Sono stato al Vittoriano per una bella rimpatriata con Giorgio Morandi, il pittore del Novecento italiano che più mi porta via. La mostra “Giorgio Morandi 1890-1964” offre 172 lavori. Una mattinata di meraviglia tra paesaggi che diventano case, case che si fanno scatole, alberi che trasfigurano in fiori, persone che sembrano bottiglie. Cioè bottiglie che sono persone. Meraviglia delle meraviglie, un video con Cesare Brandi che interpreta l’amico pittore e così motiva la sua contrarietà a ritrarre persone: “La figura umana lo impegnava troppo. La sua è l’arte dello svuotamento dei soggetti e non aveva difficoltà a semplificare paesaggi, case, fiori, oggetti fino a ridurli a linee e colori ma non si attribuiva la stessa libertà nei confronti della persona umana”. Riassumo a memoria un’idea forte, che dedico ai visitatori.
Il pittore Morandi intimorito dalla figura umana
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L’altro ieri alla Certosa di Bologna, mentre cercavo la tomba di Lucio Dalla ho visto quella di Morandi: un blocco senza decorazioni con sopra il solo nome GIORGIO MORANDI. La tomba di Lucio carica di scritte e simboli, quella di Giorgio con solo il nome.
Questi aggiornamenti mi servono.
Forme, luci e colori che richiamano l’atmosfera e le sfumature della Pianura Padana: la luce accecante delle giornate estive, la foschia, la nebbia.
Non solo i paesaggi, ma tutti i suoi soggetti sono avvolti da questa “aura” padana: anche un gruppo di bottiglie, un vaso di fiori, le nature morte…
Interessante l’idea che le figure umane fossero troppo impegnative e in qualche modo “intoccabili”, “sacre”, “inviolabili”.
Anche per Morandi quindi c’erano dei valori non negoziabili: l’uomo e la donna. Il che, come direbbe il suo conterraneo Gurareschi, è bello e istruttivo.
Bravo Spiletti, in effetti è molto padano, da ragazza andavo sempre a passeggiare in una casa abbandonata vicino a noi, era proprio come questo quadro, le sue parole me lo hanno all’improvviso ricordato.
A proposito sul muro quasi diroccato della casa un giorno una mia amica mi scrisse Ti voglio bene con la vernice rossa, la scritta è rimasta lì per anni anche quando noi ormai ci eravamo perse di vista dopo il liceo, ogni tanto andavo a controllare, l’ultima volta che sono tornata a Mantova ho visto che è crollata tutta la casa.
Anche la pianta di sambuco che cresceva attorno non c’è più.
Del resto sono passati quasi 30 anni…
Sono riflessioni piuttosto immediate per chi è nato e vive da quelle parti.
Del resto gli uomini non sono fatti solo di materia o di razionalità.
Certe immagini, certi profumi, certi colori, certe sensazioni fanno parte di noi.
Che bello quel paesaggio!
Mi incanta.
Gli straordinari colori della campagna richiamano la memoria di un mondo di silenzio e di pace che sembra essere lontano per sempre.
Ma la speranza di ritrovarlo non muore in chi ne ha una nostalgia che è preghiera.
Sinceramente, per me, il pensiero della campagna è accompagnato da un’infinità di suoni e rumori, più o meno intensi.
Persino in piena estate, nell’ora in cui il sole picchia più forte, c’è sempre un fruscio, un ronzio, un rumore in lontananza. L’immagine bucolica di una campagna placida e silenziosa più “cittadina” che rurale.
Mi ricorda l’aforisma di Baudelaire secondo il quale “la campagna è quello strano posto dove le galline vanno in giro crude”.
Come può essere silenzioso un mondo laborioso e vivo?
Un visitatore mi segnala un video di Cesare Brandi su Giorgio Morandi e mi chiede se sia quello che ho visto alla mostra. Sì è quello e ringrazio per l’aiuto a essere preciso. Rivedendo la lectio ho potuto trascrivere le parole di Brandi che nel post avevo dato a memoria. Con esse il critico risponde a una domanda sulla preferenza di Morandi per i paesaggi e le nature morte rispetto a ogni altro soggetto: “In quella scelta si vuole svuotare il soggetto. La persona umana lo impegnava troppo. Il fatto è che la figura umana non gli dava quella libertà di riduzione al momento puramente formale che gli dava la bottiglia polverosa o la strada polverosa di Grizzana dove nessuno avrebbe potuto pensare che c’era un motivo pittorico”.
https://www.youtube.com/watch?v=mB1OrUVJFlo
.Molto belle tutte le riflessioni su questo tema.
Nei miei ricordi la campagna è vita non chiassosa, fatta di alberi che indorano le chiome al primo sole e cantano dei canti degli uccelli.
Un inno ininterrotto al Creatore. Trasmesso agli uomini, che lo sentono e vi si uniformano. Prendono linfa da una natura amica, che vuole essere protetta.
Le voci degli uomini vanno in sottofondo e riecheggiano nell’ aria piena di profumi sempre nuovi.
Questa è la campagna per me. Bella perché ha i colori
della mia infanzia.
Da quando vivo in città (oddio città San Benedetto e’ più un paesone) devo dire che mi trovo bene e non mi manca la campagna.
Mi manca un giardino per le rose e i fiori che devono accontentarsi di un balcone, però anche li preferirei un grande terrazzo sui tetti.
Forse dipende anche dal mare che ha un effetto così rasserenante e allarga l’orizzonte, ogni volta che mi allontano dalla costa verso l’interno mi prende un po’ il panico.
,
Ot. (ma nemmeno tanto dato che sempre di cultura si tratta)
http://www.selpress.com/istitutotreccani/esr_visualizza.asp?chkIm=53
Scusate vedo che il link non si apre:
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/storia-passa-palmira-sito-conquistato-dall-isis-era-snodo-101111.htm
Qui si legge.