche cadute.
La Chiesa non propone ma, attraverso i rapporti stretti tra gerarchie e partiti politici, sta imponendo una legge liberticida che peggiora il già complicato rapporto medico-paziente e pretende di regolare momenti delicati e diversi per ogni uomo, momenti intimi e da proteggere come quello della malattia grave e della morte.
Dinanzi a tale fermezza autoritaria e paternalista delle gerarchie ecclesiastiche e dei loro bracci secolari (movimenti e professori vari) occorre far sentire la propria voce. La Chiesa non è solo il card. Ruini, il card. Poletto o il card. Barragan.
Scrive il Concilio vaticano II in Lumen Gentium:
Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto a titolo uguale la fede che introduce nella giustizia di Dio (cfr. 2 Pt 1,1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo. La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio comporta in sé unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da una comunità di rapporto: che i pastori della Chiesa sull’esempio di Cristo sono a servizio gli uni degli altri e a servizio degli altri fedeli, e questi a loro volta prestano volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai maestri. Così, nella diversità stessa, tutti danno testimonianza della mirabile unità nel corpo di Cristo: poiché la stessa diversità di grazie, di ministeri e di operazioni raccoglie in un tutto i figli di Dio, dato che “tutte queste cose opera… un unico e medesimo Spirito” (1 Cor 12,11).
I laici quindi, come per benevolenza divina hanno per fratello Cristo, il quale, pur essendo Signore di tutte le cose, non è venuto per essere servito, ma per servire (Mt 20,28), così anche hanno per fratelli coloro che, posti nel sacro ministero, insegnando e santificando e reggendo per autorità di Cristo, svolgono presso la famiglia di Dio l’ufficio di pastori, in modo che sia da tutti adempito il nuovo precetto della carità. A questo proposito dice molto bene sant’Agostino: “Se mi spaventa l’essere per voi, mi rassicura l’essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza”
L’apostolato dei laici
I laici, radunati nel popolo di Dio e costituiti nell’unico corpo di Cristo sotto un solo capo, sono chiamati chiunque essi siano, a contribuire come membra vive, con tutte le forze ricevute dalla bontà del Creatore e dalla grazia del Redentore, all’incremento della Chiesa e alla sua santificazione permanente.
La Chiesa è anche il popolo di Dio che ha diritto e dovere di parlare.
caro Marco, sinceramente la lettura del Qoelet non porta ad una sorta di relativismo secondo cui la verità e la giustizia del caso singolo, soprattutto in certi casi, sia affidato completamente alle parti in gioco. Al contrario Qoelet arriva alla conclusione opposta: proprio perchè la verità dell’uomo è fragile, evanescente, non c’è altra strada che rimettersi alla Parola di Dio che trascende le parti e sola può svelare il senso di ciò che sembra non avere senso.
Anche la citazione del Concilio Vaticano II a mio parere sortisce alla fine l’effetto di mettere questo in cattiva luce. Gaudium et spes dice chiaramente (27): ” tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario … tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore.”
Ovviamente altro è il discorso relativo al cosiddetto accanimento terapeutico, per il quale http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19800505_eutanasia_it.html
Gentile Cherubino,
1) non ho mai affermato di essere favorevole ad eutanasia attiva od omissiva né a suicidio assistito;
2) non ho mai detto che la verità sia relativa e che l’Ecclesiaste affermi questo.
Piuttosto ho sostenuto che:
1) la Parola ci aiuta ad illuminare il nostro cammino verso Dio senza tuttavia renderci immuni dal peccato e dall’errore;
2) solo la Misericordia attraverso la Grazia possono salvarci;
3) sono favorevole al fatto di permettere la sospensione di trattamenti terapeutici considerati sproporzionati in ultima istanza dal paziente nel contesto vivo e dialettico della relazione medico-paziente. Non ritengo questa scelta contradditoria alla Parola di Dio.
Lei è in grado di dimostrare e spiegare su quali basi teologiche può affermare che sia giusto, doveroso e gradito a Dio che un malato di SLA prolunghi il suo già doloroso Calvario indefinitamente?
mi scusi Marco, ma il su opost era composta di tre parti, la prima sul Qoelet, la terza citando Lumen gentium, in mezzo questa affermazione
“La Chiesa non propone ma, attraverso i rapporti stretti tra gerarchie e partiti politici, sta imponendo una legge liberticida che peggiora il già complicato rapporto medico-paziente e pretende di regolare momenti delicati e diversi per ogni uomo, momenti intimi e da proteggere come quello della malattia grave e della morte.
Dinanzi a tale fermezza autoritaria e paternalista delle gerarchie ecclesiastiche e dei loro bracci secolari (movimenti e professori vari) occorre far sentire la propria voce. La Chiesa non è solo il card. Ruini, il card. Poletto o il card. Barragan.”
La struttura del post è chiaramente impostata in modo che la prima e la terza parte siano al servizio dell’affermazione centrale, posto che
1) la verità è incerta (conclusioen della prima parte: “la Parola è un lumicino che ognuno porta con sé e insieme ci illuminiamo vicendevolmente la strada. Non siamo però al riparo da errori e tragiche cadute.”);
2) tra laici e clero c’è una quasi-parità (lettura errata di Lumen gentium: si confonde l’unione dei vari “sacerdozi” con una pari responsabilità-autorità).
Pertanto andando al cuore del suo post
1) premesso che il Qoelet dica l’uomo deve cercare la verità fuori di sè, dato che non può trovarla autisticamente o per convenzione tra le parti, e che Lumen gentium non metta da parte la chiara distinzione tra sacerdozio comune e ordinato, co-finalizzati ma nella diversità, diversità ontologica e non solo di grado (come più volte ribadito dal Magistero)…
2) da un punto di vista cristiano la definizione di ciò che è bene e male non può mai essere proprietà esclusiva del rapporto medico-paziente sia dal punto di vista religioso sia da quello legislativo, venendo in causa beni assoluti che la nostra Costituzione pone come beni pubblici (e bene applica il principio il vigente codice penale).
Per un cristiano la vita -anche quella propria- non è un bene disponibile da parte dell’uomo, e diporne in tutta la Bibbia equivale ad un gravissimo furto a Dio di ciò che è solo suo.
Certo ci sono anche le cure non proporzionate (ma nel suo primo post lei non faceva distinzioni, come è chiaro dalle parole che ho riportato sopra) e qui la Chiesa non intende affatto imporre una sorta di sadismo. Veda il testo della Congregazione per la dottrina della fede che ho linkato. Ma una cosa deve essere chiara: se la valutazione di “sproporzionalità” è delle persone coinvolte, devono essere oggettivi tanto i criteri per cui una cura è “sproporzionata”, tanto i criteri di verificabilità della presenza di tali presupposti.
Ribadisco:
Il Qoelet afferma che Dio è un Mistero e che l’uomo deve temere Dio e rispettare la sua Legge.
La Parola, anche quella di Gesù, non ci rende immuni dal peccato e dall’errore.
Cristo stesso prima di consegnare il Suo Spirito nelle mani del Padre disse: “Eloi, Eloi! Lemà sebactanì?” che significa: “Dio mio, Dio mio! Perché mi hai abbandonato?”. Il Mistero di Dio vale dunque anche per Gesù in quel momento. Chi sostiene di non essere turbato da questo o è ipocrita o è inconsapevole.
Solo la Misericordia, attraverso la Grazia, ci può salvare.
I laici hanno il diritto e dovere di parlare. I Maestri hanno il dovere di ascoltarli e di spiegare le basi teologiche delle loro affermazioni.
Sostenere che per rendersi simile a Cristo occorra prolungare indefinitamente un già doloroso Calvario attraverso strumenti artificiali, che hanno il fine di modificare ed impedire il naturale decorso di una malattia, deve essere motivato illustrandone le basi teologiche.
Dove sta scritto che sia obbligatorio per l’uomo e gradito a Dio che si ricorra a tutti i mezzi scientifico-tecnologici diponibili per evitare la fine naturale della vita terrena?
L’oggettività dei criteri è impossibile perché la personalità, la resistenza morale e fisica, le caratteristiche cliniche di una stessa o di diverse malattie sono differenti e vissuti diversamente da persona a persona. Dunque è il paziente in ultima istanza, sostenuto e accompagnato dal suo medico e dai suoi cari, a dover decidere cosa fare.
Questo non è in contraddizione con la Legge di Dio in quanto non si provoca la morte, si accetta di non poterla impedire (Cfr. 2278 Catechismo della Chiesa Cattolica).
caro Marco: ma ha letto il documento che ho linkato e che facciomio ? mica dice ciò che lei mi attribuisce !
quanto al grido di Gesù è esattamente il contrario di ciò che lei afferma: Gesù sulla Croce ha talmente diffidato delle sensazioni personali, che pure ha voluto condividere con l’umanità, da non cedere ad esse. Egli avrebbe potuto a) morire più in fretta, b) non morire affatto. Invece ha aspettato il termine naturale della sua vita, lui che aveva tutto il potere di fare diversamente.
Prorpio quel grido, che è in realtà il far proprio il Salmo 22, termina così
“E io vivrò per lui,
31lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
“Ecco l’opera del Signore!”.
Ecco l’opera del Signore ! Quando sentiamo in noi la nera notte dell’anima, dei sensi, dobbiamo cercare in profondità la sorgente a volte flebile ma sempre viva dello Spirito Santo. Tacere noi e far parlare Lui. Nell’assenza totale di consolazioni umane Dio non farà mancare la Consolazione che viene dall’alto. Ma bisogna essere attenti e aperti ad accoglierla.
Questo indica il grido di Gesù.
Cherubino: conosco il documento e l’ho letto ed è in linea con i punti del Catechismo a riguardo.
Infatti proprio per questo mi chiedo come possa il Vescovo di Cagliari arrivare a chiedere un sacrificio tanto grande a don Sergio che aveva manifestato tutt’altra intenzione! In ogni caso don Sergio ha voluto così e dice di essere felice perciò io rispetto la sua scelta e prego affinché abbia la forza di proseguire.
Soprattutto però, dato il suo documento e i punti del Catechismo a proposito, non comprendo come mai la Chiesa abbia a cuore l’approvazione del ddl Calabrò sulle direttive anticipate di trattamento.
Non comprendo nemmeno come mai solo le testimonianze di scelte come quelle di don Sergio o del suo Vescovo siano proposte da Avvenire.
Non comprendo come mai nelle questioni Welby, Englaro, DAT la Chiesa si faccia rappresentare da persone come Binetti, Formigoni, Lupi, Gigli nei programmi TV.
La maggior parte dei cattolici è a favore della libertà del paziente di decidere se continuare o interrompere un determinato trattamento medico. Non è il Papa a poter dire se il trattamento medico in questione sia o no sproporzionato! E’ il paziente!
Non è eutanasia omissiva, è sospensione di un trattamento ritenuto incompatibile con la propria dignità di essere umano.
Cherubino: a Gesù nessuno ha impedito di morire con un sondino o un respiratore. Nessuno ha detto: “Soffri ancora un poco per noi! Non è abbastanza!”
“Eloi, eloi lema sabactani?” significa letteralmente: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Mi pare che ci sia poco da aggiungere. Non è una mancanza di fede, che sarebbe impossibile al Figlio di Dio, è però emblema del Mistero dell’azione di Dio, che è comunque distinto dal Figlio. Lo stesso Mistero di cui parla il Qoelet e che inquieta e turba.
Don Sergio o un qualsiasi malato di SLA morirebbe se non fosse assistito da un respiratore o da una PEG.
Mi creda: non solo questi pazienti sono completamente paralizzati e coscienti, hanno anche forti dolori e crampi muscolari.
Io non considero la loro vita come minore in dignità rispetto ad un individuo sano e, anzi, l’eventuale desiderio di usufruire delle cure disponibili è da garantire al 100%.
Allo stesso modo occorre però rispettare la volontà di chi dice: “Io mi fermo qui. Ho già portato la croce e sono inchiodato su di essa da mesi. Finalmente posso tornare al Padre!”.
Il Signore ti benedica sempre, Marco, per l’amore che già da adesso poni nel rapporto con i pazienti, sia per il loro corpo ma soprattutto per la loro anima e i sentimenti che ciascuno conserva nel cuore.
La pratica è sempre molto diversa dalla teoria.
Mi associo a Prinicipessa e ringrazio Marco per il realismo con il quale affronta il tema, scevro da romanticherie, avendo a mente ben chiara la Parola di Dio ma soprattutto per dare voce a coloro che voce non hanno!
Beato l’uomo che ha cura del debole:
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
Il Signore veglierà su di lui,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà in preda ai nemici.
Salmo 40-41
Tu ci ordini, Gesù, la cura del debole:ci inviti a portare liberazione,per essere anche noi da te liberati. Amen
Avendo già partecipato, con un certo timore e pudore, a questa discussione non aggiungo altro alle poche cose che ho detto. Avevo già espresso una certa paura, e sospetto, per tutte queste insistite argomentazioni; ora faccio mie le parole di Maioba: “troppe parole, da qualunque parte vengano, rischiano di essere retoriche…” o militanti, aggiungo io.
vabbè mettetela come volete, però ricordo che 1) la bibbia va letta con il magistero e alla luce della scienza biblica; 2) il suicidio assistito è un peccato e molto grave. Questo è quanto dice la Chiesa cattolica. Poi ognuno è libero di seguire la Chiesa che vuole.
Pace e bene.
Non è che la mettiamo come vogliamo, caro Cherubino!
E’ che la mettiamo come l’esperienza di ciascuno ci fa impostare pensieri e convinzioni. E’ che, a volte, il Signore ad alcuni dà una croce un po’ più pesante. E’ che, grazie a Dio, ci sono anche medici – o futuri medici – che si pongono domande e che cercano risposte tentando di conciliare fede e vita pratica. E’ che tra suicidio assistito e Calvario prolungato ce ne corre!!!!
E, soprattutto, BIBBIA un cattolico lo scrive con la B maiuscola e poi da lezioni ad altri (scusa, ricorda ad altri…).
La Bibbia andrebbe letta. Punto.
Pace e bene anche a te (che bello questo saluto che mi ricorda l’infanzia! e Padre Paolino che lo pronunciava sempre!…)
bè, scusami tanto, ma la Bibbia (ma non è peccato scriverla con la minuscola) va innanzitutto pregata…
per il resto io dico : grazie a Dio non c’è solo il mio io e il mio medico ad indicare la via della vita.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto a Dio: “Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene”.
Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio amore.
Si affrettino altri a costruire idoli: io non spanderò le loro libazioni di sangue
né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio cuore mi istruisce.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare.
Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.