Giuseppe Savagnone racconta la gratuità del dono incontrata nei reparti Covid

5 Comments

  1. Luigi Accattoli

    Nessuno veniva abbandonato. Savagnone 1. Il marzo scorso mi sono ammalato di Covid ed è stata questa esperienza che mi spinge a parlare dello stile non soltanto professionale, ma anche semplicemente umano, di cui sono stato personalmente testimone nei quaranta giorni in cui sono stato ricoverato nell’ospedale di Partinico, nei pressi di Palermo, interamente dedicato alla cura del coronavirus.
    Ciò che più mi ha colpito, durante questa lunga permanenza forzata, è stata la generosità e la gratuità dell’impegno di medici, infermieri, oss (operatori socio-sanitari), nella cura dei degenti. Il contrario della “cultura dello scarto” vigente nella società. Ho visto vecchietti, vistosamente segnati dalle conseguenze della malattia e con ogni probabilità desinati a una prossima fine, accuditi con una dedizione, perfino con una tenerezza (ne ricordo uno che gli infermieri vezzeggiavano, chiamandolo “nonnino”, imboccandolo quando non voleva mangiare), che è raro trovare perfino nelle nostre famiglie. Pazienti che a volte suscitavano in me, compagno di stanza, moti di stizza, per la loro ostinazione nel rifiutare e nel togliersi ad ogni occasione la mascherina dell’ossigeno, assediati dal personale, che non si stancava di insistere cercando tutti gli argomenti per convincerli a collaborare. Nessuno veniva abbandonato.

    1 Giugno, 2021 - 18:15
  2. Luigi Accattoli

    Con scherzi e battute. Savagnone 2. Certo, i rapporti umani erano filtrati dall’anonimato delle tute, tutte uguali, che proteggevano gli operatori dalla testa ai piedi, lasciando liberi solo gli occhi (anche quelli, però, protetti da una visiera di plastica). Qualcuno, col pennarello, aveva scritto sulle spalle il proprio nome o semplicemente la propria qualifica (medico, infermiere…). Ma in linea di massima era difficile capire chi si aveva davanti.
    In qualche caso – ma questo dipendeva dal carattere del singolo operatore – era evidente lo sforzo di sollevare il morale dei malati con scherzi e battute, senza far pesare la fatica estenuante di un lavoro per cui spesso il personale era insufficiente.
    La mia sensazione è che alla base di questo stile condiviso ci fosse una interpretazione del proprio ruolo che andava molto al di là della pura funzionalità e ne valorizzava l’aspetto umano.
    Una qualità che ho riscontrato, peraltro, anche nel personale della struttura privata dove, dopo le dimissioni dall’ospedale, ho trascorso altri venti giorni per la riabilitazione.

    1 Giugno, 2021 - 18:16
  3. Luigi Accattoli

    Ognuno è di più dei propri atti. Savagnone 3. No, gli esseri umani non sono condannati ad essere egoisti e “cattivi”. Anche perché in fondo la gratuità del dono – di questo si tratta, anche quando si fa un sorriso o si compie senza farlo pesare un servizio dovuto – rientra a pieno titolo nella realizzazione delle persone.
    Tutto ciò non cancella la dimensione oscura della nostra vita. La verità è che il bene e il male sono inscindibilmente mescolati in ognuno di noi. L’esempio di generosità dei medici e degli infermieri dei nostri ospedali nella lotta contro il Covid non esclude che alcuni di loro possano, sotto altri profili, essere responsabili di comportamenti sbagliati o addirittura ignobili. È come nella parabola evangelica del grano e della zizzania, che crescono insieme.
    Tocca a ciascuno di noi decidere cosa far prevalere nella propria vita, senza illudersi di poter esorcizzare l’altro aspetto. Nessuno sarà mai così “buono” da eliminare da sé inclinazioni cattive. E nessuno può essere demonizzato, dimenticando ciò che di buono comunque c’è in lui. Una persona è sempre di più dei propri atti, sia quando sono virtuosi, sia quando sono pessimi.

    1 Giugno, 2021 - 18:17

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