Francesco tornando oggi da Maurizio ha dato in aereo due lunghe risposte sulle critiche che lo prendono a bersaglio e sulla questione dell’evangelizzazione e del proselitismo. Le riporto per intero, spezzandole in paragrafi per comodità di lettura e mettendo miei titoletti. Non le commento sia perchè mi paiono chiare, sia perchè ora non ho il tempo per farlo con la cura che i due argomenti meriterebbero. Ma lo lo farò domani, dopo che avrò studiato i due testi.
Francesco sul fare proseliti e su chi vuole cambiare il Papa
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Evangelizzare non è tifare. Del tuo Paese [Maurizio] mi ha colpito tanto la capacità di la capacità di unità interreligiosa, di dialogo interreligioso. Non si cancella la differenza delle religioni ma si sottolinea che tutti siamo fratelli, che tutti dobbiamo parlare. Questo è un segnale di maturità del tuo Paese. Parlando con il primo ministro ieri sono rimasto stupito di come loro, voi, abbiano elaborato questa realtà e la vivano come necessità di convivenza. C’è una commissione inter-cultuale che si raduna… La prima cosa che io ho trovato ieri entrando in episcopio – un aneddoto – è stata un mazzo di fiori bellissimo. Chi l’ha inviato? Il grande Imam. Si è fratelli, la fratellanza umana che è alla base e rispetta tutte le credenze. Il rispetto religioso è importante, per questo ai missionari dico di non fare proselitismi. Il proselitismo vale per il mondo della politica, dello sport – tifa per la mia squadra, per la tua… – ma non per la fede. Ma cosa significa per lei, Papa, evangelizzare? C’è una frase di S. Francesco che mi ha illuminato tanto. Francesco d’Assisi diceva ai suoi frati: “Portate il Vangelo, se fosse necessario anche con le parole”. Cioè evangelizzare è quello che noi leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli: testimonianza. E quella testimonianza provoca la domanda: “Ma tu perché vivi così, perché fai questo?”. E lì spiego: “È per il Vangelo”.
Lo stesso aiuto a tutti. L’annuncio viene prima dalla testimonianza. Prima vivi come cristiano e se ti domandano parla. La testimonianza è il primo passo e il protagonista dell’evangelizzazione non è il missionario ma lo Spirito Santo che porta i cristiani e i missionari a dare testimonianza. Poi verranno le domande o non verranno, ma conta la testimonianza di vita. Questo è il primo passo. È importante per evitare il proselitismo. Quando vedete proposte religiose che seguono la strada del proselitismo, non sono cristiane. Cercano proseliti, non adoratori di Dio in verità. Io ne approfitto per sottolineare questa vostra esperienza interreligiosa che è tanto bella. Anche il primo ministro mi ha detto che quando uno chiede un aiuto uno, diamo lo stesso aiuto a tutti, e nessuno si offende, perché si sentono fratelli. E questo fa l’unità del Paese. È molto, molto importante. Anche negli incontri non solo c’erano cattolici, c’erano cristiani di altre confessioni, e c’erano musulmani, indù e tutti erano fratelli. Questo l’ho visto anche in Madagascar abbastanza e anche nell’Incontro interreligioso per la pace dei giovani, con giovani di diverse religioni che hanno voluto esprimere come vivono loro il desiderio per la pace. Pace, fraternità, convivenza interreligiosa, niente proselitismo, sono cose che dobbiamo imparare per la pace.
Dalle critiche traggo vantaggi. Jason Drew Horowitz (The New York Times, Stati Uniti). Nel volo verso Maputo Lei ha riconosciuto di essere sotto attacco di un settore della Chiesa americana. Ci sono forti critiche da parte di alcuni vescovi e cardinali, ci sono tv cattoliche e siti web americani molto critici, e alcuni dei Suoi alleati più stretti hanno parlato persino di un complotto contro di Lei, alcuni dei suoi alleati nella curia italiana. C’è qualcosa che questi critici non capiscono del Suo pontificato? C’è qualcosa che Lei ha imparato dalle critiche negli Stati Uniti? Un’altra cosa, Lei ha paura di uno scisma nella Chiesa americana? E se sì, c’è qualcosa che Lei potrebbe fare – un dialogo – per aiutare, per evitarlo? Francesco: Prima di tutto, le critiche aiutano sempre, sempre. Quando uno riceve una critica, subito deve fare l’autocritica e dire: è vero o non vero?, fino a che punto? Dalle critiche io traggo sempre vantaggi, sempre. A volte ti fanno arrabbiare, ma i vantaggi ci sono.
L’onestà di dirle. Nel viaggio di andata a Maputo è venuto… – sei stato tu a darmi il libro? – qualcuno di voi mi ha dato quel libro in francese… “La Chiesa americana attacca il Papa”, no, “Il Papa sotto l’attacco degli americani” [qualcuno dice: “Come gli americani vogliono cambiare il Papa”]… Ecco questo è il libro. Me ne avete dato una copia. Sapevo di quel libro, ma non l’avevo letto. Le critiche non sono soltanto degli americani, ma un po’ dappertutto, anche in Curia. Almeno quelli che le dicono hanno il vantaggio dell’onestà di dirle. A me piace questo. Non mi piace quando le critiche sono sotto il tavolo e ti fanno un sorriso che ti fa vedere i denti e poi ti pugnalano alle spalle. Questo non è leale, non è umano. La critica è un elemento di costruzione, e se la tua critica non è giusta, tu stai pronto a ricevere la risposta e fare un dialogo, una discussione, e arrivare a un punto giusto. Questa è la dinamica della critica vera. Invece la critica delle “pillole di arsenico” è un po’ gettare la pietra e nascondere la mano. Questo non serve, non aiuta. Aiuta i piccoli gruppetti chiusi, che non vogliono sentire la risposta alla critica. Una critica che non vuole sentire risposta è un gettare la pietra e nascondere la mano. Invece una critica leale: “Io penso questo, questo e questo”, ed è aperta alla risposta, questo costruisce, aiuta. Davanti al caso del Papa: “Questa cosa del Papa non mi piace”, gli faccio la critica, aspetto la risposta, vado da lui, parlo, faccio un articolo e gli chiedo di rispondere, questo è leale, questo è amare la Chiesa. Fare una critica senza voler sentire la risposta e senza fare il dialogo è non voler bene alla Chiesa, è andare dietro a un’idea fissa: cambiare il Papa, o fare uno scisma, non so. Questo è chiaro: una critica leale è sempre ben accetta, almeno da me.
Sempre c’è l’opzione scismatica. nella Chiesa ci sono stati tanti scismi. Dopo il Vaticano I, l’ultima votazione, quella dell’infallibilità, un bel gruppo se n’è andato, si è staccato dalla Chiesa e ha fondato i Vetero-cattolici per essere proprio “onesti” con la tradizione della Chiesa. Poi loro stessi hanno trovato uno sviluppo differente e adesso fanno le ordinazioni delle donne; ma in quel momento erano rigidi, andavano dietro a una certa ortodossia e pensavano che il Concilio avesse sbagliato. Un altro gruppo se ne andò senza votare, zitti zitti, ma non vollero votare… Il Vaticano II ha creato queste cose, forse il distacco più conosciuto è quello di Lefebvre. Sempre c’è l’opzione scismatica nella Chiesa, sempre. È una delle opzioni che il Signore lascia sempre alla libertà umana.
Non ho paura degli scismi. Io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano, perché c’è in gioco la salute spirituale di tanta gente. Che ci sia il dialogo, che ci sia la correzione se c’è qualche sbaglio, ma il cammino dello scisma non è cristiano. Pensiamo all’inizio della Chiesa, come è cominciato con tanti scismi, uno dietro l’altro, basta leggere la storia della Chiesa: ariani, gnostici, monofisiti… Poi, mi viene da raccontare un aneddoto che ho detto qualche volta. È stato il popolo di Dio a salvare dagli scismi. Gli scismatici hanno sempre una cosa in comune: si staccano dal popolo, dalla fede del popolo di Dio. E quando nel Concilio di Efeso c’era la discussione sulla maternità divina di Maria, il popolo – questo è storico – stava all’ingresso della cattedrale quando i vescovi entravano per fare il concilio, stavano lì con dei bastoni, facevano vedere i bastoni e gridavano: “Madre di Dio! Madre di Dio!”, come a dire: se non fate questo vi aspettano… Il popolo di Dio aggiusta sempre le cose e aiuta.
Scisma come distacco elitario. Uno scisma è sempre un distacco elitario provocato dall’ideologia staccata dalla dottrina. È un’ideologia, forse giusta, ma che entra nella dottrina e la stacca e diventa “dottrina” per un certo tempo. Per questo io prego che non ci siano degli scismi, ma non ho paura.
Il giornalista riprende la domanda: Cosa fare per aiutare?
Francesco: Questo che sto dicendo adesso: non avere paura…; io rispondo alle critiche, tutto questo lo faccio. Forse se a qualcuno verrà in mente qualcosa che devo fare lo farò, per aiutare… Ma questo è uno dei risultati del Vaticano II, non di questo Papa o dell’altro Papa… Per esempio, le cose sociali che dico, sono le stesse che ha detto Giovanni Paolo II, le stesse. Io copio lui. Ma dicono: “Il Papa è troppo comunista…”. Entrano delle ideologie nella dottrina, e quando la dottrina scivola nelle ideologie, lì c’è la possibilità di uno scisma. E c’è anche l’ideologia behaviorista, cioè il primato di una morale asettica sulla morale del popolo di Dio.
Tra la grazia e il peccato. I pastori devono condurre il gregge tra la grazia e il peccato, perché la morale evangelica è questa. Invece una morale di un’ideologia pelagiana, per così dire, ti porta alla rigidità, e oggi abbiamo tante scuole di rigidità dentro la Chiesa, che non sono scismi ma sono vie cristiane pseudoscismatiche, che finiranno male. Quando voi vedete dei cristiani, dei vescovi, dei sacerdoti rigidi, dietro quell’atteggiamento ci sono dei problemi, non c’è la santità del Vangelo. Per questo dobbiamo essere miti con le persone che sono tentate di fare questi attacchi, stanno attraversando un problema, dobbiamo accompagnarli con mitezza.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/september/documents/papa-francesco_20190910_voloritorno-madagascar.html
Domani il mio commento sullo scisma. Visitatori belli, ho passato la giornata a studiare le parole di Francesco sulla scisma in vista di un commento che farò domani. Ne anticipo il filo rosso che formulo isolando e mettendo in sequenza alcune parole dette dal Papa in aereo:
Gli scismi sono sempre possibili – ma non sono un cammino cristiano – io prego perchè non ve ne siano – ma non ne ho paura – perchè quella che seguo è la via indicata dal Vaticano II.
A domani.