“Sentivo che forse ero arrivato alla fine, ma questo mi ha aiutato perché ho capito che l’essenziale era lasciar fare a Dio”: parla così della sua esperienza con il Covid-19 il rettore del Seminario lombardo in Roma don Ennio Apeciti, 70 anni, storico della Chiesa, cultore degli scritti di Ambrogio da Milano. E’ stato un mese al Gemelli e ha fatto la terapia intensiva dalla quale è uscito bene. Nel primo commento riporto un brano dell’intervista che ha dato il 16 luglio a “Chiesa nella città”, magazine del portale della Chiesa Ambrosiana. Nel secondo commento un racconto della vicenda che don Ennio ha scritto per la rivista di Radio Mater “Eccoci Mamma”. L’intervista mi è stata segnalata da Emilia Flocchini che ringrazio: le parole di don Ennio le ho trascritte dalla registrazione video dell’intervista. Il file del testo di “Eccoci Mamma” mi è stato fornito dal suo direttore Enrico Viganò.
Ennio Apeciti: sentivo d’essere arrivato alla fine
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Don Ennio racconta. Ho vissuto il momento acuto della pandemia in un duplice modo. Sono stato anch’io colpito, ricoverato e facevo previsioni un pochettino terribili. Sentivo che forse ero arrivato alla fine, ma questo mi ha aiutato perché ho capito che l’essenziale era lasciar fare a Dio. Il secondo elemento è stato: devo dare entusiasmo a questi giovani [del Seminario lombardo], devo dare a questi giovani preti la forza di ritenere che vale la pena comunque impegnarsi. Allora ho dato più importanza al dialogo con i ragazzi e con gli amici, i preti lontani. E’ divenuto importante incoraggiarsi, importante da parte mia che sentivo che potevano essere le ultime volte. Questo condividere mi ha aiutato molto e mi hanno aiutato molto anche i ragazzi: li chiamo ragazzi ma hanno 35 anni. Mi hanno aiutato a dirci gli uni gli altri: coraggio, non bisogna rassegnarsi mai.
Trovi qui l’intera intervista [dal minuto 31.40 al 36.12 del video]: https://youtu.be/R0Qrq8BvqCg .
Racconto scritto pubblicato dalla rivista “Eccoci Mamma” di Radio Mater [n. 74, giugno 2020, pp. 8-9]. Mons. Ennio Apeciti, rettore del Pontificio Seminario Lombardo in Roma e conduttore a Radio Mater della rubrica “Testimoni di Cristo”, racconta l’isolamento per un mese nel Reparto Columbus del Gemelli per aver contratto il coronavirus. Racconta che il pensiero che fosse giunto il momento del “passaggio” non lo spaventò perché…..
Con Maria vicina mi sentivo sicuro
Conviene che mi presenti: sono don Ennio Apeciti, il rettore del Pontificio Seminario Lombardo in Roma, dove abitano circa cinquanta sacerdoti di tutt’Italia (e alcuni anche dall’estero), che sono stati inviati dai loro vescovi a studiare presso le diverse Università Pontificie romane.
Con loro cerco di vivere uno stile di fraternità sacerdotale, che si ispira alla pagina degli Atti degli Apostoli, che descrive la prima comunità cristiana: una vita comune fatta di preghiera, di fraternità, di cordialità, e di impegno.
Il Corona Virus ha fatto la sua improvvisa irruzione nel Seminario nei primi giorni di marzo, portato non sappiamo bene se da qualche sacerdote professore, proveniente da Nord Italia, dove il Virus andava diffondendosi, o da qualche Sacerdote studente, che aveva incontrato persone infette nel suo ministero pastorale nelle parrocchie romane durante i fine settimana.
Subito è stata per noi tutti sacerdoti un’esperienza forte, perché abbiamo dovuto chiedere ai confratelli che avevano avuto contatti con quei sacerdoti, di rimanere chiusi nelle loro camere in autoisolamento precauzionale. Essi hanno dato una bella testimonianza di umiltà e di disponibilità al bene di tutti. Non è facile per un giovane rimanere chiuso in una stanza, neppure troppo grande! – per settimane: mangiare da solo, pregare da solo. Eppure, l’hanno fatto come gesto di carità e di attenzione ai loro confratelli. Allo stesso modo sono rimasto ammirato dai confratelli sani, non ancora colpiti da virus. Con loro abbiamo organizzato ogni cosa: ci siamo divisi in gruppi per le pulizie dell’intero edificio; altri per preparare la sala da pranzo e i piatti del cibo, che ci arrivavano preconfezionati dall’esterno, per sicurezza di igiene; altri ancora portavano davanti alle porte di ciascuno degli ammalati il vassoio con il cibo e poi li ritiravano, sempre con una parola di saluto e di allegria per i reclusi; altri ancora organizzavano la raccolta dei sacchi con la biancheria da lavare e la consegna delle lenzuola, asciugamani e biancheria lavata e stirata dalle nostre sante suore.
Anche questa condivisione e collaborazione fraterna è stata molto importante e ha arricchito ognuno di noi, perché da una parte ci ha fatto attenti gli uni agli altri e in particolare ai più bisognosi tra noi e dall’altra parte ha fatto emergere in tutti, in ognuno, quei lati del proprio carattere, che forse neppure conoscevamo: dalla generosità autentica, alla capacità di fare cose che ci sembravano prima impossibili, sino anche alla fatica in certi momenti nel sopportarci o nell’avere pazienza o nel fidarci l’uno dell’altro.
È stato, per me, il momento in cui ho capito meglio ed ho raccomandato molto le parole di san Paolo ai cristiani di Roma: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi» (Rom 12, 10-13).
Poi è venuto il mio ricovero. Era forse inevitabile per me, dopo essermi così impegnato con e per tutti. Fui isolato nel Reparto Columbus del Gemelli, e i primissimi giorni si temeva un esito infausto. Furono giorni importanti per me, perché il pensiero che fosse giunto il momento del “passaggio” non mi spaventò. Mi resi conto che era possibile e mi ricordai che avevo sempre atteso quel momento, il momento dell’incontro con quel Dio che aveva dato e dà senso a tutta la mia vita. Non ebbi paura, ma sentii la profondità della preghiera di abbandono, di fiducia. Sentii che erano mie le parole di Maria Vergine all’angelo: «Eccomi, sono stato sempre servo del Signore. Avvenga per me quello che Lui pensa bene». Per questo il mio compagno di quei lunghi giorni (in tutto si è trattato di più di un mese) di solitudine fu il rosario: ripetere le parole dell’angelo; affidarmi a Gesù; confidare in Maria. Talvolta, pensando ai miei peccati, mi veniva in mente quello che raccontano della finale non scritta del Piccolo Principe: se san Pietro – mi dicevo – mi dirà che non posso entrare in quella Casa che ho sempre sognato e desiderato; se san Pietro mi respingerà, si aprirà la finestra che è vicina alla porta del Paradiso e si affaccerà discreta Maria che mi farà cenno – senza farsi vedere da san Pietro – di andare presso la sua finestra e mi aiuterà con le sue forti e materne braccia a entrare a Casa. Con Lei vicina, mi sentivo sicuro.
Mons. Ennio Apeciti
Ottava storia. Questa è l’ottava storia di pandemia che racconto nel blog. Andando all’ultima delle sette precedenti [della quale metto qui il link] puoi trovare i link di ognuna. Sollecito ancora i visitatori a segnalarmi altre vicende.
http://www.luigiaccattoli.it/blog/piero-rattin-siamo-foglie-secche-e-anche-la-fede-e-povera/
https://commentovangelodelgiorno.altervista.org/commento-vangelo-21-luglio-2020/
Caro Luigi.
Il mio più sentito saluto e caloroso augurio a don Ennio Appeciti di cui ricordo e custodisco ancora nel primo cassetto della mia scrivania un volumetto molto, molto interessante sul Beato card. Schuster che lessi da adolescente.
Fabrizio
Fabrizio ho conosciuto un poco don Ennio. Abito in via di Santa Maria Maggiore e il Seminario lombardo è in piazza di Santa Maria Maggiore. In più occasioni ho chiesto ospitalità per consultazioni nell’ottima Biblioteca e anche per farmi aiutare con referenze ambrosiane. Sempre ospitale e puntuale.
Sono andato a sera a piazza di Santa Maria Maggiore a fare questa foto per segnalare ai visitatori non romani la location del Seminario Lombardo in Roma: il Seminario è nell’edificio ad angolo ottuso che si vede dietro la fontana del Maderno e dietro Albularius, il mio amico gabbiano. L’ombra sulla faccia di sinistra del Seminario la manda il campanile della Basilica. La foto aiuta ad ambientare la viva descrizione della vita comunitaria del Lombardo in pandemia abbozzata da don Ennio nel testo riportato nel secondo commento a questo post. Dedico la foto a don Ennio.
Rif. 20 luglio ore 14.28.
Ciao Luigi, ti ringrazio “dello squarcio” su don Ennio.
Questo il volumetto di don Ennio che lessi da adolescente e che custodisco nel primo cassetto della mia scrivania.
https://www.ibs.it/cio-che-conta-amare-vita-libro-ennio-apeciti/e/9788880250654