Muore Luigi Melesi per trent’anni cappellano a San Vittore e il vescovo Erminio De Scalzi ricorda su “Avvenire” del 13 luglio lo scrupolo con cui, celebrando alla Rotonda, andava con il turibolo alle cancellate dei sei raggi a incensare quell’assemblea di tribolati: “Voleva così onorare la dignità dei detenuti, ferita ma non perduta”. Uno ripensa alle lotte secolari di principi e reali per la precedenza nel ricevere l’incenso delle messe e dice “grazie” a don Melesi.
Il carcere e l’incenso
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E’ il mio “spillo” di questa settimana, pubblicato a pagina 28 della “Lettura” del Corsera che sarà in edicola fino a sabato.
Per sapere che siano gli spilli, vedi il post del 9 luglio 2017:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/accusa-er-papa-a-santuffizio/
Nei commenti che seguono, altre punture di spillo o di spilla.
Il vescovo Erminio de Scalzi, già stretto collaboratore del cardinale Martini e poi abate di Sant’Ambrogio, si occupa oggi delle carceri per la Conferenza dei vescovi lombardi e mi racconta al telefono il dettaglio di questa “attenzione” dello storico cappellano di San Vittore: “Don Melesi adattava al carcere l’offerta dell’incenso – non mi piace chiamarla incensazione – che è prevista dal rito della messa e che è rivolta alla croce, all’altare, ai celebranti e all’assemblea. Ma nel carcere non poteva esserci un’assemblea davanti all’altare: questo era posto al centro della Rotonda e i detenuti erano dietro le cancellate che sono tutt’intorno, all’imbocco dei sei raggi. Don Luigi non voleva che quel gesto di onore, mirato a segnalare la condizione di figli di Dio di coloro ai quali è rivolto, fosse compiuto in lontananza. Scendeva dunque dalla predella e andava alle cancellate, le percorreva una dopo l’altra ed era ammirevole la concentrazione con cui compiva quel rito, come ad esprimere il desiderio che l’incenso arrivasse a ognuno dei carcerati, e non solo a quelli che assistevano alla messa dietro alle cancellate, ma anche a quelli che non avevano avuto il permesso di uscire dalle celle”.
Narra il Sarpi. Sulle lotte secolari per la precedenza nell’incensazione andrebbe letto il capitolo dell’apertura del Concilio che è nella “Istoria del Concilio Tridentino” di Paolo Sarpi (1619), dov’è narrata la penosa contesa tra gli ambasciatori del Re Cattolico di Spagna e del Re Cristianissimo di Francia per essere incensati per primi durante le celebrazioni. Per la celebrazione d’apertura dell’assemblea, “il 13 di decembre del 1545”, nella quale “si cantò la messa dello Spirito Santo”, arrivarono a coinvolgere il Papa – che era Paolo III – il quale “avendo molto pensato e consultato con li cardinali” stabilì infine di “per rimediar alla competenzia [cioè alla competizione] che sarebbe stata nel dar l’incenso che si usassero due turibuli e fossero incensati li francesi e lo spagnolo tutti in una volta”.
Cose d’altri tempi, si dirà. Ma non completamente. Ricordo un colloquio con l’arcivescovo Jean-Louis Tauran, Segretario ai Rapporti con gli Stati (poi cardinale, morto questo 5 luglio), che ricevendomi per un’intervista alla vigilia del Concistoro straordinario del 24 maggio 2001 lamentava le attuali lotte per le precedenze di ambasciatori e prelati: “Sono tre giorni che triboliamo per stabilire l’ordine delle sedie, specie quelle della zona delle legazioni. Invece di occuparci delle sofferenze dell’umanità ci dobbiamo occupare di come tener buona la vanità degli uomini”.
Rif. 9.22 – Tauran e incenso
Amare le considerazioni di Tauran (ma eravamo nel 2001). Il ricordo è un bell’omaggio al defunto cardinale.
Non conoscevo don Melesi e i suoi riti liturgici di venerazione cristiana per i detenuti. Bello
Carissimo Luigi.
E come dimenticare una figura (a Te ben nota).
Ecclesiastico di rilievo internazionale, mai si dimenticò, anche da Segretario di Stato, dei giovani reclusi di Casal di Marmo:
«tutti i sabati sera spariva… “si sta riposando”, dicevano. Un giovane sacerdote andò a una casa di minori sotto tutela giudiziaria, un riformatorio, e lì c’era un cappellano molto buono che veniva in autobus, con la sua borsa di lavoro, e rimaneva a confessare i ragazzi e a giocare con loro. Lo chiamavano don Agostino. (Omelia card. Bergoglio in Buenos Aires A.D. 2008).
Già, don Agostino, il card. Agostino Casaroli.
Quando Giovanni XXIII lo aveva ricevuto dopo la sua prima visita nei Paesi dell’Est, in missione diplomatica in piena Guerra Fredda» – raccontò Bergoglio – «al termine dell’incontro il Papa chiese a Casaroli: “Mi dica, continua a andare da quei ragazzi?” “Sì, Santità”. “Le chiedo un favore, non li abbandoni mai” ( da Vatican Insider.it)
Un caro saluto a Te Luigi, e a tutti.