Ergastolo ostativo: festeggio la sentenza della Corte

La Corte costituzionale ha dichiarato oggi contraria alla nostra Costituzione la norma dell’ordinamento penitenziario che esclude dalla concessione di permessi i condannati all’ergastolo che non collaborano con la giustizia, purchè ovviamente consti che abbiano interrotto ogni rapporto con l’associazione di appartenenza, sia che si tratti di mafia sia di terrorismo. Nel primo commento il comunicato stampa sulla decisione, nel secondo la mia reazione che è di festa, avendo pubblicamente preso posizione per il superamento di quella norma l’11 ottobre a Matera, in qualità di presidente della Giuria del Premio Castelli per detenuti.

9 Comments

  1. Luigi Accattoli

    Comunicato della Corte. «La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo».
    La sentenza stabilisce che i giudici di sorveglianza dovranno sempre valutare la «pericolosità sociale» del detenuto e non sarà più motivo di rifiuto («ostativo») il fatto che l’ergastolano non abbia collaborato con la magistratura.

    23 Ottobre, 2019 - 21:36
  2. Luigi Accattoli

    Già la Corte europea. All’inizio di ottobre la Corte europea per i diritti dell’uomo accogliendo il ricordo di un ergastolano italiano aveva stabilito che costituiva una violazione dei diritti della persona negare dei benefici a un detenuto solo in base al tipo di reati a cui è condannato e alla mancata collaborazione. Avevo commentato con favore quella sentenza l’11 ottobre, nel carcere di Matera, aprendo a nome della Giuria del Premio Castelli il convegno “In carcere con umanità”: Salutiamo la sentenza della Corte europea dei diritti umani, che tre giorni addietro ha fatto obbligo all’Italia di rivedere la legge sull’ergastolo ostativo, come una provvidenziale occasione – credo di poterlo affermare a nome della maggioranza dei presenti – per riproporre il nostro impegno in vista del superamento della pena dell’ergastolo. Nella revisione della legge sarà certo necessario tener presenti le esigenze di contrasto alla mafia e al terrorismo, che sono all’origine delle norme da modificare, ma la modifica potrà costituire un buon passo avanti nella umanizzazione del carcere che noi perseguiamo. Il Premio Castelli è un concorso di scrittura per detenuti promosso dalla Spocietà di San Vincenzo de’ Paoli.

    23 Ottobre, 2019 - 21:37
  3. Luigi Accattoli

    Qui l’intera relazione da me tenuta a Matera:
    http://www.luigiaccattoli.it/blog/conferenze-e-dibattiti-2/lesperienza-dellincontro-restituisce-dignita/

    Qui la trattazione che ne avevo dato nel blog:
    http://www.luigiaccattoli.it/blog/daccordo-con-la-corte-europea-sullergastolo-ostativo/
    Al quarto commento di quel post riferivo parole di Rita Barbera, relatrice con me a Matera, già direttrice del Carcere dell’Ucciardone, che si disse in pieno accordo con la mia relazione.

    23 Ottobre, 2019 - 21:44
  4. roberto 55

    Hai già detto tutto tu, Luigi, ed ha detto pure molto bene Luigi Manconi in quel suo articolo “postato” da Cristina (grazie, Cris !): dunque, non aggiungo altro, se non che, per me, si tratta d’una sentenza di civiltà.
    Tutto qui.

    Buona domenica a tutte ed a tutti !

    Roberto Caligaris

    26 Ottobre, 2019 - 22:51
  5. ada

    Caro Luigi, la mia reazione azione alla sentenza è tutt’altro che di festa. A mio avviso la decisione assunta dalla Corte denota una scarsa conoscenza del fenomeno mafioso. Il mafioso che non collabora con la giustizia rimane mafioso è pertanto affiliato ad un’organizzazione criminale della quale continua a far parte. Soltanto il collaborare con la giustizia gli consente di interrompere il rapporto con la mafia. Demandare poi ai giudici di sorveglianza se concedere o meno un permesso a personaggi, quali Provenzano o Totò Reina, equivale a sottoporli a pressioni personali o sui propri familiari che non tutti sono in grado di sostenere. Non possiamo pretendere che tutti siano degli eroi disposti a morire perché esercitano una funzione pubblica.
    Credo che sia una sentenza che rinvigorisca la mafia e simili organizzazioni criminali vanificando il prezioso lavoro di quanti si adoperano per assicurare i colpevoli alla giustizia.
    Ricordo che nel testo di Psicologia giuridica l’autore, di cui purtroppo non ricordo il nome, sosteneva che le persone che hanno commesso reati sono riabilitabili attraverso l’esecuzione di una pena compensativa (es chi ha commesso un omicidio viene destinato a servizi diretti a salvare persone) da espiare prevalentemente al di fuori delle strutture penitenziarie. Tuttavia egli riteneva che, in base a studi fatti, vi era una bassissima percentuale di persone strutturalmente incapaci di cambiare vita per le quali la detenzione permanente in strutture adeguate era l’unica soluzione. Secondo i mafiosi non collaboranti potrebbero rientrare in tale categoria.
    Ada Murkovic

    27 Ottobre, 2019 - 1:27
  6. roberto 55

    Mi permetto di dissentire dalle considerazioni dell’amica Ada.
    Non credo sia vero in assoluto che il detenuto, incarcerato per reati di mafia, che non “collabora” resti, per questo, “mafioso”: i motivi della mancata collaborazione possono essere anche altri (il timore di esporre i propri familiari alle vendette dell’”organizzazione”, la difficoltà di conoscere, per chi non era in posizioni di vertice di “Cosa Nostra”, la convinzione, in qualche caso, di essere/ritenersi innocenti, etc.).
    Non credo, poi, che la posizione dei detenuti per reati di mafia possa essere ridotta all’alternativa tra “collaboratori” e “mafiosi”: ci si ricorderà come, ai tempi delle indagini sul terrorismo, tra “irriducibili” e “pentiti”, emerse la categoria dei “dissociati” (che ebbe la sua importanza).
    Né è vero – e qualche caso, anche recente, lo ha dimostrato – che lo “status” di “collaboratore” significhi automaticamente “cessazione della pericolosità”.
    Credo, quindi, sia stato giusto riaffermare, con questa sentenza, il principio della rimessione al Giudice della valutazione concreta sul ravvedimento del detenuto e del bilanciamento, caso per caso, tra la sua “pericolosità” e quella “rieducazione del carcerato” (sancita nell’art. 27 della Costituzione).

    Un caro saluto a tutti.

    Roberto Caligaris

    27 Ottobre, 2019 - 16:04
  7. roberto 55

    Chiedo venia: mi sono “mangiato” la metà di una frase; “la difficoltà di conoscere, per chi non era in posizioni di vertice di “Cosa Nostra, elementi utili ad una proficua collaborazione con la Magistratura”.

    Ancora un saluto a tutti.

    Roberto Caligaris

    27 Ottobre, 2019 - 16:30
  8. Luigi Accattoli

    Una vicenda sarda. Da una visitatrice che non firma ricevo questo messaggio:

    Caro Luigi, ecco uno stralcio dell’articolo (abbreviato) della “Nuova Sardegna” nel quale l’ergastolano Mario Trudu aveva parlato, qualche mese fa, dell’ergastolo ostativo. Venti giorni fa era stato scarcerato per gravi motivi di salute. Portato all’ospedale di Oristano era stato operato. Il suo caso aveva innescato una intensa discussione fra i favorevoli al carcere ostativo (in minoranza) e i contrari (fra cui io). La sua avvocatessa si era battuta con ripetuti appelli per farlo scarcerare e dargli la possibilità di curarsi. Il poveretto ha cessato di vivere proprio nel giorno in cui la Consulta ha definito la sua pena “incostituzionale”. La notizia, a grandi caratteri, è nella prima pagina del quotidiano di oggi. Una vicenda davvero penosa che dovrebbe far riflettere coloro i quali vogliono il “fine pena mai” e le chiavi del carcere gettate in un pozzo. Tra questi c’è, per esempio, Travaglio (soprattutto in riferimento ai mafiosi). Sembra che la cosa più difficile del mondo sia mettersi nei panni degli altri e che il giustizialismo ad oltranza sia la panacea di ogni male. Certo, la questione è di una complessità, a seconda dei casi, assai difficile da dipanare, ma la speranza non va negata a nessuno.

    05/06/2019 «È meglio la morte di una vita in cella» – SASSARI
    Una lunga lettera dal carcere indirizzata alla scrittrice ed editorialista Vanessa Roggeri, che sulla Nuova Sardegna risponde quotidianamente ai nostri lettori. E proprio in relazione a una risposta interviene Mario Trudu, ergastolano di Arzana, detenuto nel penitenziario di Massama, Oristano. Due pagine di foglio protocollo, una grafia delicata e una bella scrittura. Alla Roggeri Mario Trudu, 69 anni, in carcere da 40 per sequestro di persona e omicidio, pastore, dice di non essere d’accordo sul “fine pena mai” perché una condanna a vita può essere peggiore della morte. Anzi, lui spiega di avere chiesto che la sua condanna all’ergastolo (ostativo, dunque senza possibilità di sconti) fosse tramutata in pena di morte: «Chiesi di essere fucilato nella piazza del Duomo di Spoleto», scrive nella lunga lettera, ma ovviamente la sua richiesta non fu accolta. Trudu spiega di avere preso carta e penna dopo avere letto le valutazioni di Vanessa Roggeri in risposta alla sollecitazione di un lettore. [Al centro della discussione la vicenda di Cesare Battisti, il terrorista].
    Parole della Roggeri: «Per certi soggetti pericolosi la galera deve essere galera senza sconti e premi e l’ergastolo deve rappresentare prigione a vita. Non si tratta di facile giustizialismo né di presunta sete di vendetta, ma di certezza della pena».
    L’ergastolano Mario Trudu quando ha letto queste parole si è sentito toccato e ha deciso di dire la sua. Lui, che da 40 anni non conosce una vita oltre le sbarre e mai riconquisterà la libertà, nelle due pagine scritte fitte fitte spiega di non essere d’accordo. «Sono certo di appartenere ancora al genere umano – scrive – la mia carcerazione è fatta giorno dopo giorno». E poi: «Quando hanno detto no alla mia richiesta di condanna a morte, ho dedotto che lo Stato dopo avermi privato di tutto il resto, mi proibisce di morire con un colpo secco e mi concede di morire a poco a poco, al rallentatore. Questo – aggiunge Trudu – è proprio ciò che sto vivendo».
    Ancora, rivolgendosi alla Roggeri: «Mi inchino al suo “garantismo”, al suo chiedere pena certa. La mia pena – commenta l’ergastolano – è più che certa, oltre c’è solo la morte».

    27 Ottobre, 2019 - 17:23

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