Dal papa polacco al papa tedesco: quanto è avvenuto domenica in Polonia ha chiarito che il senso di questa successione ruota intorno alla “valle oscura” di Auschwitz, come Benedetto XVI ha chiamato – con un’espressione biblica – quel “luogo di orrore”. E’ dal momento dell’elezione – come confidò il 19 maggio dell’anno scorso – che il papa teologo si interroga sul “provvidenziale disegno divino” che ha voluto che “sulla Cattedra di Pietro a un pontefice polacco sia succeduto un cittadino di quella terra, la Germania, dove il regime nazista potè affermarsi con grande virulenza, attaccando poi le nazioni vicine, tra le quali in particolare la Polonia”. Domenica Benedetto XVI ha confidato un elemento della sua riflessione su quel disegno: che era un “suo dovere” andare ad Auschwitz come era stato “un dovere” per il predecessore polacco, di andarvi dunque “come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco”. Vista in prospettiva epocale l’avventura di questi due papi lega la vicenda cristiana di oggi alla grande prova della storia contemporanea: quella dello smarrimento abissale del nazismo. A protagonisti di questo raccordo sono stati chiamati un figlio della nazione che più ha sofferto per quella prova e un altro di quella che più ha fatto soffrire. Vivendo gli stessi sentimenti, parlando le stesse parole, impugnando la stessa croce, questi due uomini si adoperano a riconciliare coloro che erano nemici e a tenere aperta l’interrogazione sul male che si scatenò nella stagione della loro giovinezza. Se l’elezione del papa tedesco a 60 anni dalla seconda guerra mondiale può essere interpretata anche come una “legittimazione della Germania” sulla scena mondiale, più efficace, si è detto, dell’eventuale conquista di un seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu – ebbene forse domenica abbiamo visto che la successione dell’un papa all’altro può costituire un passo culminante, magari decisivo, nella riconciliazione tra il popolo polacco e il popolo tedesco, che non si sono mai amati nella storia. Più ampiamente, per l’intera umanità, la “preghiera” del papa tedesco nel campo di Auschwitz sta a dire che l’anima profonda della Germania non ha ancora portato a termine la sua dolorosa interrogazione sul “cumulo di crimini che non ha confronti” rappresentato dall’avventura nazista e la tiene aperta – quell’interrogazione – e non l’archivia, così come la tiene aperta la Chiesa cattolica, impegnando in essa le sue migliori energie, rappresentate dai primi due papi non italiani dell’epoca moderna. I due papi – appunto – che si sono succeduti intorno ad Auschwitz e che ad Auschwitz sono voluti andare, per chiedere a nome di tutti dove fosse Dio e dove fossero gli uomini quando si scatenò l’abisso di quella tragedia.