Essendo stato in Brasile con il papa (vedi post dal 10 al 14 maggio) affermo che è stato un viaggio importante con il quale Benedetto XVI ha riaffermato e fatta propria la scelta preferenziale per i poveri incoraggiando una “vicinanza” concreta alle loro necessità, ha onorato il martirio dell’arcivescovo Romero; ha invitato gli episcopati a far fronte agli abbandoni della Chiesa con una rinnovata evangelizzazione sottoponendo a critica la pastorale ordinaria e spronando a un rilancio missionario. Il tutto in sostanziale continuità con la predicazione latino-americana del predecessore. Come atti e gesti sono stati significativi la canonizzazione del primo santo brasiliano, Frei Antonio de Sant’Anna Galvao, conosciuto come “uomo di riconciliazione e di pace” e la visita alla Fazenda da Esperança, comunità di recupero per tossicodipendenti. In quella visita, sabato 12 a Guarantinguetà, si è visto un Benedetto straordinariamente emozionato dal prolungato colloquio con tutti i giovani presenti, portatori di storie terribili che in parte gli erano state narrate da loro stessi. In polemica con valutazioni apparse sui media aggiungo che non ha senso parlare di fallimento della missione papale per mancanza di folle, o di un irrigidimento integralista del papa teologo che avrebbe approfittato di questa occasione per chiudere i suoi vecchi conti con la teologia della liberazione, per fare marcia indietro sul riconoscimento wojtyliano di responsabilità cattoliche nell’oppressione degli indios e per estendere la scomunica dell’aborto ai parlamentari che ne votino le leggi.
(Segue come primo commento a questo post)
(Segue come svolgimento a quanto affermato nel post)
La vicinanza ai poveri Benedetto XVI l’ha così raccomandata nel discorso dell’11 maggio ai vescovi del Brasile: “La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il Vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il pane materiale”.
Indicando i poveri come “destinatari privilegiati del Vangelo” il papa teologo già fa sua, traducendola nel proprio linguaggio, la “scelta preferenziale per i poveri” che caratterizza la storia recente della cattolicità latina americana, ma nelle cinque giornate brasiliane non è mancata la citazione esplicita di quel motto, che così è stato ripreso nel discorso di apertura della Quinta conferenza dei vescovi latino-americani tenuto domenica 13 ad Aparecida: “L’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà”.
Forse più ancora di queste affermazioni, valgono a smentire chi vuole leggere in maniera regressiva il viaggio brasiliano del papa le parole sul martirio dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero dette in aereo ai giornalisti in risposta a una domanda sulla causa di beatificazione: “E’ stato certamente un grande testimone della fede, un uomo di grande virtù cristiana, che si è impegnato per la pace e contro la dittatura e che è stato ucciso durante la celebrazione della Messa. Quindi una morte veramente ‘credibile’, di testimonianza della fede”. Martire vuol dire “testimone” e dunque il papa considera Romero un martire.
Si è detto che il viaggio è stato un flop dal punto di vista delle folle, ma il papa era andato ad aprire la Quinta conferenza dell’episcopato latino-americano, non era là per radunare folle e gli 800 mila della canonizzazione di Frei Antonio a San Paolo l’11 maggio sono stati comunque una grande folla: otto volte piazza San Pietro quand’è piena!
E’ un’incomprensione – facilmente documentabile – la presunta estensione della scomunica ai votanti leggi d’aborto, un equivoco tra domande dei giornalisti e risposte del papa, sull’aereo che ci portava in Brasile, il 9 maggio e che è stato chiarito da una dichiarazione del portavoce padre Federico Lombardi durante quello stesso volo. Una domanda errata nel merito riguardava “la scomunica data ai deputati di Città del Messico sulla questione dell’aborto”, se il papa la condividesse; il papa ha risposto come se la domanda riguardasse la scomunica per chi procura l’aborto, l’unica prevista dal Codice – ha detto infatti, in sostanza, che la condivideva perché essa “sta semplicemente nel Diritto Canonico”; il portavoce ha chiarito che “siccome non c’è di fatto una dichiarazione di scomunica da parte dei vescovi messicani, non è stata nemmeno intenzione del papa dichiarare quella scomunica”. Mi pare tutto chiaro.
E’ dettata soltanto da spirito polemico l’affermazione che il papa abbia espresso posizioni integraliste paragonabili a quelle del fondamentalismo islamico. Valgano a smentita queste parole rivolte ad Aparecida il 13 maggio ai delegati degli episcopati latino-americani: “Questo lavoro (di elaborazione di strutture sociali giuste, ndr) non è competenza immediata della Chiesa. Il rispetto di una sana laicità – compresa la pluralità delle posizioni politiche – è essenziale alla tradizione cristiana autentica”. Non è fondamentalismo il richiamo ai “principi non negoziabili” e neanche il pari monito al marxismo e al comunismo, formulato con lo stesso linguaggio con cui l’aveva proposto decine di volte Giovanni Paolo II: “Qui (nella negazione di Dio, ndr) sta precisamente il grande errore delle tendenze dominanti nell’ultimo secolo, errore distruttivo, come dimostrano i risultati tanto dei sistemi marxisti quanto di quelli capitalisti”.
Infine la questione più ardua, legata a queste parole dette dal papa ad apertura della Quinta conferenza: “L’annuncio di Gesù e del suo Vangelo non comportò, in nessun momento, un’alienazione delle culture precolombiane, né fu un’imposizione di una cultura straniera”. Sono state lette come una negazione del mea culpa di papa Wojtyla, che più volte aveva parlato della necessità di “espiare” il “peccato” dell’oppressione di cui si erano resi responsabili i colonizzatori del nuovo mondo. Ma si tratta di una lettura sbagliata. Quel peccato è ben noto a papa Ratzinger, che già da carnale ne parlò più volte con parole chiarissime. Per esempio in Dio e il mondo (San Paolo 2001 a p. 273: “Nell’America del Sud il cristianesimo è giunto in parte sotto i fatali auspici delle spade spagnole”. In quella pagina si parla anche della Vergine di Guadalupe che ha aiutato i popoli latino-americani ad avere “una corretta comprensione del cristianesimo: ha cioè aperto loro uno squarcio sul vero volto di Dio che ci vuole salvare e non è al fianco dei distruttori della loro cultura”.
Le parole che hanno fatto scandalo vanno lette nell’insieme del paragrafo in cui sono state pronunciate, che mira a confutare la pretesa dell’indigenismo radicale che vorrebbe – dice il papa – “tornare a dare vita alle religioni precolombiane”, un’utopia la cui attuazione “non sarebbe un progresso, bensì un regresso, un’involuzione verso un momento storico ancorato nel passato”.
Una riprova convincente che il papa svolgeva un ragionamento di principio contro l’utopia del rifiuto del cristianesimo come “alienazione” e “cultura imposta” – e non intendeva negare le violenze dei colonizzatori – l’abbiamo dalla preghiera che conclude quel discorso, in cui tra l’altro si legge: “Resta, Signore, con quelli che nelle nostre società sono più vulnerabili; resta con i poveri e gli umili, con gli indigeni e gli afroamericani, che non sempre hanno trovato spazio e appoggio per esprimere la ricchezza della loro cultura e la saggezza della loro identità”. Insomma – viene a dire il papa conclusivamente – insieme alla predicazione del Vangelo ci fu violenza ed emarginazione, ma ciò non autorizza a dire che il Vangelo vada rigettato come alienazione venuta dal di fuori, perché tale non fu e tale non può essere.
Grazie Luigi, che ci racconti queste cose del viaggio di Benedetto XVI in Brasile. Altri tuoi colleghi mi hanno dato una versione del viaggio diversa, più amara potrei dire: bei discorsi qualcuno ha detto (qualcun altro neanche questo ha concesso) ma che potevano essere detti ovunque, perchè è mancato il contatto con la gente. Io non lo so. Restano molte cose che non comprendo di questo nostro Papa, lo devo ammettere. Questo insistere sulle unioni civili come ferita…ma perché non dire ai cristiani che i primi a ferire il matrimonio sono stati nella storia e sono spesso tutt’ora loro? Perchè soprattutto non rivolgersi mai – dico mai – a queste persone che convivono, perchè parlare sempre di loro e non parlare mai con loro, ai loro cuori? Ti ricordi quando a Roma, in San giovanni in Laterano, in una delle sue prime apparizioni pubbliche da pontefice, ebbe a dire che le unioni civili erano come una “metastasi” per il matrimonio? Mi ricordo ancora che un mio carissimo amico convivente, con una bimba piccola, mi mandò un sms: “Scusa se sono una metastasi per te e per tua moglie, se vuoi non ci vediamo più…”. Ecco allora perchè ti ringrazio, perché dici bene di Benedetto XVI e mi aiuti a pensarne bene. Ti voglio regalare, allora, un commento al suo libro su Gesù che credo ti piacerà molto. E’ di uno scrittore, poeta e critico letterario cattolico che forse tu conosci, si chiama Giovanni Casoli e scrive da anni su Cittanuova. Per me è da tempo un maestro e una guida. Il suo commento al libro di Benedetto XVI lotrovi a questo link: http://www.cittanuova.it/art_can01.asp?IDCanale=5&ID=16408
Un caro saluto
Alessandro
Credo che qui Luigi ci offra un ottimo esempio di una lettura intelligente, corretta, documentata, non faziosa né apologetica. La nostra informazione dovrebbe sempre essere così, anche se sicuramente ci vuole fatica e bravura.
– Nel nostro parlare bisognerebbe essere sempre il più chiari e il meno strumentalizzabili possibile. Specialmente quando le nostre parole “dicono” la fede, abbiamo una responsabilità immensa (e non solo se siamo papi, vescovi o parroci!), dobbiamo esserne degni. Non svendere neppure un frammento di ciò in cui crediamo, ma con intelligenza, equilibrio e un pizzico di furbizia. E con tanto amore per tutti i nostri interlocutori.
– Anche per questo concordo con Alessandro quando dice che bisognerebbe parlare più “con i” conviventi che “dei” conviventi, più – aggiungo – “con gli” omosessuali che “degli” omosessuali. Pensate se, per esempio, il papa scrivesse una “lettera agli omosessuali”, dicendo e spiegando che la Chiesa non può condividere le loro scelte di vita ma che comunque li ama e prega per loro nella loro situazione, con i loro limiti, i loro peccati e le loro sofferenze perché siamo tutti peccatori, limitati, feriti… Non sarebbe bellissimo e grande, senza essere per nulla una “concessione” all’errore, ma semplicemente “la verità nella carità”? (Non voglio insegnare il mestiere a nessuno, beninteso: era solo per fare un esempio. E poi un consiglio, in spirito di umiltà e obbedienza, è sempre lecito, almeno credo.)
Alessandro, dovresti indicarmi meglio la fonte di quelle parole del papa perchè io non le ricordo. Conosco una battuta similare dell’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra, riportata da “Bolognasette” – inserto settimanale bolognese di “Avvenire” – nell’edizione del 7 novembre 2004, in un editoriale sui Pacs: “L’identificazione del diritto con il desiderio è la vera metastasi delle nostre società occidentali”. Caffarra fu accusato ingiustamente di qualificare come cellule tumorali le coppie gay, con lo stesso transfert con cui ultimamente l’arcivescovo Bagnasco è stato messo alla gogna per aver detto – in merito ai Dico – che se accettiamo ogni scelta dei singoli non avremo argomenti per dire no all’incesto o a un eventuale partito dei pedofili. E’ stato accusato di paragonare le coppie di fatto agli incestuosi e ai pedofili, ma non aveva detto nulla di simile.
Ti ringrazio per la segnalazione di quel bell’articolo, che non avevo visto. Condivido l’idea di parlare ai conviventi e agli omosessuali ma non facciamone carico al papa, che magari verrebbe preso a male parole. Facciamolo noi, siamo perfettamente autorizzati e più liberi nell’approccio, sia di quanto possa esserlo il papa sia un vescovo o un semplice sacerdote.
Luca non sei d’accordo? Io già vedo sulle agenzie le ironie di Grillini e Cappato a commento di quell’eventuale lettera! Se una gran quantità di cristiani troverà le parole significative per quegli approcci nuovi, un giorno anche il papa potrà avventurarsi in essi.
Luigi
Dottor Accattoli,non so come ringraziarla per il suo commento al viaggio apostolico in Brasile.
Lei ci ha dato preziose indicazioni e dimostra di concedere al Papa quell’anticipo di simpatia che ci chiede.
Alessandro,non ricordo l’omelia a cui ti riferisci.La potresti indicare?Grazie.
Come mai affermi di non capire questo Papa,in che cosa si differenzia dai suoi predecessori?
Saluti MG
ringrazio anch’io Luigi per questo resoconto del viaggio. Ripercorre un pò quelle che erano state le mie stesse sensazioni e mi rassicura riguardo alla mia capacità di percepirne gesti e parole.
Ad Alessandro: non ricordo nemmeno io quelle parole pronunciate dal Papa. Vi prego, non cadiamo anche noi nel gioco di attribuirgli colpe anche per ciò che non dice.
A Luca: sulla lettera agli omosessuali la penso esattemente come te (mi hai tolto le parole di bocca). Non credo che parole dette da altri avrebbero lo stesso valore simbolico, con tutto il rispetto per chi le pronuncerebbe. Certo, il dissenso non mancherebbe, ma iniziare un dialogo con qualcuno presuppone comunque rivolgersi ad esso, riconoscendogli la dignità di persona, pur pensandola in maniera differente. Per esempio, molti degli omosessuali che partecipano alle manifestazioni, si lamentano del loro sentirsi esclusi dalla comunità cattolica e della completa assenza di solidarietà nei confronti delle aggressioni subite da alcuni di loro. Per ritorsione, si scagliano contro la Chiesa. E’ una via senza uscita, se la saggezza secolare non ci aiuta.
Da Antonio Peschechera – di Barletta – ricevo questo messaggio, che fa riferimento a un commento lasciato da Leonardo il 27 settembre (approfitto dell’occasione per mandare un saluto al caro Leonardo, che non leggiamo da qualche mese):
Peccato davvero peccato definire Sua Eccellenza Mons. Lefebvre “anziano, pio e ottuso” solo per il fatto di aver amato tantissimo la Chiesa cattolica e il suo sposo nostro Signore Gesù Cristo. Peccato perchè all’interno della chiesa cattolica c’è una tale anarchia che deriva soprattutto non dal Concilio Vaticano II in quanto tale ma da tutti i tentativi di attuazione dello stesso da parte da persone poco capaci. E che dire dei tantissimi vescovi che mentre proibiscono la celebrazione della messa di san Pio V, nemmeno fosse una cosa sporca da dimenticare, e poi nelle chiese delle loro diocesi si fanno messe karaoke celebrate da sacerdoti iscritti a rifondazione comunista, mai sospesi a divinis: lo sà Leonardo tutto questo? Antonio Peschechera da Barletta
Grazie Luigi per la sua bellissima sintesi. Valeva la pena aspettare qualche giorno.
Con l’occasione saluto Leonardo, e invito Antonio, dandogli il benvenuto, a non fermarsi a quella valutazione su Lefebvre ed a leggersi alcuni degli altri numerosissimi interventi di Leonardo nel blog. Era (anzi è) il nostro “ministro della tradizione” e garantisco che tutte le questioni sollevate da Antonio sono state da lui in gran parte condivise e criticate più e più volte.
Saluti
Fabrizio
Caro Luigi e cari tutti quanti avete avuto la bontà di rispondermi,
ho fatto un sforzo per recuperare la citazione che era in effetti imprecisa. “Metastasi” era la parola usata dal Cardinale Caffara, nel senso che Luigi diceva (ma su questo tornerei), mentre il Papa usa la parola “dissoluzione” (così pure il messaggino sms che citavo a memoria). Ecco la frase, dal discorso di apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su famiglia e comunità cristiana, 6 giugno 2005: “Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il “matrimonio di prova”, fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell’uomo….”. Il discorso è molto più lungo e articolato ma le sintesi dei giornali – come al solito – si fermarono all’associazione unioni libere-dissoluzione del matrimonio. Del modo di fare dei giornali sappiamo tutti. Dovrebbero saperlo ormai anche le nostre gerarchie e non limitarsi ad accusare i giornalisti di fraintendere o travisare (lo fanno anche i politici!!!). Quindi, per intendersi, attenzione a quando si usano le parole, le metafore e i ragionamenti per assurdo. Mi riferisco a Caffarra e a Bagnasco. Perchè attenzione? Perchè dall’altra parte ci sono delle persone, che vivono quelle parole, quei ragionamenti e quelle metafore come giudizi di condanna nei loro confronti. Ecco perchè, insisto, avverto l’urgenza che la nostra Chiesa si rivolga alle persone, ai coniventi e agli omosessuali, con parole di misericordia e di speranza.
Un suggerimento:mai fermarsi alle riduzioni dei giornali.
E’ facile prendersela con Papa Ratzinger,diciamo che è uno sport che per adesso “paga”.Trovo però che il gioco sia bello quando è corto…
Saluti MG
Cari amici,
sui complicatissimi temi che riguardano la Chiesa nel continente latinoamericano (mi appassionano tantissimo da diversi anni, perchè propongo con urgenza immediata e travogente questioni che noi trattiamo spesso al calduccio dei nostri salotti) c’è una sterminata letteratura.
Mi permetto intanto di consigliare due libri:
– la biografia di Romero di Morozzo della Rocca, edita da Mondadori (non ricordo il titolo esatto, ma si trova con facilità);
– il libro-intervista “Testimonianze”, del Cardinale Alfonso Lopez Trujillo, delle Edizioni Rinnovament nello Spirito; questo è più vecchio (’96), ma forse si rintraccia ancora: il punto di vista di Trujillo è interessante, perchè lui passa di solito per l’avversario più duro e più organizzato della teologia della liberazione; in ogni caso, è stato esperto e dirigente del CELAM, soprattutto negli anni cruciali delle Conferenze di Medellin e Puebla.
Leggeteli, vi troverete molte cose.
Roberto Morozzo della Rocca, Oscar Romero. Un vescovo centroamericano tra guerra fredda e rivoluzione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2003. Si tratta della biografia citata dal papa nella risposta in aereo alla domanda di un giornalista sulla causa di beatificazione di Romero, il 9 maggio, mentre volavamo verso il Brasile: “Sua Eccellenza Mons. Paglia mi ha inviato una biografia importante, che chiarisce molti punti della questione. Mons. Romero è stato certamente un grande testimone della fede, un uomo di grande virtù cristiana, che si è impegnato per la pace e contro la dittatura e che è stato ucciso durante la celebrazione della Messa. Quindi una morte veramente “credibile”, di testimonianza della fede. C’era il problema che una parte politica voleva prenderlo per sé come bandiera, come figura emblematica, ingiustamente. Come mettere in luce nel modo giusto la sua figura, riparandola da questi tentativi di strumentalizzazione? Questo è il problema. Lo si sta esaminando ed io aspetto con fiducia quanto dirà al riguardo la Congregazione delle Cause dei Santi”. Attenzione: l’intera “intervista” del papa con i giornalisti è consultabile nel sito vaticano, cercando SALA STAMPA – BOLLETTINO, alla data 10 maggio. Luigi
Oggi all’udienza generale il papa – in risposta a proteste che erano venute da politici latino-americani e associazioni indigene – ha chiarito, o interpretato, le affermazioni che aveva fatto ad Aparecida il 13 maggio: “Certo, il ricordo di un passato glorioso non può ignorare le ombre che accompagnarono l’opera di evangelizzazione del continente latinoamericano: non è possibile infatti dimenticare le sofferenze e le ingiustizie inflitte dai colonizzatori alle popolazioni indigene, spesso calpestate nei loro diritti umani fondamentali. Ma la doverosa menzione di tali crimini ingiustificabili – crimini peraltro già allora condannati da missionari come Bartolomeo de Las Casas e da teologi come Francesco da Vitoria dell’Università di Salamanca – non deve impedire di prender atto con gratitudine dell’opera meravigliosa compiuta dalla grazia divina tra quelle popolazioni nel corso di questi secoli. Il Vangelo è diventato così nel Continente l’elemento portante di una sintesi dinamica che, con varie sfaccettature a seconda delle diverse nazioni, esprime comunque l’identità dei popoli latinoamericani“. Come si può vedere sopra, il mio post interpretava le parole di Aparecida nel senso oggi chiarito da Benedetto. Luigi
Preciso solo che la biografia cui mi riferivo io era sempre di R. Morozzo della Rocca, ma il titolo è “Primero Dios – Vita di Oscar Romero”, ed è uscita per i tipi di Mondandori nel 2005.
L’autore è quindi il medesimo che cita Luigi, ma le opere sono differenti.
Giusto per evitare confusione a chi dovesse andare in libreria.
Caro Luigi, ho riletto con calma il suo commento sul viaggio in Brasile e mi è sembrato di notare un tono insolitamente polemico nei confronti di certe ricostruzioni giornalistiche, come se anche lei ormai non ne possa veramente più.
Istintivamente mi verrebbe da dirle “Era ora, benvenuto nel club”, ma allo stesso tempo le auguro di non perdere la sua pazienza e il suo equilibrio, che rappresentano per tutti noi un aiuto indispensabile per comprendere i punti di vista degli altri, anche quando hanno così poca aderenza alla realtà.
Saluti, Fabrizio
Grazie dell’augurio! E naturalmente anche dell’apprezzamento e di quelli di ogni altro visitatore. Tutti troppo buoni con me. Luigi
Francesco hai ragione tu: ho telefonato a Roberto Morozzo della Rocca, che mi ha detto che la biografia mandata dal vescovo Paglia al papa è il volume della Mondadori da te segnalato, mentre quello della San Paolo che avevo citato io è una raccolta di testi di più autori da lui curata. Saluti, Luigi
caro Luigi mi piace molto quando cerchi di vedere il buono in ogni persona, anch’io cerco con fatica di comportarmi in questo modo.
Sulla frase del Papa riguardo all’evangelizzazione dell’America Latina, mi pare nel migliore dei casi una frase infelice, come infelice fu l’esempio nel discorso di Ratisbona, (E di questo in un recente incontro del ns. circolo con un illustre Islamista ho chiesto un parere che concorda con quanto sopra).
Questo non per polemizzare, ma perchè le parole restano ed hanno un signioficatopreciso, basta leggerle, si parla al passato remoto nel caso dell’America Latina , poi ci sono le rettifiche, le spiegazioni, almeno nei discorsi ufficiali bisogna stare molto attenti ad ogniu singola frase….
Oggi 27 maggio 2007 sul corriere Sergio Romano commenta questo a mio avviso infortunio del Papa.
Sulla frase meno felice ci potremmo accordare. Ma che non avesse l’intenzione di negare il “mea culpa” wojtyliano mi pare ora del tutto chiarito e già sulla base di quel discorso sostanzialmente argomentabile. Un saluto di Pentecoste a tutti! Luigi
Luigi, da te c’è veramente da imparare, sai sempre sdrammatizzare le situazioni.
Spero di conoscerti di persona.
Sei a Roma qualche volta? Luigi
Molto raramente, abito in provincia di Bergamo, a Clusone.
comunque ci sarà l’occasione.
saluti
Non so nulla di Clusone, tranne che da voi – nell’Oratorio dei Disciplini – è conservato un “Trionfo della Morte” studiato da Arsenio Frugoni, che fu mio professore alla Sapienza, in epoca preistorica. Ne parlava giovedì scorso sulla Repubblica Salvatore Settis nel paginone Cultura. Sono sicuro che un giorno vedrò quell’affresco. Luigi