Il Corriere della Sera di ieri aveva a pagina 25 questo bellissimo titolo: “Può morire se sente un profumo. La donna allergica al mondo”. Si parla di Antonella Ciliberti, 34 anni, di Crocetta di Montello, Treviso, affetta da sensibilità chimica acuta, costretta a una vita decontaminata e chiusa al vento, ai fiori, a ogni turbamento dell’odorato. Ma ciò che mi interessa è l’efficacia del titolo che ne hanno tratto i miei colleghi titolisti, facendone una notizia fantastica alla Borges. Mi è tornato alla memoria quello che considero il migliore titolo mai letto sul mio giornale, che è del 24 gennaio 1979: “Addio, Dalì Dalì Dalissimo”, dominante una delle mitiche “terze pagine” del Corsera d’antan, nella quale Renato Barilli e Carlo Bo ricordavano il genialissimo Dalì in occasione della morte. Come già detto qui in più occasioni (vedi post del 6 agosto 2006 e dell’11 dicembre 2007), la bellezza è frequente e anche nei titoli dei giornali. Essendo uno degli sfoghi abituali dei lettori lamentarsi dei titoli, mi propongo di lenire il lamento proponendo – quando capita – l’uno o l’altro dei titoli migliori.
Dove si narra di una donna allergica al mondo
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Sul “Foglio” di oggi: Nove Colonne mette in prima pagina il “Solferino pride: La redazione del Corriere della Sera si colora d’azzurro”.
“… Francesco Verderami e Maria Teresa Meli, retroscenisti, hanno preso possesso della sede romana di piazza Venezia dove (…) hanno dato vita a un’oceanica manifestazione di giubilo davanti al portone di casa Berlusconi” (perbacco! ha già traslocato da via dell’Umiltà a Palazzo Venezia? prima ancora del ballottaggio?).
“Avventurosamente sfuggito al blitz, il vaticanista del Corriere Luigi Accattoli è passato alla clandestinità; pare che nel momento dell’assalto egli fosse fortunosamente fuori stanza, col pretesto di mostrare i tetti di Roma a un complice dal significativo nickname ‘il moralista’. Sul comunicato n. 1 della Resistenza campeggia lo slogan misterioso ‘Servite Domino in Laetitia”, e la firma fa riferimento a misteriose e incomprensibili ‘Brigate Ramorino’. I titolisti del Corriere – per i quali, chissà perché, il fuggiasco nutriva stima e simpatia – non hanno ancora deciso fra due proposte: ’25 aprile: una Resistenza d’Accatto(li)’ e ‘Il moralista d’accatto sul tetto che scotta’.”
Sump perchè il fuggiasco “nutriva”? Egli “nutre” tuttavia. – Nella mia copia del Foglio trovo un boxino anonimo e certamente interpolato che dice: “All’ora del giubilo azzuzzo si sono sottratti il vaticanista Accattoli e il vicedirettore ad personam Magdi Cristiano Allam, che si sono rifugiati nella cappella gentilizia di Palazzo Bonaparte le cui porte sono istoriate con le immagini di San Giuseppe e Santa Zenaide”.
Ho cercato sul “Foglio” notizie relative a Santa Zenaide ma non ne ho trovate. In un Martirologio d’antan trovo, in compenso, due sante con questo nome: una, sotto la data 5 giugno, martire in Cesarea con le compagne Ciria, Valeria e Marcia; l’altra, 11 ottobre, “consanguinea” e “discepola” di San Paolo, martire a Tarso con la sorella Filonilla.
Quale delle due, caro Luigi, ha ispirato le immagini che arricchiscono le porte della cappella?
Altre domande: come saltò in mente, a Giuseppe Bonaparte, di chiamare Zenaide una povera figliola? e la sorella di lei, Carlotta, fu così battezzata in omaggio al giovane Werther?
Tu mi dirai: ma che te ne importa? Il fatto è che ho ancora nelle orecchie le diverse decine di migliaia di “vaffa” dei grillini in trasferta torinese: in questi casi io reagisco o abbrutendomi nel vaniloquio, o rifugiandomi nella filologia e nell’erudizione.
Un giornalista non si rifiuta a nessuna questione ma non ho una risposta compiuta. L’immagine della Santa Zenaide che è a pochi metri dalla mia scrivania non ci aiuta a stabilire se sia quella festeggiata il 5 giugno o l’altra dell’11 ottobre. Ci segnala solo la palma del martirio, che però si addice ad ambedue. Ma qualcosa posso dire sul movente che indusse Giuseppe Bonaparte e la sposa Giulia Clary a chiamare Zenaide una delle figlie e credo sia lo stesso che ha fatto presente l’immagine della santa sulla porta della cappella gentilizia di cui parliamo: ho letto nel volume PALAZZO BONAPARTE A ROMA, Editalia 1981, che Letizia Bonaparte, madre di Napoleone e Giuseppe, era devota a Santa Zenaide e volle quell’immagine nel suo “oratorio” privato. Come volle l’immagine della santa in cappella, così ne avrà “voluto” il nome in famiglia. – Per i visitatori che ignorino i precedenti, segnalo i post del 25 e 30 marzo sulle meraviglie di Palazzo Bonaparte dove fortunosamente si è stabilita da una mese la redazione romana del Corriere delle Sera e io con essa.
Che le due sante martiri di nome Zenaide preghino per noi, che per un motivo o per l’altro viviamo “in necessitatibus”. E da parte nostra, un requiem per l’anima di Letizia e di tutti i napoleonidi.
A tutti gli accattolici, buona pasqua (ortodossa).
A proposito di pasqua ortodossa. Avete saputo che se le sono di nuovo suonate di santa ragione le due confessioni ortodosse. C’è stata una rissa tra sacerdoti armeni e greco-ortodossi all’interno della Basilica del Santo Sepolcro. Calci e pugni per una divergenza sui diritti di preghiera…
vi rendete conto ragazzi!?
Caro dottor Accattoli, sorvolerò sulla malattia di mia sorella Antonella e sul dolore della nostra famoglia e mi soffermarò sull’inutilità del suo articolo. Forse se la notizia invece che a pagina 25 fosse stata in prima pagina lei avrebbe provato un piacere ancora maggiore di quello che manifesta in quelle poche righe.
Le scrivo perchè da qualche giorno, navigando sul web alla ricerca di notizie sulla situazione, mi imbatto in commenti superficiali e talvolta ironici; la invito a mettere da parte il suo compiacimento sull’ “estetica” del pEzzo e a trattare l’argomento con la serietà che una malattia invalidante come la sensibilità chimica multipla richiede e merita. Milioni di persone (sono proprio milioni) che soffrono nell’indifferenza di tutti meritano rispetto……… sempre e comunque.
Caro Ciliberti, che il mio post fosse inutile ai fini della cura di sua sorella era ovvio a me e a tutti. Nè io ho alcuna competenza per occuparmi di tale malattia. Il rispetto tuttavia è fuori questione: l’articolo del “Corsera” era serio e io – nel mio piccolo – ho forse indotto qualcuno a leggerlo. Ma se sono sembrato irrispettoso chiedo scusa.