Un caro amico ventoso, Alver Metalli, ciellino estremo, pubblica ora con la San Paolo un eBook in doppia lingua italiana/spagnola: “Quarantena – Cuarentena”, sottotitolo Diario dalla “peste” in una bidonville argentina. Racconta di come provano a fare fronte alla pandemia in una delle periferie più abbandonate di Buenos Aires, dove l’arcivescovo Bergoglio aveva mandato un prete di strada divenuto famoso: padre Pepe. L’eBook ha la prefazione del Papa. In essa Francesco cita e ribalta una canzone dissacrante di Fabrizio De André, “La città vecchia”, che sarebbe la Genova sul porto. A sua volta la chitarrata genovese dolce nel suono e aspra nelle parole rimandava alla “Città vecchia” di Umberto Saba. Saba, De André, Metalli e Bergoglio tutti si chiedono che sappia Dio delle periferie o delle città vecchie. Per condire l’inaspettato richiamo del Papa a De André riporto nell’ordine: la poesia di Saba, due pezzi del cantare di Fabrizio, una scheda sul libro dell’Alver scapigliato, la prefazione di Francesco.
Da Saba e de Andrè via Alver Metalli fino a Bergoglio
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Città vecchia – di Umberto Saba
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
Umberto Saba, da “Trieste e una donna” (1910-1912)
La Città Vecchia – di Fabrizio De André – 1966
Nei quartieri dove il sole del buon Dio
Non da i suoi raggi
Ha già troppi impegni per scaldar la gente
D’altri paraggi
Una bimba canta la canzone antica
Della donnaccia
Quel che ancor non sai tu lo imparerai
Solo qui fra le mie braccia […]
Più d’una notte
Ti alzerai disfatto rimandando tutto
Al ventisette
Quando incasserai dilapiderai
Mezza pensione
Diecimila lire per sentirti dire
“Micio bello e bamboccione”
Se ti inoltrerai lungo le calate
Dei vecchi moli
In quell’aria spessa carica di sale
Gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri gli assassini
E il tipo strano
Quello che ha venduto per tremila lire
Sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai
Da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni
Più le spese
Ma se capirai se li cercherai
Fino in fondo
Se non sono gigli son pur sempre figli
Vittime di questo mondo
Alver Metalli, Quarantena – Cuarentena. Diario dalla “peste” in una bidonville argentina – Diario desde la “peste” en una villa miseria argentina, Edizioni San Paolo 2020, pp. 214, euro 6,99
ALVER METALLI ha esordito come giornalista a Roma nel 1978: seguiva l’America Latina per il settimanale “Il Sabato”. Fino al 1987 ha viaggiato tra Nicaragua, Salvador, Messico, Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Cile. Nel 1987 si è stabilito in Argentina e nel 1999 a Città del Messico, con un contratto Rai rinnovato per diciassette anni consecutivi. Dal 2002 nuovo trasferimento, a Montevideo, dove è rimasto fino al 2007, per poi tornare in Argentina, dove ora vive, in una baraccopoli alla periferia di Buenos Aires. Dal 2013 la collaborazione al portale «Vatican insider» e la direzione per cinque anni del sito d’informazione «Tierras de América». Ha scritto saggi sull’America Latina (Cronache centroamericane, L’America latina del secolo XXI, Il papa e il filosofo), libri per ragazzi (Lupo siberiano, La vecchia ferrovia inglese, Las dos Adelias), e i romanzi L’eredità di Madama, Gli dei inutili, Il giorno del giudizio, Isidora. Ha pubblicato inoltre la raccolta di racconti L’uomo dell’acqua e il libro Non aver paura di perdonare. Il «confessore del Papa» si racconta, con Andrea Tornielli.
Prefazione di Francesco 1. Ci farà bene leggere questo diario, che racconta giorno dopo giorno la “Cuarentena” vissuta in una delle villas miseria, le baraccopoli dove opera un gruppo di sacerdoti a cui voglio tanto bene. Sono mossi da una fede genuina in Gesù Cristo e da un grande amore per questa povera gente che vive in casupole e baracche ai margini della società.
L’autore del piccolo ma prezioso libro è un giornalista italo-argentino, Alver Metalli. Sei anni fa ha lasciato la sua bella casa in un quartiere residenziale di Buenos Aires per andare a vivere tra le catapecchie de “La Carcova”. Lo ha fatto perché è stato attratto dalla testimonianza di padre Pepe e ha sentito che così poteva meglio realizzare, con gioia, la sua vocazione cristiana, maturata alla scuola spirituale di don Giussani e dei suoi Memores.
Il Diario non racconta solo le storie drammatiche di tante donne e uomini della villa, fra droga, violenza e miseria. Ci fa vedere anche l’umanità bella di tanta gente che, attorno alla parrocchia, si prodiga tutti i giorni per aiutare chi è più bisognoso di aiuto. Tutti i giorni viene distribuito un pasto caldo a chi non ha più i soldi nemmeno per comprarsi qualcosa da mangiare: oltre duemila pasti, si apprende dalle note del diario. I volontari che preparano il cibo e lo distribuiscono non vengono dai quartieri bene, sono in buona parte persone del posto, gente umile che patisce le conseguenze della pandemia come tutti i loro vicini.
Prefazione di Francesco 2. “Tra loro” annota Alver, “ci sono muratori, domestiche, donne che prestano servizio in case benestanti dei quartieri vicini, impiegati comunali, qualche lavoratore del settore trasporti, e tanti altri che il lavoro non ce l’hanno e vivono di changas, come gli argentini chiamano quelle occupazioni precarie che aiutano a sbarcare il lunario. Per tutti il lavoro è sospeso e dedicano il loro tempo e le loro energie ad alleviare il bisogno degli altri”.
Un altro punto che la pandemia ha portato a galla sono le risorse di una religiosità popolare che innerva la vita del popolo delle villas, con i valori di solidarietà e vicinanza. Questo mi fa dire che a volte questi luoghi così poco considerati hanno molto da insegnare al resto della città. Questa religiosità, o pietà popolare, come tanto bene ha scritto Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi, “manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere…”.
Prefazione di Francesco 3. La cucina popolare – racconta il libro – non è l’unica opera di carità che praticano nelle villas. C’è un ricovero per gli alcolizzati e un Hogar de Cristo per chi è caduto nelle grinfie della droga. Poi ci sono i “vecchietti”, che si cerca di proteggere da un virus crudele che, ovunque nel mondo, ha fatto strage proprio delle persone più anziane e fragili: “Padre Pepe li ha mandati a chiamare uno ad uno nelle pieghe più recondite della villa. C’è chi vive solo, in baracche precarie, fredde d’inverno e afose in estate, alimentato dalla compassione dei vicini. E chi in nuclei familiari numerosi, com’è giusto che sia, con donne e bambini, in spazi ristretti, dov’è impossibile mantenere quelle distanze così raccomandate dalle autorità sanitarie con le misure di quarantena… Padre Pepe ha preparato per loro un posto dove possono stare fin quando la ‘peste’ non sarà passata”.
Proprio al sostentamento di questa casa per gli anziani l’autore dell’ebook ha deciso di destinare gli introiti della pubblicazione. Un motivo in più per leggere e diffondere questo Diario che ci mostra il volto avvincente e concreto di una “Chiesa povera e per i poveri”. I versi di un cantautore italiano, Fabrizio de André, raccontano di quartieri malfamati dove “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi” perché troppo impegnato a “scaldar la gente di altri paraggi”. Ecco, questo libro ci fa invece vedere come – attraverso il dono della testimonianza – non ci sia zona, per quanto oscura, dove un raggio del buon Dio non arrivi a riscaldare qualche cuore e illuminare esistenze altrimenti invisibili.
Ma Alver che nome è? Alver Metalli è nato a Riccione e suo padre, vecchio comunista romagnolo, gli mise quel nome “in sfregio al prete, pensando che avrebbe rifiutato di conferirgli il battesimo perchè a quel tempo in chiesa non si accettavano volentieri nomi estranei alla tradizione cristiana”. Il prete invece lo battezzò e poi “da ragazzo si convertì al cattolicesimo incontrando in Riviera alcuni giovani di CL”. Ho letto questo racconto nel libro di Lucio Brunelli, “Papa Francesco come l’ho conosciuto io” (San Paolo 2020), a pagina 49, dove Brunelli narra la relazione di Metalli con Bergoglio e padre Pepe a Buenos Aires.
https://commentovangelodelgiorno.altervista.org/commento-vangelo-23-maggio/
Ormai solo un Dio ci può salvare
http://gpcentofanti.altervista.org/ormai-solo-un-dio-ci-puo-salvare/
Utile questo aggiornamento che riduce un po’ tutta la mia ignoranza sui contemporanei.
Però tra la “poesia onesta” di Saba e i versi dozzinali di De André il dislivello è tale che i due non possono essere accomunati. E non è un’osservazione solo letteraria.
Amico ventoso. In riferimento alla prima riga del post – Un caro amico ventoso, Alver Metalli, ciellino estremo – mi è stato chiesto in privato che vogliano dire gli aggettivi “ventoso” ed “estremo”.
Alla prima domanda ho risposto con un sussiegoso rimando a Giovanni 3: “Del vento senti la voce ma non sai da dove viene né dove va”.
La seconda domanda è stata occasione per una puntigliosa referenza sulle anime cielline che qui riassumo alla buona: Alver Metalli è un ciellino estremo [celibe, missionario, poverazzo] come Lucio Brunelli [ vedilo nominato al commento 7: “Ma Alver che nome è?”] è un ciellino mediano.