Non ho mai incontrato Mario Palmaro che è morto ieri dopo lunga malattia, l’ho letto poco, non condividevo la maggior parte delle sue denunce ma gli volevo bene come a persona che le faceva con sincera dedizione. Da quando avevo saputo della malattia l’accompagnavo come potevo nell’invocazione della misericordia del Signore. Mando un bacio ad Annamaria e ai loro quattro figli e un pensiero fraterno a lui, per ringraziarlo delle parole piene di senso e arricchenti che ebbe a dire sulla malattia e per quelle con cui narrò la telefonata del Papa. Le riporto nei primi due commenti.
Il mio addio a Mario Palmaro
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La telefonata del Papa. «Sì, è vero. Ho ricevuto la telefonata del Papa. È successo due settimane fa, il primo novembre, il giorno dei Santi. Ma naturalmente ho tenuto la cosa per me. Nessuno avrebbe dovuto saperlo, si è trattato di una conversazione di natura assolutamente privata. Ma visto che ne hanno parlato le agenzie […]. Ero stupito, meravigliato, soprattutto commosso: per me, cattolico, quella che stavo vivendo era una delle esperienze più belle della vita. Ma ho sentito il dovere di ricordare al Papa che io, insieme a Gnocchi, avevo espresso delle critiche precise al suo operato, mentre rinnovavo la mia totale fedeltà in quanto figlio della Chiesa. Il Papa quasi non mi ha lasciato finire la frase, dicendo che aveva compreso che quelle critiche erano state fatte con amore e come fosse importante, per lui, riceverle. Parole che mi hanno molto consolato».
Sulla malattia. “La prima cosa che sconvolge della malattia è che essa si abbatte su di noi senza alcun preavviso e in un tempo che noi non decidiamo. Siamo alla mercé degli avvenimenti, e non possiamo che accettarli. La malattia grave obbliga a rendersi conto che siamo davvero mortali; anche se la morte è la cosa più certa del mondo, l’uomo moderno è portato a vivere come se non dovesse morire mai. Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa. […] D’altra parte, la malattia mi ha fatto anche scoprire una quantità impressionante di persone che mi vogliono bene e che pregano per me, di famiglie che la sera recitano il rosario con i bambini per la mia guarigione, e non ho parole per descrivere la bellezza di questa esperienza, che è un anticipo dell’amore di Dio nell’eternità. Il dolore più grande che provo è l’idea di dover lasciare questo mondo che mi piace così tanto, che è così bello anche se così tragico; dover lasciare tanti amici, i parenti; ma soprattutto di dover lasciare mia moglie e i miei figli che sono ancora in tenera età. Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia. Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello».
Essere d’accordo o non d’accordo, condividere o dissentire, piccole cose rispetto a quell’amore per il prossimo che chiede di dare la vita per i propri amici, che vorrebbe spingerti ad amare anche chi consideri tuo nemico.
La grandezza della fede è tutta in questa follia, in questo scandalo.
Esalato l’ultimo respiro, resa l’anima all’eterno creatore del mondo, pietà vuole che si provi misericordia, che si riconosca la grandezza e l’irripetibilità di ogni essere umano.
Ed essere cristiani significa amare anche modi diversi di intendere e vivere la fede, strade diverse per raggiungere l’unico sole, l’unica fonte di vera luce, rispetto alla quale le nostre povere idee, i nostri poveri giudizi non sono che un’opaco riflesso.
Iddio giudicherà il fratello Mario così come giudicherà ognuno di noi; e lo giudicherà con misericordia e con giustizia; e lo giudicherà sull’amore.
Alzate dunque, angeli e santi, la sua anima e presentatela al cospetto dell’Altissimo.
Caro Mario, sei stato definito un Don Chisciotte per aver difeso le mura di Gerico dall’essedio del relativismo. Una “testa calda”, un figlio appassionato, che non si è mai arreso, mai conformato all’idea corrente di un cristianesimo scollato dalla dottrina ed hai avuto il coraggio di sollevare la polvere accumulata da decenni di lassismo, di quietismo, di pigrizia spirituale dove, più che a ramazzare, ci si è industriati a difendere privilegi e facciata. Si continuerà a discutere sui confini della Chiesa, chi è dentro e chi fuori, ma una cosa è certa: solo chi fa la Verità,e la custodisce con timorosa reverenza, chi la difende dagli attacchi di un mondo secolarizzato, questi , viene alla luce,” La Verità”non è nostra, non ci appartiene. Viene dal Padre e tutto ciò che viene dal Padre, per quanto ci si applichi con scienza e dovizia a modificare, manipolare, alla fine ci presenta il conto, salatissimo: Dio non si fa gabbare! Palmaro, secondo me, ha fatto sua la Verità, traducendola in comportamenti pratici, ha stretto una parentela di sangue tra lui e la Verità, e si è presentato alla casa del Padre non con la Verità sotto il braccio, ma con la Verià tradotta fatti, in una lotta impari con un mondo che della Verità non sa proprio cosa farsene.
Il Signore lo accolga tra le sue braccia e dia consolazione ai familiari.
Riporto il ricordo di un amico.
http://giorgiogibertinijolly.blogspot.it/2014/03/quando-giocavo-tennis-con-lamico-mario.html
@corrige refuso ” si è presentato alla casa del Padre non con la Verità sotto il braccio, ma con la Verità tradotta nei fatti”….
Anch’io voglio unirmi alle voci di cordoglio per la morte di Mario Palmaro. Noi non ci salviamo da soli, ma tutti insieme, e sono sicuro che il Signore renderà a Mario quello che lui ha dato a tutti noi e prego che un giorno anche a me renderà quel (poco) che io avrò dato ad altri.
Riporto queste parole di Mario – citate da Luigi, il nostro padrone di casa -, parole che mi sembrano meravigliose:
“Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa.”
Un forte abbraccio alla famiglia Palmaro.
Condoglianze alla famiglia Palmaro.
Riposi in pace Mario.
Che il Signore dia loro forza, i bambini e la moglie trovino consolazione.
Non conosco Palamaro se non per aver sentito delle recenti cricihe al Papa e della telefonata che Francesco gli ha fatto; né ho letto quello che ha scritto. Ma credo che gli si debba riconoscere un certo coraggio, perché non è facile criticare, conservando fedeltà e amore di figlio. Sono convinto che il Papa abbia sicuramente e sinceramente apprezzato l’importanza di quelle critiche, forse più di tanti atteggiamenti fintamente ossequiosi. D’altra parte, quattro figli sono il frutto della forza di una madre, ma anche della capacità coraggiosa e un po’ visionaria di un padre. Riposi in pace
http://www.lavocedidoncamillo.com/2014/03/non-lasciamo-sola-la-famiglia-di-mario.html
Un cristiano VERO.