Festeggio l’arrivo del libro di Francesco con Andrea Tornielli, “Il nome di Dio è misericordia” (Piemme, 113 pagine, 15 euro): godibile in ogni pagina, senza gossip ecclesiastico, concentrato sul tema giubilare. Ci dice da dove il Papa abbia preso il convincimento della centralità di quel “nome” di Dio, che comporti tale centralità, come sia maturata la decisione dell’Anno Santo. Già ne avevo scritto qui l’altro ieri ma poi diverse testate mi hanno chiesto articoli e interviste. Ne riporto brani nei primi commenti.
Il libro del Papa con Tornielli: una mia lettura
20 Comments
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.
Interrogazione informata. Il giornalista chiede con interrogazione informata, ponendo cioè le domande importanti, stante quello che già conosciamo di Papa Francesco e della sua predicazione. E l’interrogato risponde con libertà di spirito, senza accomodamenti diplomatici, in costante dialogo con l’insegnamento dei predecessori: per esempio Giovanni Paolo I e Albino Luciani vengono richiamato quattro volte con quattro testi rilevanti.
A confessori e penitenti. Non ci sono grandi novità nel volumetto, ma è nuovo l’approfondimento narrativo e di riflessione che il Papa – stimolato dall’interlocutore – conduce in queste pagine sulla propria esperienza di confessore e di penitente. Tante volte, nelle omelie o nelle interviste, aveva accennato a quell’esperienza, mai l’aveva sviscerata così ampiamente e in dettaglio. La lettura può essere utile sia ai confessori sia a chi voglia migliorare il proprio approccio alla confessione.
Storie positive. Ecco un’affermazione chiave: “La centralità della misericordia, che per me rappresenta il messaggio più importante di Gesù, posso dire che è cresciuta piano piano nella mia vita sacerdotale, come la conseguenza della mia esperienza di confessore, delle tante storie positive e belle che ho conosciuto” (pagina 21). Le parole scambiate con tante persone nella confessione e nell’accompagnamento costituiscono la parte più viva del libretto. A volte, quelle del Papa, sono confidenze audaci: possiamo leggervi un invito a non essere refrattari alla confidenza nel confronto di vita tra credenti.
Nipote sposata civilmente. Ecco il racconto della nipote di Bergoglio sposata civilmente a un uomo che era in attesa d’avere riconosciuta la nullità del primo matrimonio e che andava al confessionale a chiedere “una benedizione”. Francesco ne cava un suggerimento per i confessori: “Anche se non potete assolvere date comunque una benedizione” (p. 32). La storia della “nonna” che dice a lui, confessore, che “se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non resisterebbe” (p.49). Una madre che “per dar da magiare ai suoi bambini faceva la prostituta” e che ringraziava il padre Bergoglio per il fatto che la chiamava “signora” (p. 74). La ragazza incontrata all’ingresso di un santuario che pure si prostituiva “per aiutare a mantenere la famiglia” e che aveva incontrato un uomo ma non sapeva se avrebbe potuto sposarlo e temeva di chiederglielo (p. 84). La donna scandalizzata vent’anni fa dalla richiesta di denaro per il processo di nullità matrimoniale e – ultimamente – dal rifiuto da parte di un parroco di far entrare in chiesa la bara di un bambino non battezzato (p. 83). L’adolescente turbata dalle domande del confessore (p. 42). La mamma che “si sfianca per il figlio tossicodipendente” (p. 98).
Da penitente a penitenziere. Come ricorda Tornielli, Francesco si è mostrato in pubblico non solo come Papa che confessa (l’avevano già fatto Wojtyla e Ratzinger), ma come Papa che si confessa: e non l’aveva fatto nessuno. Nel libretto c’è anche la narrazione di questa esperienza: dalla confessione della conversione o vocazione, a 17 anni, “quando Dio mi è venuto incontro riempiendomi di stupore” (p. 50), a quelle di oggi che è Vescovo di Roma. E c’è il raccordo tra il vissuto del penitente e quello del penitenziere: “Quando ho confessato ho sempre pensato a me stesso, ai miei peccati, al mio bisogno di misericordia e dunque ho cercato di perdonare molto” (p. 43).
Dall’esperienza l’insegnamento: il libretto mette in luce questo legame. Francesco insiste sull’importanza della “esperienza concreta della misericordia”, che vede mancante nel mondo d’oggi e che ritiene responsabilità primaria dei credenti fornire e additare. Ecco una pagina che raccorda il messaggio della misericordia con la nostra epoca: “Questa nostra umanità ha così bisogno di misericordia perché è un’umanità ferita, un’umanità che porta ferite profonde. Non sa come curarle o crede che non sia proprio possibile curarle. E non ci sono soltanto le malattie sociali e le persone ferite dalla povertà, dall’esclusione sociale, dalle tante schiavitù del terzo millennio. Anche il relativismo ferisce tanto le persone: tutto sembra uguale, tutto sembra lo stesso. Questa umanità ha bisogno di misericordia. Pio XII, più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato. A questo si aggiunge oggi anche il dramma di considerare il nostro male, il nostro peccato, come incurabile, come qualcosa che non può essere guarito e perdonato. Manca l’esperienza concreta della misericordia” (p. 30s).
Ogni segno di conversione. Trovo sapiente l’invito a valorizzare ogni segno di conversione che venga dalla nostra umanità smarrita: “Proprio perchè c’è il peccato nel mondo, proprio perchè la nostra natura umana è ferita dal peccato originale, Dio che ha donato il suo Figlio per noi non può che rivelarsi come misericordia. Dio è un padre premuroso, attento, pronto ad accogliere qualsiasi persona che muova un passo o che abbia il desiderio di muovere un passo” (p. 66s).
Dove si combatte. Francesco chiede che il soccorso venga portato dove si combatte: “La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio. Perché ciò accada, lo ripeto spesso, è necessario uscire. Uscire dalle chiese e dalle parrocchie, uscire e andare a cercare le persone là dove vivono, dove soffrono, dove sperano. L’ospedale da campo, l’immagine con la quale mi piace descrivere questa “Chiesa in uscita”, ha la caratteristica di sorgere là dove si combatte: non è la struttura solida, dotata di tutto, dove ci si va a curare per le piccole e grandi infermità. È una struttura mobile, di primo soccorso, di pronto intervento, per evitare che i combattenti muoiano. Vi si pratica la medicina d’urgenza, non si fanno i check-up specialistici. Spero che il Giubileo straordinario faccia emergere sempre di più il volto di una Chiesa che riscopre le viscere materne della misericordia e che va incontro ai tanti “feriti” bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore” (p. 67s).
La regola d’oro del Papa argentino: praticando la misericordia annunciamo il misericordioso. “L’annuncio cristiano si trasmette accogliendo chi è in difficoltà, accogliendo l’escluso, l’emarginato, il peccatore. Nel Vangeli leggiamo la parabola del re e degli invitati alla festa di nozze del figlio (Matteo 22, 1-14; Luca 14, 15-24). Accade che non si presentano al banchetto coloro che erano stati invitati, cioè i sudditi migliori, coloro che si sentono a posto, che lasciano cadere nel vuoto l’invito, perché troppo presi dalle loro occupazioni. Così il re ordina ai suoi servi di andare nelle strade, nei crocicchi, e di radunare tutti quelli che incontrano, buoni e cattivi, per farli partecipare al banchetto” (p. 103).
Invocare misericordia e avere misericordia. Tanta è la concentrazione di Francesco nell’annuncio della misericordia che l’intera proposta giubilare la restringe con efficacia a questi due proponimenti: “Aprirsi alla misericordia di Dio accostandosi con fiducia al confessionale e cercare di essere misericordiosi con gli altri” (p. 107).
La parola più calamitante del volume è a pagina 91: “La misericordia divina contagia l’umanità”.
Il titolo del libro, “Il nome di Dio è Misericordia”, è preso da un discorso di Papa Benedetto, che Francesco cita a pagina 23: “La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo” (30 marzo 2008, Domenica della Divina Misericordia). Un prestito di parole che sta a dire la continuità profonda tra i due Papi, che occorre cogliere sotto le tante diversità: continuità tra la teologia dell’amore di Benedetto e la pastorale della misericordia di Francesco.
Inizio OT
Ho comprato il numero odierno di Repubblica e ho trovato te.
Com’era diverso il mondo allora! E come lo era la Chiesa!
#40anni e tanti auguri anche a te, Luigi!
Fine OT
Quando ho confessato ho sempre pensato a me stesso, ai miei peccati, al mio bisogno di misericordia e dunque ho cercato di perdonare molto” (p. 43).
Mi sembra una cosa comune a tanti sacerdoti. Tutte le volte che ho chiesto , quando ero molto più giovane, a qualche prete ” a cosa pensi quando confessi ?” Mi è stato risposto così.
Recentemente ho sentito un sacerdote che diceva “dopo qualche ora che confesso, mi sale dentro il cuore il bisogno di confessarmi a mia volta”
Cristina vicquery
“quando ho confessato ho sempre pensato a me stesso”
Bergoglio stesso ammette di essere “bergogliocentrico”.
niente male.
“Quando ho confessato ho sempre pensato a me stesso, ai miei peccati, al mio bisogno di misericordia e dunque ho cercato di perdonare molto”.
Maria Cristina Venturi tagliare le citazioni è un’arte. Ricostruirle anche.
Oh ma certo!E‘vero ho omesso diriportare che Bergoglio ascoltando le confessioni ha pensato a Bergoglio e ai propri peccati e al bisogno di perdono di Bergogliostesso.Bergoglio ha molto bisogno di perdon come tutti noi.
Pero‘ nessuno di noi pensa di essere il Centro Del Mondo.
Vedi Maria Cristina Venturi, come arte di tagliare le citazioni puoi fare di meglio. Nel caso in questione potevi tagliare altre due parole – la brevità è efficacia – e proporre così l’affermazione papale: “quando ho confessato ho sempre pensato”. In questo modo ne mostravi appieno l’indegnità: mentre confessa, invece di ascoltare pensa. Ma pensa tu.
maria Cristina
come scrivevo sopra è cosa molto comune che un prete confessando sia rimandato al suo essere a sua volta un peccatore perdonato, mentre tu da questo deduci che Bergoglio pensa di essere al centro del mondo???
cristina Vicquery
Bergoglio ha una forte personalità, un impatto importante di cui è pienamente consapevole che sfrutta usando i media per veicolare la sua immagine e i suoi messaggi. Ha capito che l’arma vincente consiste nell’usare un linguaggio semplice, per nulla formale a tratti sgrammaticato.
Non che altri pontefici fossero privi di carisma, tutt’altro, ne ebbero da vendere, penalizzati, tuttavia, dal lato istrionico dei successori.
Penso al grande Pio XII, traghettatore della Santa Chiesa in un periodo storico atroce la cui grandezza non venne mai veramente riconosciuta. Per quanto sia stato il primo pontefice a far uso dei mezzi di comunicazione tuttavia la sua figura gigantesca e sobria non fu mai esaltata, anzi, messa sotto traccia da Giovanni XXIII, il papa buono e il sorridente.
Penso a Paolo VI, oscurato dal brillante Wojtyla, idem per Ratzinger finito in underground dal successore argentino…