Nella disputa su “Querida Amazonia” ho sentito più persone paragonare l’attuale frenata riformatrice di Francesco a quella di Paolo VI nel biennio 1967-68, che riguardò molte materie ed ebbe la manifestazione più forte con Humanae Vitae. Nei commenti richiamo e critico questo paragone, argomentando che Paolo VI in quel biennio fermò tutte le riforme, mentre ora Francesco ne ha solo rinviate alcune.
Francesco come Paolo VI con “Humanae vitae”? Sì e no
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Il vento dello scisma. Quando soffia il vento dello scisma il Papa si ferma: è una regola non scritta della storia del Papato che ha trovato l’ultima conferma nella decisione di Francesco di non dare corso – per ora – alle riforme di Chiesa che gli erano state chieste lo scorso ottobre dal Sinodo dell’Amazzonia. Una frenata che ha fatto pensare, a chi ne ha l’età, al Paolo VI che nel 1967-68 fermò il cammino delle riforme conciliari e promulgò l’enciclica Humanae Vitae mentre si profilava lo scisma dei tradizionalisti che poi trovò il protagonista d’elezione in Marcel Lefebvre.
Come ne uscì Montini. Vedo una prima disparità di situazioni tra la frenata montiniana e quella bergogliana nel fatto che la prima riguardò tutte le riforme conciliari che erano allora in cantiere, mentre questa di Francesco – almeno per il momento – riguarda il solo comparto amazzonico. Quanto poi agli amici che specificamente mi proponevano il paragone di Querida Amazonia con Humanae Vitae (1968), dirò che esso mi pare suggestivo ma non del tutto appropriato. Mette a fronte due Papi alle prese con un’attesa di novità che ritengono di non poter soddisfare: e questo è il lato buono del paragone. Che però traballa quando si passa a confrontare la via d’uscita imboccata da Bergoglio rispetto a quella scelta da Montini.
Come ne esce Bergoglio. Paolo VI con quell’enciclica disse “no” all’attesa di un nuovo atteggiamento sui “metodi” per il controllo delle nascite mentre Francesco non ha respinto la richiesta di innovazioni in materia di ordinazione dei diaconi sposati, di ruolo delle donne, di rito amazzonico. L’ha rinviata e il rinvio delude i richiedenti ma non chiude la questione, mentre Montini la sua questione aveva provato a chiuderla.
Ambedue i Papi si sono trovati di fronte a una vasta attesa di novità, sostenuta dal favore popolare e dai media; ma anche alla resistenza di ambienti fortemente motivati, attivi nella stessa Curia romana. Ambedue hanno dovuto fare i conti con maggioranze riformatrici che si erano espresse in sede “consultiva”: la Commissione che Paolo VI nel 1966 aveva chiamato ad aiutarlo [Commissio pontificia pro studio popolationis, familiae et natalitatis] e il Sinodo convocato da Francesco [Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica sul tema “Nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”, 7-26 ottobre 2019].
Per resistere al vento. Se Francesco, appurate le resistenze alle novità amazzoniche, avesse scelto una soluzione simile a quella di Paolo VI, avrebbe redatto un documento che diceva di “no” alle riforme motivando l’impossibilità di accettarle. Ma non ha fatto questo, non le ha neanche nominate quelle riforme e ha scritto che il testo con il quale erano state chieste – cioè il documento finale del Sinodo – andava letto in “tutta la Chiesa”, al fine di “lasciarsi [da esso] arricchire e interpellare”.
C’è dunque una netta differenza tra il modo di fare fronte al vento scismatico da parte di Francesco rispetto a Paolo VI. Se 52 anni fa il Papa bresciano avesse scelto una via simile a quella imboccata ora da Francesco, avrebbe potuto far pubblicare i due rapporti di maggioranza e di minoranza della Commissione preparatoria invitando l’intera comunità cattolica a confrontarsi su di essi.
Ora Pietro non sempre risponde. La vicenda amazzonica certifica che il Papa – a mezzo secolo dal Concilio – non decide più da solo e se la decisione non è matura, cioè non ha un sufficiente consenso, viene rinviata. Non è più avvertita la necessità che Pietro dia sempre una sua risposta a ogni questione che insorge.
Si può forse concludere che la turbolenza dell’Amazzonia ha indotto Francesco a frenare la sua corsa riformatrice ma non a interromperla. A mutare il passo ma non a fermarsi. Naturalmente la situazione andrà monitorata per vedere come procederanno nei prossimi mesi le altre riforme in cantiere, da quella dell’economia a quella della Curia, ma al momento non si avvertono frenate in altri settori.
Ha scritto Lorenzo Prezzi. Tra i tanti testi giornalistici letti ieri e oggi, il più utile in ordine al paragone con gli anni di Paolo VI mi è parso uno di Lorenzo Prezzi in “Settimana News”, intitolato “Querida Amazonia: l’enigma e l’avvio”, del quale riporto questo passaggio: “Forse verrà evocata la decisione di Paolo VI nell’Humanae vitae e il crollo di credibilità recensito allora rispetto al papato. In realtà la posizione di Francesco non è sovrapponibile a quella di Paolo VI. Non sceglie. Si ferma prima. Si rifiuta di prendere una posizione che avverte non ancora matura nella Chiesa universale. O meglio, lascia al vissuto della Chiesa in Amazzonia la piena libertà di muoversi in un contesto non eccessivamente normato. Come si legge al n. 94: «Ciò richiede nella Chiesa una capacità di aprire strade all’audacia dello Spirito, di avere fiducia e concretamente di permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale». Sembra quasi che l’autorità ecclesiale ultima lasci lo spazio alle creatività del vissuto, per non uniformare e clericalizzare le novità. Forse si può parlare di auto-limitazione del ministero petrino, senza rinunciare alla sua autorità. Solo una originale composizione creativa, favorita dallo Spirito, farà delle differenza e delle contrapposizioni una sintesi nuova. L’attesa del pastore vorrebbe favorire la creatività del popolo di Dio. Sarà cosi?
http://www.settimananews.it/sinodo/querida-amazonia-enigma-e-attesa/
Vangelo 15 febbraio 2020
Mc 8, 1-10
In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano».
Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette».
Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli.
Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò.
Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.
Non di solo pane vive l’uomo significa che ogni dono di Dio, anche il pane che lui ci dà per mangiare è un dono di grazia, non solo una cosa materiale. E, quando apriamo il cuore alla luce che ci infonde, lui ci dà ogni bene. Il bene suo è quello che moltiplica la vita in ogni aspetto secondo la sapienza del Signore. I suoi beni sono semi che si sviluppano in mille modi, anche aprendo strade impensate, mentre senza di lui ogni cosa rischia di svuotarsi. Siamo portati dalla fede a valutare con grande attenzione quello che abbiamo e ad essere meno avviliti per ciò che ci manca. Ed è bello vedere il diffondersi della fede: i discepoli che distribuiscono i pani e i pesci ma anche la gente che si siede per mettersi a tavola. La fede è, specie in certi momenti, un salto. Perché distribuire, perché sedersi a tavola, dove non c’è nulla? Qualcuno si potrebbe arrabbiare se tutto si rivelasse un’illusione. La fede insegna anche a ponderatamente rischiare. È un graduale e sereno cammino ma una fede che non vuole maturare non sa cosa è il rischio.
Rif. 13 ore 22.50 – Frenate (?) di Paolo VI nel 1967-68
Circa gli “stop” di tutte le riforme nel biennio citato, ad opera di Paolo VI, faccio fatica a vederne un quadro di larga ampiezza, al di là di quelli -rilevanti – in Sacerdotalis coelibatus (1967) e in Humanae vitae (1968). Del 1967 è la Populorum progressio che non penso possa essere rubricata nel “capitolo freni” di quel momento. E del 1968 è Medellin, non censurato dal papa. Sul celibato: che il concilio preludesse a un mutamento di disciplina mi pare difficile da sostenere; e Paolo VI non dovette bloccare “auspici conciliari” in materia.
Quanto alla Humanae vitae, gli studi di Marengo, portati alla attenzione nel blog da Accattoli, dicono che la vigorosa virata prudenzialistica sulla regolazione delle nascite era cominciata al tempo del concilio stesso, certo anche ad opera di Paolo VI (vedere la parte finale del n. 51, con relativa nota 14, di Gaudium et spes). Credo poi che allora la componente reattiva alle complessive riforme conciliari, e a quelle applicative di Paolo VI, fosse più arrabbiata e alto-piazzata di quanto non lo sia oggi, al netto degli strumenti propagandistico-menzogneri e del tono volgarmente offensivo moderni.
Credo insomma che, nonostante tutto, sia più attrezzato oggi ad innovare papa Francesco (anche per le riforme da lui promosse) di quanto lo fosse Paolo VI, il cui coraggio è da esaltare. Non tralascerei poi – hic et nunc – la proverbiale astuzia gesuitica, scudo dello Spirito sulla compagnia eletta “ad maiorem Dei gloriam”.
Al Padre Amigoni. Hai ragione a protestare per il carattere sommario di quella mia affermazione ad effetto sul fermo di tutte le riforme. E hai ragione sulla Populorum progressio: ma io intendevo fare riferimento più alla vita interna alla Chiesa che al suo impegno ad extra. Provo a fare un elenco a braccio delle frenate che ricordo d’aver avvertito al momento e sul posto, essendo io allora nella presidenza nazionale della Fuci, incaricato proprio di seguire, per la rivista “Ricerca”, le attività papali: la vicenda di Avvenire – il doppio caso Lercaro: riforma liturgica e arcidiocesi di Bologna – il Credo del Popolo di Dio – l’archiviazione delle proposte venute dalla Commissione Bartoletti sulla donna nella Chiesa – l’avvio di processi a teologi (Kueng e Schillebeeckx sono i più noti). Dunque non solo celibato e Humanae vitae.
Mi pare che Luigi abbia colto il punto più profetico di QA che apre ad un oltre, ad una uscita dall’epoca della ragione astratta, dalla dialettica degli opposti e dalle loro giustapposizioni.
Da QA: Paragrafo 105. In nessun modo questo significa relativizzare i problemi, fuggire da essi o lasciare le cose come stanno. Le autentiche soluzioni non si raggiungono mai annacquando l’audacia, sottraendosi alle esigenze concrete o cercando colpe esterne. Al contrario, la via d’uscita si trova per “traboccamento”, trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo. Da questo nuovo dono, accolto con coraggio e generosità, da questo dono inatteso che risveglia una nuova e maggiore creatività, scaturiranno, come da una fonte generosa, le risposte che la dialettica non ci lasciava vedere. Ai suoi inizi, la fede cristiana si è diffusa mirabilmente seguendo questa logica, che le ha permesso, a partire da una matrice ebraica, di incarnarsi nelle culture greca e romana e di assumere al suo passaggio differenti modalità. Analogamente, in questo momento storico, l’Amazzonia ci sfida a superare prospettive limitate, soluzioni pragmatiche che rimangono chiuse in aspetti parziali delle grandi questioni, al fine di cercare vie più ampie e coraggiose di inculturazione.
http://gpcentofanti.altervista.org/i-tre-riduttivismi-del-razionalismo-e-alcune-loro-sfumature/
Per cui mi pare che la sua scommessa sia stata nel profondo vinta, vi era un’intuizione. L’apertura ad un oltre, ad una sorpresa dal cielo. Da invocare nella preghiera, da maturare nella storia.
Dal padre somasco Andrea Marongiu ricevo questo messaggio:
Caro Luigi, sono rimasto piuttosto colpito – negativamente – dalla superficialità con cui i più importanti vaticanisti hanno commentato l’esortazione apostolica, e apprezzo le tue riflessioni. In buona parte dei commenti trovo la miopia di chi si dimentica che l’ermeneutica di papa Francesco è quella di Evangelii Gaudium. Francesco non ha la necessità di dire l’ultima parola, e non ha chiuso nessuna possibilità: ha aperto un processo più ampio, più impegnativo, più faticoso, che mira non a dividere, ma a far crescere la chiesa, dando tempo a tutti.
Dire che papa Francesco ha chiuso la porta al presbiterato dei diaconi coniugati è una inesattezza formidabile, una vera fake news.
Francesco ancora una volta ha inteso il suo ministero in modo diverso da tutti i suoi predecessori: non è obbligatorio che il papa dica l’ultima parola, è formidabile che non lo faccia su questioni aperte, è stato triste che altri prima di lui lo abbiano fatto.
Bello l’articolo di Prezzi. Ti segnalo anche questo post di Giacomo D’Alessandro, che condivido:
https://www.ilramingo.it/2020/02/14/querida-amazonia-in-realta-da-una-risposta/
Per fortuna non ci siamo ancora abituati a papa Francesco, ci sfugge questo papa ignaziano che non ci rende facile la vita. Ritengo un dono formidabile seguirlo sulla via del Vangelo, sentendolo padre, fratello, amico. Ciao Luigi, Andrea
Questo mio post è stato ripreso da Il Sismografo:
https://ilsismografo.blogspot.com/2020/02/vaticano-francesco-come-paolo-vi-con.html
Vangelo domenica 16 febbraio 2020
Mt 5, 17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
Gesù non parla, come invece fanno certuni della nomenclatura religiosa del tempo, solo di legge. Si riferisce alla legge e ai profeti, alla sempre nuova e più profonda, vissuta, lettura delle scritture. E così si spiega come possa dire che non viene ad abolire nemmeno un trattino della legge ma anzi a darle pieno compimento. È bello vedere Gesù che accoglie la Parola non dandola mai per scontata né cambiandola per capirla ma cogliendone il senso autentico, quello della fede, dell’amore. La fedeltà vissuta al significato profondo della Scrittura lo induce a letture fulminanti come quando osserva che nel salmo 110 già è profetizzato un Dio uno ma non mono. Anche oggigiorno vi sono non di rado brani biblici ed in particolare del vangelo che sembrano rivelare aspetti ancora insondati dell’amore di Cristo. In ciò la prima lettera di Giovanni fornisce chiavi decisive. Come quando osserva che Dio è più grande del nostro cuore e che ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio. Su queste scie il nostro vero avversario, il giudice, la guardia, la prigione, possiamo essere solo noi stessi se ci chiudiamo stabilmente alla grazia che viene a liberarci, a far rinascere la nostra vita. Diventiamo infatti schiavi dei nostri schemi, delle nostre paure. Mentre il Figlio ci porta verso un cammino semplice, sereno, nel quale lasciamo che sia lo Spirito a condurci gradualmente verso la maturazione. Accettando dunque profondamente la nostra umanità. Così tra l’altro imparando la prudenza verso possibili debolezze. Talora se metti il computer in sala da pranzo dove passa tutta la famiglia sarai più aiutato a non farne cattivo uso. Dunque i tagli di cui tratta Gesù non sono mica cose disumane. Egli ci fa invece trovare la nostra umanità. Per esempio ci può sciogliere con comprensione da qualche fioretto promesso per inesperienza ma anche ci insegna a dare un peso alla nostra parola data. In una successiva occasione semplicemente scegliendo non di giurare ma di provare col suo aiuto a vivere un certo fioretto. Forse poi in un’epoca dove certe decisioni sono meno gravate da condizionamenti sociali si può essere più consapevoli della difficoltà di operare scelte definitive. Come faccio a sapere che sarò prete per tutta la vita? Comprendo che ho bisogno di crescere con Dio, nella Chiesa, di venire aiutato a discernere se proprio il Signore mi chiama. E allora non è sulla mia parola ma sulla sua che getterò le reti.
Nel suo intervento di giovedì 13 febbraio – ore 22.51, il nostro padrone di casa considera, a proposito del paragone storico tra l’Enciclica “Humanae Vitae” pubblicata da Paolo VI e l’esortazione “Querida Amazonia” di Papa Francesco, che “se 52 anni fa il Papa bresciano avesse scelto una via simile a quella imboccata ora da Francesco, avrebbe potuto far pubblicare i due rapporti di maggioranza e di minoranza della Commissione preparatoria invitando l’intera comunità cattolica a confrontarsi su di essi”.
Ora, posto che la storia non si giudica, nè si può fare con i “se” ed i “ma”, però, giusto per indugiare in un pò di accademia (ed anche per scandalizzare il giusto), mi chiedo: non sarebbe stato meglio ?
Io, pur con tutto il tanto affetto che continuo a nutrire per Papa Paolo VI, penso di sì.
Ma questo – come (giustamente) direbbe il caro amico Lorenzo – è un problema mio.
Buona domenica al “pianerottolo” !
Roberto Caligaris
Rif. 15 febbraio – ore 23.31 – Humanae vitae in versione “fai da te”
Sicché, per quel che ricordo (bene) io: nel ’68 c’era grande attesa per la decisione pontificia sulla pillola.
Allora il papa fa, se non una enciclica, una “esortazione apostolica post commissione”; mette in sinossi la conclusione di maggioranza e quella di minoranza della sua commissione; e poi dice agli sposi cattolici: leggete, consultatevi, tavolo-rotondatevi e decidete voi. State sereni.
Oppure (stessa esortazione apostolica post): non è ancora giunto il momento di dire sì alla pillola. Aspettiamo tempi migliori (un paio d’anni o di decenni); intanto fate come facevate prima o comunque fate come vi pare meglio. Purché siate sereni.
Di fronte ad un amletismo così certificato certamente Lefebvre si fermava subito nei suoi propositi scismatici e rientrava nei ranghi. Oppure – che è lo stesso – arruolava decine di cardinali, vescovi e teologi e si formavano decine di Econe. Se ha temuto oggi lo scisma Bergoglio, allora nel 1968 non c’era nulla da temere; era proprio tutto sicuro.
Amigoni caro: non volevo dire che Paolo VI avrebbe potuto o dovuto fare quel rimando al popolo o al domani. Intendevo che tale sarebbe potuto risultare il suo comportamento se avesse seguito il criterio adottato ora da Francesco. Ossia: era più un ragionamento per cogliere la novità attuale che non lo specifico d’allora. Buona giornata.
Ore 8.37 – Per aliam viam…?
Fatico a seguire la sottilissima distinzione di Accattoli. Ritengo che Paolo VI avesse solo – senza altri temporeggiamenti – due possibilità: quella adottata o quella che rimandava la scelta alla coscienza dei coniugi (con leggerissime variabili di comportamento). E poi reputo che ci fossero allora condizioni di scisma più gravi e incombenti di quanto ci siano oggi. E se è vero che, a ogni vento di scisma, ogni papa si ferma…
Ma, Luigi, credo che Padre Amigoni – che leggo sempre con grande interesse e simpatia – si riferisse al mio commento: sbaglio ?
Un caro saluto a tutti.
Roberto Caligaris
Roberto conviene che chiediamo a lui. Forse andava a tutti e due. A me per l’impostazione del confronto tra “Querida Amazonìa” e “Humanae vitae”, a te per la conclusione che “sarebbe stato meglio” se non si fosse arrivati alla promulgazione di “Humanae vitae”.
Rif. 8.36 – Ubi maior
Come dice Luigi Accattoli