“Io, Dio e il virus – Cronaca semidemenziale di un contagio con grazie” è il titolo che don Valerio Bortolotti, parroco di Santa Maria Immacolata a Grottarossa, Roma, ha posto al racconto in Facebook della sua esperienza Covid: primi sintomi il 10 novembre, ricovero al Policlinico Umberto I il 19 novembre, dimesso il 1° dicembre. Il suo è un raro esempio di narrazione leggera, quasi scherzosa, di una vicenda drammatica. In quella narrazione egli chiama se stesso “don Viruslerio”, mettendo insieme Valerio e virus. Lo scherzo è nella formula narrativa, ma il contenuto della narrazione è serio. Nei commenti riporto il riassunto che lo stesso don Valerio ha fatto della sua esperienza in una conversazione con Marina Piccone per l’Osservatore Romano del 13 gennaio.
Don Valerio si fa cappellano clandestino al Policlinico
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Diceva messa di notte. Don Valerio 1. «Ero nel reparto covid a bassa intensità del Policlinico», racconta don Valerio. «Non ero particolarmente moribondo ma neanche granché vispo, mi stancavo facilmente se stavo troppo in piedi e, nei primi giorni, avevo la tosse e la febbre alta». Il bagno era fuori della stanza e questa circostanza ha fatto sì che il sacerdote avesse una certa libertà di movimento, che ha sfruttato per sostenere gli altri degenti e per svolgere il suo lavoro. Sì, perché don Valerio, nel preparare la valigia prima del ricovero, non ha mancato di inserire, fra un maglione e un pigiama, anche i ferri del mestiere: calice, ostie, vino e bottiglietta per l’acqua. Da un tavolino, trasformato in un altare, diceva messa, con un po’ d’affanno ma con tutti i crismi. E soprattutto di notte, «perché il cortisone tiene svegli» e perché, dopo i rituali medici quotidiani, si è un po’ più tranquilli. A fargli da guida nel reparto è stato Emanuele, il compagno di stanza: «raro esemplare di cattolico praticante», autista dell’Atac. Simpatico e socievole, è stato lui che gli ha presentato Nino, 88 anni, detto er Polpettone, per via della stazza imponente. «Fabbro di Borgo Pio, Nino è un uomo nobile d’animo e sereno, ancora molto innamorato di sua moglie, con cui è sposato da 72 anni», racconta nelle sue cronache “don Viruslerio”. Prima di morire, «il Signore deve farmela abbraccicà», ripeteva.
L’unico crocifisso del reparto. Don Valerio 2. Monica, unica donna del reparto, anziana e minuta, don Valerio l’ha conosciuta tramite una dottoressa infettivologa, gentile e amorevole: «Era allo stremo e io le ho dato l’unzione degli infermi mentre la dottoressa, diventata figlia, l’accarezzava. Dopo qualche giorno si è ripresa ed è diventata negativa. L’hanno portata in un altro reparto ma, appena arrivata, è morta. La notte le ho celebrato il funerale nella mia stanza». A don Valerio è capitato un’altra volta di dare l’estrema unzione. Ivano è arrivato al reparto sabato 21 novembre e il suo cuore si è fermato, in modo del tutto inatteso, domenica 22. «Sopra il suo letto c’era l’unico crocifisso del reparto. Non è morto da solo». Da quel giorno, il crocifisso di Ivano è stato appeso alla flebo del sacerdote, per una doppia infusione di cure. Don Valerio parla di un’esperienza ricca e profonda. «Mi sono sentito oggetto dell’amore di Dio, che si è manifestato in tutti i modi. Ero preoccupato per la parrocchia, invece, grazie a preti amici e a tanti volontari, l’attività è andata avanti benissimo e con frutti nuovi. Ora punto sulle cose importanti, sull’essenziale».
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-01/quo-009/calice-e-ostie-br-nel-reparto-covid.html
In Facebook è rintracciabile il pdf di tutta la cronaca semidemenziale di don Valerio: https://1drv.ms/b/s!AiGGPu66Rrv8jZMAoBMXa2nz_3Lb_Q?e=uJYjE4
Settantasette storie. Questa di don Valerio Bortolotti è la settantasettesima vicenda da Covid – 19 che racconto nel blog. Per vedere le altre vai al capitolo 22 “Storie di pandemia” della pagina “Cerco fatti di Vangelo” elencata sotto la mia foto:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/cerco-fatti-di-vangelo/22-storie-di-pandemia/