“Non prevedevo l’elezione del cardinale Ratzinger ma sono contento che sia papa”: è l’attacco di un articolo con il quale, nel maggio del 2005, presentavo il nuovo Papa ai lettori del Regno. Fu pubblicato dal Regno 10/2005 alle pagine 359s con il titolo Nella fatica di credere. Un papa che prega e lotta contro il «nascondimento di Dio». Lo ripropongo per intero nei commenti.
Ecco il mio primo profilo di Benedetto all’elezione: un Papa che prega e lotta contro il nascondimento di Dio
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Non prevedevo l’elezione del cardinale Ratzinger, ma sono contento che sia papa. Mi aspettavo un apostolo che continuasse l’uscita nel mondo di Giovanni Paolo II. I cardinali, invece, hanno voluto una pausa in quell’andata al largo. Tra chi poteva interpretare la pausa, Ratzinger è colui che meglio avverte la difficoltà di credere dell’uomo d’oggi: dei lontani, dei vicini e di se stesso. Egli dunque, nella pausa, continuerà a guardare lontano. Ciò mi sembra essenziale.
La sua avvertenza dell’incredulità la segnalo con due passaggi della riflessione che ha condotto su di essa, in tanti anni. Uno recentissimo e l’altro antico.
«Mostrati di nuovo al mondo in quest’ora». Quello recentissimo, il più maturo, l’ho ascoltato nella preghiera della dodicesima stazione della Via crucis papale per l’ultimo Venerdì santo (cf. Regno-doc. 9,2005,207ss). Invito il lettore a leggerla senza fretta. Io sono stato felice di udirla quel giorno e la felicità che avvertii in quel momento – perché in essa trovavo le parole per l’invocazione che mi è più cara – è tornata a me quando ho ascoltato dal card. Medina Estévez l’annuncio che il nuovo papa si chiamava «Iosephum»:
«Signore Gesù Cristo, nell’ora della tua morte il sole si oscurò. Sempre di nuovo sei inchiodato sulla croce. Proprio in quest’ora della storia viviamo nell’oscurità di Dio. Per la smisurata sofferenza e la cattiveria degli uomini il volto di Dio, il tuo volto, appare oscurato, irriconoscibile. Ma proprio sulla croce ti sei fatto riconoscere. Proprio in quanto sei colui che soffre e che ama, sei colui che è innalzato. Proprio da lì hai trionfato. Aiutaci a riconoscere, in quest’ora di oscurità e di turbamento, il tuo volto. Aiutaci a credere in te e a seguirti proprio nell’ora dell’oscurità e del bisogno. Mostrati di nuovo al mondo in quest’ora. Fa’ che la tua salvezza si manifesti».
Ecco, io sono contento che sia papa uno che prega così: fatti riconoscere, mostrati di nuovo. Questa mi appare come tutta la preghiera di oggi e dunque esulto a sentirla in bocca a un cristiano chiamato a fare il papa.
Se qualcuno mi ha seguito fino qui, ed è restato non dico convinto, ma interessato dal mio apprezzamento per quella preghiera, provi a leggere per intero la Via crucis, per avvertire come sia tutta innervata dall’invocazione al Signore perché torni a manifestarsi.
Nella meditazione, che precede la preghiera che ho citato, il lettore troverà così commentato il grido di Gesù morente «Dio mio Dio mio»: «Assume in sé l’intero Israele sofferente, l’intera umanità sofferente, il dramma dell’oscurità di Dio».
Attenzione a questa espressione: «il dramma dell’oscurità di Dio». Durante l’omelia per l’inizio del ministero petrino, il 24 aprile, papa Benedetto elencherà – tra i tanti deserti in cui si smarrisce, come la pecora evangelica, l’umanità di oggi – «il deserto dell’oscurità di Dio» (Regno-doc. 9,2005,197). Ecco dunque il nuovo papa che si mette alla ricerca dell’umanità che non scorge più il volto di Dio.
La fede di Maria che resiste nell’oscurità. In altre stazioni il lettore incontrerà altre invocazioni e metafore della nostra epoca: «Fa’ che ti percepiamo di nuovo» (VII stazione), «Il Dio nascosto rimane comunque il Dio vivente» (XIII stazione). Ma soprattutto troverà, alla quarta stazione («Gesù incontra sua madre») questa rassicurazione sulla fede che non si perde sulla terra finché c’è chi ama:
«I discepoli sono fuggiti, ella non fugge. Ella sta lì, con il coraggio della madre, con la fedeltà della madre, con la bontà della madre e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: “E beata colei che ha creduto” (Lc 1,45). “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Sì, in questo momento egli lo sa: troverà la fede. Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione».
Dicevo che avrei fatto riferimento a un testo recentissimo e a uno antico. Quello antico è il paragrafo «Discese all’inferno» del capitolo 2 della seconda parte del volume Introduzione al cristianesimo (1968, trad. it. Queriniana, Brescia 1969; seconda edizione, con un nuovo «saggio introduttivo», Queriniana 2000): «Il Sabato santo è il giorno della “morte di Dio”, il giorno che esprime e anticipa l’inaudita esperienza da cui è travagliato il nostro tempo: la sensazione che Dio s’è assentato da noi, che la tomba lo ricopre, che egli non vigila e non parla più, sicché non c’è nemmeno bisogno di contestarne l’esistenza, ma si può tranquillamente farne a meno».
«Egli sembra sprofondato nel cupo silenzio dell’assente». Ed eccoci alla seconda verifica che vorrei proporre al lettore: legga per intero quel paragrafo e possibilmente l’intera Introduzione al cristianesimo, tenendo d’occhio il filo rosso della prova per la fede che viene al nostro tempo dalla sensazione che Dio si è «assentato»: «Nessun grido sembra più capace di risvegliare Dio (…) “Discese nel regno dei morti”: questa frase sembra proprio designare l’amara verità dell’ora nostra: lo sprofondamento di Dio nel mutismo, nel cupo silenzio dell’assente (…) Della rivelazione cristiana non fa parte solo la parola di Dio, ma anche il silenzio di Dio (…) Dio ha effettivamente parlato, ma non dobbiamo per questo dimenticare la verità del perenne nascondimento di Dio».
Sempre in quel paragrafo, il grido di Gesù «Dio mio Dio mio» viene così commentato: «Abbiamo ancora forse il bisogno di chiederci che cosa debba rappresentare la preghiera della nostra ora di tenebra? Può forse essere qualcosa di diverso dal grido lanciato dal profondo assieme al Signore, che è “disceso all’inferno” e ha riaffermato la vicinanza di Dio proprio nel bel mezzo dell’abbandono in cui egli ci vuol lasciare?».
Suggerisco al lettore, disposto a sintonizzarsi con il sentimento dominante del nuovo papa, di tendere come un filo tra l’ultima Via crucis e Introduzione al cristianesimo e di seguirlo, quel filo, come traccia per esplorare la sua opera di teologo e di uomo di Chiesa.
L’invocazione al Signore perché si manifesti torna per esempio con i colori di pasqua in Meditazioni sulla settimana santa (1969, trad. it. Queriniana, Brescia 1971): «Fai brillare il mistero della tua gioia pasquale, come aurora del mattino, nei nostri giorni; concedici di poter essere veramente uomini pasquali in mezzo al Sabato santo della storia».
In Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio (2000, trad. it. San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 2001), dice che «accettare di essere attraversato dall’angoscia di ciò che oggi parla contro la fede e perseverare interiormente nella fede è una componente essenziale del mio compito» (31). Lo diceva di se stesso come custode della fede, ma forse lo direbbe anche ora che è papa. Così allora rispondeva alla domanda se sia possibile che «un papa» possa essere assalito dal dubbio e dall’incredulità: «Non dall’incredulità, ma che possa soffrire sotto il peso delle questioni che ostacolano la fede, lo si può ben immaginare» (ivi).
«È la fede che mi stupisce non l’incredulità». In questo libro si parla di lotta con Dio (28) e scontro con Dio (35), della nostra incapacità di comprenderlo (35), della sua estraneità, del suo apparirci talvolta indecifrabile (15), flebile e debole (65), fino all’intuizione che «grazie alla forza della preghiera, della fede e dell’amore Dio viene sollecitato a lasciarsi coinvolgere dalla storia del mondo, perché tra gli uomini si diffonda una scintilla della sua luce» (62).
Il giorno dell’elezione di Ratzinger a papa, il 19 aprile, RAI 1 mandò – poco dopo la fumata bianca – un’intervista del collega Giuseppe De Carli, che era stata preparata in vista di quel momento. Anche in essa il cardinale teologo parlava di Dio che «qualche volta si nasconde» e diceva queste altre parole, che dedico al lettore come motto per intendere l’anima del nuovo papa: «Ciò che mi stupisce non è l’incredulità ma la fede. Ciò che mi sorprende non è l’ateo, è il cristiano. Il mondo ci consiglia l’agnosticismo. Eppure, in un mondo così frammentato e oscuro, milioni di persone continuano a credere. Questo è un miracolo. È il segno che Dio opera in mezzo a noi» (in G. DE CARLI, Eminenza, mi permette?, Piemme, Casale Monferrato [AL] 2004, 23).
Il mio primo contatto con Joseph Ratzinger è avvenuto – per via libraria – il 6 luglio 1971: questa data è scritta sul frontespizio del libro che quel giorno acquistai alla libreria AVE di via della Conciliazione. Ero nella FUCI e con un gruppo di amici frequentavo Franco Rodano. Voleva sapere «che teologi» leggevamo. Qualcuno di noi leggeva Rahner, qualcuno von Balthasar: nella FUCI avevamo buoni suggeritori. Ma Rodano, che non era mai contento di quello che gli si diceva, buttò là questa sentenza: «Per un confronto vero della tradizione cristiana con la cultura di oggi, dovete leggere Introduzione al cristianesimo di Ratzinger». Corsi a comprarlo. Lo lessi. Sottolineai le frasi che ho citato sopra.
L’abbiamo messo come primo tra i papabili. Da allora l’ho sempre letto con frutto. Al momento dell’elezione a papa avevo in casa una decina di suoi volumi. Come vaticanista del Corriere della sera l’avevo intervistato nel maggio del 1986, in pieno caso Boff. Più volte l’ho ascoltato nella Sala stampa vaticana presentare documenti. Alcune volte l’ho incontrato, schivo e gentile, per le vie di Borgo Pio, a passeggio nel primo pomeriggio. Ho considerato un capolavoro di papa Wojtyla averlo coinvolto nel mea culpa, nella pubblicazione del segreto di Fatima, nella giornata di Assisi del 2002.
Quando al Corriere dovevamo scegliere 12 papabili, per tracciarne il profilo, l’abbiamo messo per primo. Ero sicuro che sarebbe stato votato. Non pensavo che sarebbe stato eletto. Immaginavo persino che non avrebbe accettato. Da quando è stato annunciato il suo nome devo occuparmi, come giornalista, di ciò che farà. Ma come cristiano attendo le sue parole sulla fede.
https://gpcentofanti.altervista.org/il-trapasso-di-benedetto-segni-da-custodire/
Qui sotto c’è una parte di risposta al nascondimento di Dio: può forse dipendere da una grazia che non c’è ma anche, magari, da ripiegamenti umani.
https://gpcentofanti.altervista.org/con-forti-grida-e-lacrime/
Le ultime parole di Benedetto : Gesu’ ti amo
Queste parole sono la chiave di tutte quelle pronunciate da lui , nella sua lunga vita prima .
Senza queste ultime parole,vdi fronte alla morte, quelle pronunciate prima sarebbero forse pura retorica.
E’ nell’ amore per Gesu’ la cifra di questo pontificato: Benedetto era un innamorato di Gesu’ . La Trilogia che ha dedicato a Gesu’ di Nazareth e’ il suo canto d’ amore.
Il papa presentato come il tipo razionale, cerebrale, intellettuale ,aveva un grande cuore . Amante.Un cuore appassionato .
Ovviamente il mondo che non l’ ha compreso da vivo ,non lo comprendera’ neppure da morto. La sorte dei grandi amanti non puo’ essere capita da chi ha il cuore di pietra.