Fabrizio Battaglion di Vedano Olona, Varese, 64 anni, è da un mese in riabilitazione dopo una polmonite da Covid 19 che l’ha portato fino alla tracheotomia: “Un’esperienza che ti cambia profondamente”. Responsabile dell’Azione Cattolica del suo paese, Fabrizio è sposato e ha due figli di cui uno sacerdote. Nei commenti riporto l’intervista che gli ho fatto per e-mail dopo che avevo conosciuto la sua vicenda dal sito Vino Nuovo.
Fabrizio Battaglion: “Il Covid è un’esperienza che ti cambia profondamente”
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Fabrizio puoi dirmi qualcosa dei momenti più difficili che hai vissuto a partire dal 16 gennaio, quando sei stato ricoverato in terapia intensiva a Varese?
In quei giorni nei quali ero sedato, io non c’ero. Ero altrove. Una stanchezza mai provata, lo sguardo al monitor che indicava una saturazione troppo scarsa. Ho pianto e ho detto al Signore: “Se è il mio tempo prendimi con Te”. L’11 febbraio sono arrivate verso sera tre persone in crisi respiratoria. Nel giro di un’ora erano morte.
Che ricordo hai del risveglio e del trattamento che hai ricevuto in ospedale?
La gioia con cui mi hanno accolto medici e infermieri era il segno di una vittoria della vita. “Buongiorno Fabrizio, bentornato”. Quanta tenerezza, attenzione, professionalità. Persone che combattono con te, per te. Pur nelle loro personali storie di donne e uomini con famiglia, figli, impegni. Lo stupore di una comunità che ti sostiene e ti accompagna.
Com’era la tua preghiera nei momenti più difficili? Il figlio sacerdote ha potuto comunicare con te quand’eri ricoverato?
Direi che una grande onda di preghiere da ogni dove è arrivata dritta dritta al mio cuore dove faticosamente cercavo di parlare con il Signore. Data la mia condizione potevo ricevere solo poche e brevi telefonate, ma sufficienti a rivedere i volti amati. Una medicina straordinaria. Il sorriso di mia moglie, di Marco e don Daniele che dicevano: “Ciao papà, bentornato”. Una coppia di amici mi aveva fatto avere una corona del Rosario di Mediugorie e al Rosario mi sono aggrappato. Le luci del reparto sempre uguali mi confondevano. Giorno e notte erano la stessa cosa. Ho avuto momenti in cui ho pensato di non farcela. Ma non ero triste. Il Signore era con me.
Come va ora la tua ripresa nella casa di Brebbia, Varese, dove sei stato accolto?
Il tempo che sto vivendo è una occasione per rileggere la mia vita e farlo in maniera disincantata. Ho scoperto le mie fragilità, le mie paure. Mi manca il piacere delle cose semplici: incontrare le persone, incrociare gli sguardi, ascoltare le loro storie. Mi manca la mia comunità. Questa solitudine mi aiuta a fare deserto dentro di me e stare in Sua compagnia così come sono. Intorno a me ho persone con storie più dure della mia. Anziane che la notte piangono chiamando la mamma. Chi sta qui da tanti mesi e non può incontrare nessuno se non rubando uno sguardo dalla finestra della sua camera. Ho la testa dura, regalo di mio papà, e con l’aiuto del fisioterapista cerco di reimparare a camminare. È dura ma, dopo il Venerdì Santo è arrivata la Pasqua. Una grande voglia di tornare in comunità mi sostiene.
Che cosa credi di aver imparato da questa esperienza?
Mi ha come liberato dalla paura di sentirmi adeguato, accettato. Sono un uomo che sa di essere amato. E appartiene a un popolo che mi sostiene ogni giorno. Questo cambia il tuo sguardo verso gli altri, il tuo cuore. Perché scopri che lo scopo della vita è uno solo: amare senza riserve per essere davvero felici e dare senso e bellezza alle nostre esistenze.
Ottantotto storie. Questa di Fabrizio Battaglion è l’ottantottesima vicenda da Covid – 19 che racconto nel blog. Per vedere le altre vai al capitolo 22 “Storie di pandemia” della pagina “Cerco fatti di Vangelo” elencata sotto la mia foto:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/cerco-fatti-di-vangelo/22-storie-di-pandemia/
Rinnovo delle promesse battesimali
La lampada è spenta
il sole tramonta
la neve scende bianca
sul mio andare via.
Lungo la strada
dietro i rami spogli
volti a mezz’aria
dicono parole di cui
mi sfugge il senso.
Nella notte che viene
mi congedo per amore,
per tornare vicino.
Per morire tre giorni
e poi resuscitare
quando il fico germoglia
e l’estate è vicina.
Da: https://gpcentofanti.altervista.org/piccolo-magnificat-un-canto-di-tanti-canti/