Amici belli, il gruppo di lettori della Bibbia che si riunisce a casa mia con il nome di “Pizza e Vangelo” lunedì 25 giugno legge dal capitolo 23 degli “Atti degli Apostoli” l’episodio della seconda apologia di Paolo, quella tenuta in Gerusalemme, nel 59 dopo Cristo, davanti al Sinedrio. In esso l’apostolo si qualifica come “fariseo e figlio di farisei”: approfondiremo il significato di questa dichiarazione. Concluderemo che fino a circa l’80 dopo Cristo, data nella quale gli studiosi collocano la redazione definitiva degli Atti, poteva avere ancora senso essere a un tempo cristiani e giudei osservanti appartenenti alla corrente dei farisei: molto interessante! Sarà l’ultimo appuntamento dell’anno sociale: riprenderemo in autunno.
Eccoci a Paolo che si dichiara “fariseo e figlio di farisei”
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Davanti al Sinedrio. In Atti 23, 1-11 troviamo la seconda apologia di Paolo, dopo la prima che aveva tenuto alla folla sulla scalinata della Fortezza Antonia, neòl capitolo 22. Stavolta parla davanti al Sinedrio, durante una riunione convocata su richiesta dal tribuno della guarnigione romana per “conoscere la realtà dei fatti”. Ma il tribuno non ottiene nessun chiarimento: la seduta finisce in rissa e per la terza volta deve sottrarre l’apostolo al linciaggio. Ci fermeremo sull’autodifesa decisa e abile di Paolo, che minaccia il giudizio di Dio al Sommo Sacerdote Anania qualificandolo come “muro imbiancato” e si dichiara fariseo, mettendo gli uni contro gli altri le due componenti maggiori del Sinedrio: i farisei – appunto – e i sadducei.
La “passione di Paolo” continua a svolgersi sulla filigrana di quella di Gesù: è portato davanti al Sinedrio, viene percosso ingiustamente, reagisce alla percossa con una protesta in forma di domanda. Ma più evidenti delle similitudini sono le dissimilitudini rispetto al comportamento di Gesù: Paolo arriva a maledire il Sommo Sacerdote, usa contro di lui anche l’arma dell’ironia, si difende con grande decisione, addirittura contrattacca puntando a dividere l’assemblea giudicante. Di questa diversità di comportamento rispetto a Gesù abbiamo trattato nell’ultimo appuntamento. Stavolta ci concentreremo sulla possibilità attestata dall’episodio che un cristiano si dicesse fariseo, a Gerusalemme, negli anni della seconda e terza generazione dei discepoli di Gesù. L’episodio termina con una visione confortatrice e programmatica del Signore Gesù – la quarta e ultima tra quelle narrate dagli Atti – che assicura l’apostolo sulla “necessità” che egli porti la sua testimonianza “anche a Roma”.
Atti 23, 1-11. 1 Con lo sguardo fisso al sinedrio, Paolo disse: “Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in piena rettitudine di coscienza”. 2Ma il sommo sacerdote Anania ordinò ai presenti di percuoterlo sulla bocca. 3Paolo allora gli disse: “Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la Legge e contro la Legge comandi di percuotermi?”. 4E i presenti dissero: “Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?”. 5Rispose Paolo: “Non sapevo, fratelli, che fosse il sommo sacerdote; sta scritto infatti: Non insulterai il capo del tuo popolo”. 6Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio: “Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti”. 7Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducei e l’assemblea si divise. 8I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione né angeli né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. 9Ci fu allora un grande chiasso e alcuni scribi del partito dei farisei si alzarono in piedi e protestavano dicendo: “Non troviamo nulla di male in quest’uomo. Forse uno spirito o un angelo gli ha parlato”. 10La disputa si accese a tal punto che il comandante, temendo che Paolo venisse linciato da quelli, ordinò alla truppa di scendere, portarlo via e ricondurlo nella fortezza. 11La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: “Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma”.
Chi può venga. Da gennaio propongo ai visitatori del blog i testi che affrontiamo nel gruppo biblico [il gruppo c’è da 17 anni] perché chi può tra i visitatori mi dia una mano nella preparazione della lectio. Ma faccio questa segnalazione anche perché chi è a Roma o capita a Roma nei nostri lunedì venga alle nostre serate. Chi volesse esserci mi mandi un’e-mail e io gli dirò il dove e il come. Saremo felici di avere nuovi ospiti: c’è pizza per tutti. Chi non può venire provi a unirsi a noi in unità di tempo e di ruminazione delle stesse Parole.
In base ai dati forniti da Giuseppe Flavio nel ” La Guerra Giudaica” tramandata integralmente circa la distruzione del Tempio ( Tito 70 d.c.), oltre agli orrori -crocifissioni nell’ordine di 500 al giorno atti di cannibalismo ecc- Ci racconta di una Gerusalemme rasa al suolo. Dopo di che al posto di quella sappiamo che sorse una città Ellenistica dedicata a Giova, la Aelia capitolina voluta da Adriano interdetta e invisa ai giudei la quale, secondo Cassio Dione i superstiti da una cinquantina d’anni appena dalla strage del 70 e quindi stiamo parlando della terza generazione più o meno. La stessa classe sacerdotale legatissima alla tradizione si coagula, unitamente ai gentili ai pagani agli stessi giudei convertiti, attorno alla Chiesa nascente che diventa un coacervo di idee contrastanti.
Questo in premessa. Dopo di che: sicuramente si può attestare che per un cristiano che si dicesse fariseo a Gerusalemme la presenza di Paolo che invalidava la circoncisione doveva essere una roba intollerabile. Per contro,i convertiti non provenienti dal giudaismo, penso a Cornelio ai gentili di Antiochia di Atti 10-11, questi dicevo furono battezzati, non certo circoncisi.
Il che attesta che non essere giudeizzati significava voler operare un cambio di registro fondamentale: significare -in riferimento alle richieste dei cristiani farisei- decretare la fine di ogni rivendicazione in vista della salvezza per cui cadeva l’obbligo secondo il quale “bisogna circoncidere i Gentili, e comandare loro d’osservare la legge di Mosè»
Insomma, che potesse avere ancora un senso parlare di farisei osservanti forse lo è nella misura in cui il “fenomeno” lo si comprende come un fatto fisiologico in quanto un vero divorzio non ci fu mai tanto che, il concilio di Gerusalemme continua a mantenere l’unità della chiesa sancendo due grandi contenitori culturali: il cristianesimo giudaico e il cristianesimo gentile (At 15). che decretarono anche la separazione dei compiti fra Paolo e Pietro (e i rispettivi gruppi missionari) quanto agli obiettivi della missione: «…a me era stata affidata l’evangelizzazione degli incirconcisi, come a Pietro quella dei circoncisi» (Gal 2,7).
Nessun matrimonio e nessun divorzio. È stato un fatto fisiologico. Il numero dei Giudei, che si convertì a Gesù Cristo, seppur ragguardevole, fu solo una quantità modesta (un «resto») rispetto all’intero giudaismo. Al contrario, i Gentili aumentarono continuamente di numero, talché dopo solo alcuni decenni furono in maggioranza. Poi c’è da sfatare la presunta malvagità dei farisei che non era dovuta alla loro vita privata, ma all’incredulità nei confronti del Messia promesso dalla Rivelazione divina e alla volontà di farlo morire. Sarebbe troppo facile liquidare questa classe sacerdotale del quale fecero parte lo stesso Nicodemo e Giuseppe D’Arimatea: una casta chiamati da tutti e quattro i Vangeli sempre con l’appellativo di “sommi sacerdoti”.
Chiedo venia. Vorrei terminare la frase che il cellulare mi ha lasciato a metà sulla “Aelia capitolina” , voluta da Adriano interdetta e invisa ai giudei la quale, secondo Cassio Dione, ai superstiti -siamo ad una cinquantina d’anni appena dalla strage del 70- e quindi stiamo parlando della terza generazione più o meno, quella nuova Gerusalemme in cui sorgevano ovunque templi pagani doveva apparire abominevole…
vorrei segnalare a CCL un autore Rodney Stark sociologo delle religioni il quale sostiene in un libro che ho letto tempo fa e del quale no ricordo il nome che indagini statistiche sul numero dei giudei presenti nell’Impero romano nel 1 secolo e nel terzo secolo farebbero pensare che il numero dei giudei che si sono convertiti al cristianesimo, soprattutto nella diaspora, non sia stato poi così esiguo. Le correnti “apocalittiche” presenti nel giudaismo al tempo di Gesù – delle quali abbiamo poca traccia ma che sono documentate dai cosiddetti Apocrifi dello AT (il pentateuco enochico ecc) – e i gruppi essenici sono scomparsi: che fine hanno fatto coloro che vi aderivano? Dopo la distruzione del tempio e dopo la rivolta del 135 rimase solo il “giudaismo rabbinico” erede diretto del fariseismo.
Volevo aggiungere una serie di riflessioni …
Mi domando e mi rispondo: come mai sia in Antiochia che in Gerusalemme si parla di episcopi, episcopi che assolvono ad alte funzioni, tali da essere considerati superiori ai profeti, ai dottori e addirittura sembrano sostituire gli stessi Apostoli che via via scompaiono di scena. Al contrario, nelle comunità paoline in cui non si individuano episcopi al plurale se non in riferimento a Filippesi 1,1 dove si accenna a Tito e Timoteo
Ora, se consideriamo la terza generazione in cui parte degli Apostoli è ormai scomparsa e a sostituirli vediamo appunto degli evangelisti come Tito e Timoteo, c’è da chiedersi perché in un secondo momento gli stessi episcopi passano sotto silenzio, e vi passano già nella prima epistola di Clemente (88-97 dopo Cristo). Perché questi episcopi che in base alla prima epistola di Pietro erano diventati veri successori degli apostoli ad un certo punto della storia vengono considerato quasi come una “controparte” totalitaria e monarchica rispetto alla comunità, in rapporto al popolo voglio dire, ma anche in ordine agli stessi presbiteri i quali vengono menzionati piuttosto tardi e sempre in riferimento agli Anziani, eccezion fatta per il comitato direttivo riunito attorno a Giacomo alla maniera di quello della Sinagoga anzi del Sinedrio il cui governo rivendica una autorità totale già alla partenza di Pietro (atti 21,17-26) quasi a voler tracciare una linea dell’antica separazione con accenti del tutto farisaici.
Probabilmente a domanda se una eccessiva concezione pneumatica che non tiene in conto della successione apostolica possa apparire come una vera reminiscenza farisaica, è possibile. Come è possible che il riferimento di San Girolamo il quale parla dei farisei come dei falsi dottori e falsi profeti della Chiesa nascente che vestiti da pecore, acquistata che ebbero autorità fanno subito vedere “quel che siano al di sotto” è anch’essa dimostrazione della presenza di farisei in quel preciso contesto…a motivo del fatto che Giacomo è di destra, rispetto a Paolo, Giacomo è un tradizionalista legato alla legge di Mosè. ..insomma, che i “muri imbiancati” potessero essere al contempo cristiani è cosa certa, senza ombra di dubbio.
Leggerò il testo che mi hai segnalato Beppe; mi interessa moltissimo guardare gli eventi da più punti di osservazione. ..certamente …..