Sono coautore di un libretto sulle parabole del Papa, cioè sui racconti di vita che svolge nella predicazione. Arriva ora in libreria con il titolo: C’era un vecchio gesuita “furbaccione” (Edizioni Paoline, pp. 205, euro 14.00). Cliccando sul titolo potete vedere la copertina e leggere la prefazione, l’indice, la quarta di copertina: l’indice vi conquisterà con la varietà dei casi e della lingua. Ho scritto il libretto in collaborazione con il collega Ciro Fusco, che è un visitatore di questo blog. Nei primi commenti qualche passaggio della mia prefazione, la spiegazione del titolo, quattro parabole che amo di più.
Francesco parla in parabole: le abbiamo studiate
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Esplora e scuote. Dalla mia prefazione 1. Francesco parla in parabole tratte dalla vita vissuta e questo è un aspetto poco studiato della sua predicazione, benché segnalato dai media a motivo di parole e immagini che figurano in quei racconti e che risultano nuove per la lingua dei Papi. Qui ne abbiamo raccolti centodieci, di quei racconti, e li abbiamo studiati nel testo e nel contesto, raggiungendo tre conclusioni principali: che Francesco usa il genere narrativo della parabola per esplorare il nuovo, per scuotere gli ascoltatori, per dire qualcosa dove non può dire tutto.
Abbiamo scelto i più vivi tra i racconti che Bergoglio propone in omelie, catechesi, conversazioni, documenti. Rappresentano il suo genere preferito di comunicazione e potremmo rubricarli come magistero delle storie di vita, o teologia narrativa. Contribuiscono a rendere amabile la sua conversazione. Segnalano una vicinanza versatile alla comune umanità.
Un modo di tornare al Vangelo. Dalla mia prefazione 2. Da dove viene questa narrativa papale? Che si propone Francesco facendone un così vasto uso? Siamo partiti dall’intuizione che essa sia una delle forme con cui propone il ritorno al Vangelo: al Vangelo come annuncio e al Vangelo come modalità dell’annuncio. Quindi anche un ritorno, almeno ideale o simbolico, all’arte comunicativa di Gesù, che fu grande nell’uso della parabola.
L’intenzione di rifarsi alla comunicazione del Nazareno è dichiarata più volte da Francesco. “Fare ricorso alle parabole come faceva Gesù – scrive nel “Messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali” 2017 – e ricorrere a immagini e metafore per comunicare la potenza umile del Regno non è un modo per ridurne l’importanza e l’urgenza, ma la forma misericordiosa che lascia all’ascoltatore lo spazio di libertà per accoglierla e riferirla anche a sé stesso”.
Perchè quel titolo. Il titolo è preso dalla parabola 91 che è questa: C’era un vecchio gesuita “furbaccione”. Io ricordo, quando ero studente di filosofia, un vecchio gesuita, furbaccione, buono ma un po’ furbaccione, che mi consigliò: “Se tu vuoi sopravvivere nella vita religiosa, pensa chiaro, sempre; ma parla sempre oscuro”. E’ un modo di ipocrisia clericale, diciamo così. “No, la penso così, ma c’è il vescovo, o c’è quel vicario, c’è quell’altro… meglio stare zitti… e poi la “cucino” con i miei amici”. Questo è mancanza di libertà. Se un sacerdote non ha libertà di pan-rein, di parresia, non vive bene la diocesanità; non è libero, e per vivere la diocesanità ci vuole libertà. (Incontro con i religiosi nella cattedrale di Bologna, 1° ottobre 2017).
Ogni parabola è seguita da un minimo commento che ne aiuta la comprensione. Questo è il commento della parabola del “furbaccione”: Parresia: libertà di parola. Diocesanità: relazione con la comunità della Chiesa locale che è detta diocesi. E’ possibile vedere nell’aneddoto un elemento autoironico: Bergoglio infatti è un “vecchio gesuita” che una volta (intervista alle riviste dei Gesuiti, 19 settembre 2013) ha detto di sé: “Posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo”. Sull’autoironia vedi la nota alla parabola 74.
Parabola dello spastico che ti sbava la faccia. E’ la numero 29: Com’è bello per Iddio, per esempio, il sorriso di uno spastico, che non sa come farlo, o quando ti vogliono baciare e ti sbavano la faccia. E’ la tenerezza di Dio, è la misericordia di Dio. E questo ci parla di Gesù, che, per pura misericordia del Padre, si fece nulla, si annientò, dice il testo della Lettera ai Filippesi, capitolo 2. E questa gente a cui tu dedichi la tua vita, imitano Gesù, non perché lo hanno voluto, ma perché il mondo li ha portati a questo. Sono nulla e li si nasconde, non li si mostra, o non li si visita. E se possibile, e se si arriva in tempo, li si manda indietro. Grazie a tutte queste donne consacrate, al servizio di ciò che è inutile, perché non si può fare nessuna impresa, non si possono guadagnare soldi, non si può portare avanti assolutamente nulla con questi nostri fratelli, con i minori, con i più piccoli. Lì risplende Gesù. E lì risplende la mia scelta per Gesù.
Omelia dei Vespri nella Cattedrale de L’Avana, Cuba, 20 settembre 2015.
Aggiustava palloni nel confessionale. E’ la parabola numero 51. Nella mia terra c’era un grande confessore, il padre Cullen, che si sedeva nel confessionale e, quando non c’era gente, faceva due cose: una era aggiustare palloni di cuoio per i ragazzi che giocavano a calcio, l’altra era leggere un grande dizionario di cinese. Era stato tanto tempo in Cina, e voleva conservare la lingua. Lui diceva che la gente, quando lo vedeva in attività così inutili, come aggiustare vecchi palloni, o come leggere un dizionario di cinese, pensava: “Posso avvicinarmi a parlare un po’ con questo prete perché si vede che non ha niente da fare”. Era disponibile per l’essenziale. Lui aveva un orario per il confessionale, ma era lì. Evitava l’impedimento di avere sempre l’aspetto di uno molto occupato. E’ qui il problema. La gente non si avvicina quando vede il suo pastore molto, molto occupato, sempre impegnato. Ognuno di noi ha conosciuto buoni confessori. Bisogna imparare dai nostri buoni confessori, di quelli ai quali la gente si avvicina, quelli che non la spaventano e sanno parlare finché l’altro racconta quello che è successo, come Gesù con Nicodemo.
Ai sacerdoti in San Giovanni in Laterano, 2 giugno 2016.
Taxista prende su un rifugiato senza scarpe. E’ la parabola numero 65. Alcuni giorni fa, è successa una storia piccolina, di città. C’era un rifugiato che cercava una strada e una signora gli si avvicinò e gli disse: “Ma, lei cerca qualcosa?”. Era senza scarpe, quel rifugiato. E lui ha detto: “Io vorrei andare a San Pietro per entrare nella Porta Santa”. E la signora pensò: “Ma, non ha le scarpe, come farà a camminare?”. E chiama un taxi. Ma quel migrante, quel rifugiato puzzava e l’autista del taxi quasi non voleva che salisse, ma alla fine l’ha lasciato salire sul taxi. E la signora, accanto a lui, gli domandò un po’ della sua storia di rifugiato e di migrante, nel percorso del viaggio: dieci minuti per arrivare fino a qui. Quest’uomo raccontò la sua storia di dolore, di guerra, di fame e perché era fuggito dalla sua patria per migrare qui. Quando sono arrivati, la signora apre la borsa per pagare il tassista e il tassista, che all’inizio non voleva che questo migrante salisse perché puzzava, ha detto alla signora: “No, signora, sono io che devo pagare lei perché lei mi ha fatto sentire una storia che mi ha cambiato il cuore”. Questa signora sapeva cosa era il dolore di un migrante, perché aveva il sangue armeno e conosceva la sofferenza del suo popolo. Quando noi facciamo una cosa del genere, all’inizio ci rifiutiamo perché ci dà un po’ di incomodità, “ma… puzza…”. Ma alla fine, la storia ci profuma l’anima e ci fa cambiare. Pensate a questa storia e pensiamo che cosa possiamo fare per i rifugiati.
Udienza generale, 26 ottobre 2016.
Stava morendo e comprò una villa. E’ la parabola numero 82. Ricordo che molti anni fa ho incontrato una persona, l’avevo vista una volta. Sapevo chi era, un uomo d’affari molto importante, ero molto vicino a un suo parente. Un giorno mi ha detto che stava molto male, aveva un cancro terminale, e dice che è cristiano, che è cattolico, che sarebbe bene cercare un prete per ricevere i sacramenti e prepararsi a ben morire. Io penso che abbia ricevuto il prete, ma tale era il suo attaccamento al denaro che quell’uomo ha comprato una villa tre giorni prima di morire, ricoverato. Non so se per la Svizzera, per l’Austria o dove, era molto lussuosa, l’ha comprata per sé, per i tre giorni che ha vissuto. Che altro? Della casa che aveva e di tutte le case di vacanza, di tutto ciò non poteva liberarsi, sulla soglia dell’eternità, non poteva liberarsi dal denaro. Non dico che sia stato condannato o meno, perché ha ricevuto il sacramento e Dio sa perdonare… ma il denaro, quando ti afferra… ma questo è il primo passo al quale ti porta il denaro, ti porta alla vanità.
Intervista alla televisione di lingua spagnola “El Sembrador”, 30 gennaio 2017.
Un libro che fuoriesce dalla diatriba sul Papa. Ciro Fusco ed io le 110 parabole le abbiamo scelte insieme. Io ho indagato il perchè del loro uso così abbondante in Francesco. Ciro ha studiato le circostanze, le modalità e i temi dei racconti bergogliani. Nella vasta pubblicistica riguardante Francesco il nostro umile libretto si segnala per essere tutto godibile alla lettura e di avviamento piano, o in leggerissima salita, a un’interpretazione forte della predicazione papale.
Un testo che esce dalla diatriba su Francesco e che forse aiuta ad amarlo.