Chi le parla è figlio di Emanuele Pacifici e nipote del Rabbino Capo di Genova Riccardo Pacifici, morto ad Auschwitz insieme alla moglie Wanda. Se sono qui a parlare da questo luogo sacro, è perché mio padre e mio zio Raffaele trovarono rifugio nel Convento delle Suore di Santa Marta a Firenze. Il debito di riconoscenza nei confronti di quell’Istituto religioso è immenso e il rapporto continua con le suore della nostra generazione. Lo Stato d’Israele ha conferito al Convento la Medaglia di Giusti fra le Nazioni. Questo non fu un caso isolato né in Italia né in altre parti d’Europa. Numerosi religiosi si adoperarono, a rischio della loro vita, per salvare dalla morte certa migliaia di ebrei, senza chiedere nulla in cambio. – Così ha parlato domenica il presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, salutando il papa. Nel primo commento al post, narro il salvataggio.
Così le suore salvarono i figli del rabbino Pacifici
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[Segue dal post] Ecco la storia del salvataggio dei fratelli Pacifici da parte delle suore di Settignano annunciata nel post.
Scatenata la caccia all’ebreo Emanuele e Raffaele, 12 e 5 anni, figli del rabbino di Genova Riccardo Pacifici, arrivano fuggiaschi a Firenze – insieme alla mamma Wanda – il 19 novembre 1943 e trovano un primo rifugio dalle suore Missionarie di Maria, in piazza del Carmine. Vengono accolti – su presentazione di don Leto Casini – dalla superiora madre Sandra Busnelli e dalla sua assistente suor Benedetta Vespignani. Ma vi passano una sola notte: in quella casa resta la mamma, che deve separarsi dai figli perché la stretta clausura impedisce che venga data ospitalità ai due figli maschi.
Emanuele e Raffaele già la mattina del 20 vengono trasferiti a un collegio maschile retto dalle suore dell’Istituto di Santa Marta, a Settignano, vicino Firenze, dove vengono presi in consegna da madre Marta Folcia e dove rimangono fino alla liberazione di Firenze. Il 26 novembre dal convento di piazza del Carmine la mamma telefona ai ragazzi informandoli che andrà a trovarli la domenica seguente: ma non la rivedranno più, perché verrà arrestata quella stessa notte e deportata ad Auschwitz dove già era stato internato il marito Riccardo. Poliziotti tedeschi accompagnati da italiani irrompono nel convento e catturano tutte le donne che vi sono rifugiate, tranne una che riesce a nascondersi e altre che si fanno passare per cittadine ungheresi.
Ai due ragazzi le suore danno un falso cognome: Pallini. Suor Cornelia – che si occupa di loro – li protegge dalla curiosità degli altri ragazzi facendo loro recitare di nascosto le preghiere in ebraico e dando anche a loro il crocifisso da baciare, la sera, per evitare che gli altri si accorgano che non sono cristiani, ma con uno stratagemma che rende innocuo il gesto: mette un dito sul crocifisso e dice a Emanuele e Raffaele di far finta di baciare il Cristo, poggiando le labbra sul suo dito.
Nell’aprile del 1944 soldati tedeschi entrano nella scuola delle suore di Settignano occupandone un’ala per un mese, ma senza accorgersi della presenza dei ragazzi ebrei. In giugno, con la liberazione di Firenze, passa per Settignano la Brigata Ebraica ed Emanuele riconoscendo le mostrine ebraiche si fa riconoscere per ebreo e chiese di essere condotto – insieme al fratello – da alcuni loro parenti romani. La vicenda del salvataggio operato dalle suore è narrata nel volume autobiografico di Emanuele Pacifici pubblicato dall’editrice Giuntina di Firenze nel 1993 con il titolo Non ti voltare. Ad apertura del volume si incontra questa bella dedica che menziona anche le suore di Settignano:
Ai sei milioni di ebrei morti nei campi di sterminio, vittime innocenti del razzismo nazista.
A tutti quelli che sono caduti in guerra innocentemente senza sapere perché.
A mia moglie Gioia, ai miei figli Miriam e Riccardo.
Alla memoria del mio caro fratello Raffaele e a Titti, Wanda e Daniel.
Alla memoria dei miei cari zii Fernanda, Giuditta, Enrico e Carlo.
A tutte le mie care Suore di Santa Marta.
Il “mio caro fratello Raffaele” è il fratello minore che fu con Emanuele ospite delle suore. Il figlio Riccardo è l’attuale presidente della Comunità ebraica romana che ha salutato il papa domenica in sinagoga.
Le notizie sui ragazzi Pacifici salvati dalle suore di Settignano, riportate nel commento precedente, le ho prese dal volume I Giusti d’Italia, Mondadori 2004, alle pagine 77-79; dal volume di Emanuele Pacifici, Non ti voltare, Giuntina, Firenze 1993; da un articolo di Fabrizio Caccia pubblicato sul Corriere della Sera del 18 gennaio 2010.
E’ un fatto di Vangelo, direi che non c’è dubbio.
Stupenda pagina di testimonianza
che mi fa stimare l’alta onesta’ di un ebreo,
che a sua volta diviene testimonianza vivente
dell’amore incondizionato
di una chiesa di popolo,
quella chiesa che è più a contatto con la gente di tutti i giorni,
con quella chiesa che è chiamata tutti i giorni ad accogliere,
e a pagare con la vita,
quella chiesa fatta di laici, religiosi o sacerdoti,
ma tutti chiesa.
Questa pagina mi aiuta a dirmi la mia identità di cristiano.
Sacerdoti, religiosi o laici cristiani, si devono confrontare personalmente tutti i giorni
con ogni “altra” persona,
diversamente da papi e governanti vari,
che nella assoluta maggioranza dei casi si mediano con gli “altri”
attraverso bagni di folla, televisioni.
Con il mio parroco posso ritrovarmi a pranzo insieme è abbastanza normale,
non è la normalità ritrovarsi a pranzo con il papa,
(infatti quando mi è capitato si era completamente al di fuori della normalità…..)
La verifica del mio essere chiesa nella chiesa,
avviene ogni giorno nel concreto,
nei piccoli atti,
non certo in una adunata di massa a fare la ola per il papa.
Un collega, cattolico sincero, oggi mi telefona,
non ci sentiamo da molto,
mi chiede:
“ma abbiamo bisogno di Pio XII beato o santo? è necessario che sia lui il mio modello di santità? Se è santo, non stà già bene?”
Già,
io non ne ho bisogno.
Come laico io ho bisogno di vedere altri laici come me,
che siano modelli a me vicino di santità.
(Un papa santo…. lo sarà per altri papi……,
per quanti ce ne siano in giro….)
“Se è santo, non stà già bene?”
Caro Matteo, così ragionando non ci sarebbe bisogno di nessun santo, né laico né chierico o Papa. La Congregazione per le cause dei Santi potrebbe essere soppressa e, di soppressione in soppressione, forse arriveremmo ad un nuovo modello di Chiesa. Per carità, alcuni ne sarebbero lieti ma – sono sincero – è uno scenario cui non voglio pensare.
Nell’ultimo numero della rivista dei paolini Paulus (www.paulusweb.net) -uscito proprio oggi- c’è un articolo sugli ebrei nascosti nella basilica di San Paolo Fuori le Mura e nell’Abbazia delle Tre Fontane, nei mesi dell’occupazione nazista di Roma.
Leggendo il post ho pensato: grazie Santa Marta… amica di Gesù e santa dell'”azione”.
Sulla porta dell’abbazia delle Tre Fontane mi pare di ricordare che ci fosse una lapide a nome della Famiglia Sonnino, nascosta proprio là
peccato, Gerry….
estrapolare dal contesto di quel che mi è parso di scrivere,
appropriandomi un ragionamento che svolgi solo da te.
peccato.
Mi piacerebbe che le cose venissero prese per quel che sono.
semplicemente.
senza arzigogolamenti.
O.T….ma non tanto
Il giorno 11 Gennaio 2010 è mancata, all’età di 100 anni, la signora Miep Gies, che è colei che ha preservato il diario di Anna Frank riconsegnandolo nelle mani di Otto Frank, quando fu chiaro che Anna era morta a Bergen-Belsen.
Ho seguito per anni questa donna e vi consiglio un occhiata al suo sito web:
http://www.miepgies.nl/en/
e la lettura del suo libro ” Anne Frank remembered”
Non si è mai considerata un’eroina o qualcuno che avesse fatto qualcosa di speciale. Ha sempre sostenuto con chiarezza di pensiero e profonda convinzione di aver agito con naturalezza perchè era la cosa più giusta da fare.
Quando si parla di altruismo, di aiuto, di abnegazione, di amore, si dovrebbe sempre fare il nome di Miep Gies. Secondo me queste sono le persone per cui si dovrebbero indire le cause di beatificazione, al di là della loro appartenenza religiosa, per aver praticato la fratellanza così come Gesù Cristo ce l’ha insegnata.
Ha impiegato 65 lunghi anni per riabbracciare la sua piccola Anna Frank.
@ Gerry & Matteo.
Interessante dibattito. Che testimonia di un imbarazzo tutto odierno. Imbarazzo che è entrato anche nella nostra liturgia. Ecco il prefazio comune IV: «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, lodarti e ringraziarti sempre per i tuoi benefici, Dio onnipotente ed eterno. Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva, per Cristo nostro Signore».
Che bisogno c’è di rivolgere la lode ed il redimento di grazie proprio all’Onnipotente ed Eterno? Gli diamo in più qualcosa? Dietro la domanda sta la risposta facile in agguato: se non servono a lui sono cose inutili e, al limite, dannose …
La risposta (difficile) la dà la liturgia stessa: il rendere grazie è dono di salvezza (anzi, c’è un ordine di reiterazione!); lungi da svalutare radicalmente l’azione, ne viene esaltato il ruolo imprescindibile e inalienabile …
I santi SONO modelli, a noi molto vicini, di santità.
Servono a noi per dirci che “e’ possibile”.
Non sono diversi da noi, hanno avuto molti doni “straordinari”, è vero, ma siamo sicuri di non averli anche noi?
Anche “l’improbabile” dono del “rispondere con il bene e bene” al male o al disprezzo è un “dono straordinario” che tutti abbiamo nascosto da qualche parte.
Quelli che sono stati messi nella “gloria del Bernini” sono solo coloro che hanno avuto il coraggio di “fare” ed “essere” Chiesa in modo pubblico. Sono santi “tirati fuori dal mucchio” dalla mano di Dio … ma nel mucchio ci sono un sacco di altri santi.
I santi pubblici sono quelli che il Signore ha “incaricato” di “raddrizzare le strade, colmare le valli, abbatere i monti”.
I santi servono … uuuhhhh se servono … solo che – come succede per Gesù – spesso “si svicola” con l’alibi del “Vabbè, ma quello/a era un/a santo/a!” … la stessa cosa che si dice di Gesù quando si parla di “imitazione”: “Ehhh vabbè, ma Lui era il Figlio di Dio!” …
Perchè noi “battezzati” chi siamo?
La santità passa dentro le nostre giornate, in cose banali come in quelle eccezionali … così come viene: non ha importanza cosa si fà, ma come lo si fà e questo “come” nasce dalla coscienza di “chi” si è.
Il salvataggio degli ebrei nascosti nella basilica paolina fu anche grazie a Vittorio De Sica : http://www.centrorsi.it/notizie/Informazioni-e-curiosita-editoriali-librarie/De-Sica-il-finto-film-e-gli-ebrei-salvati.html
Usò la basilica come “teatro di posa” per il suo film “La porta del cielo”
L’aneddoto – se così possiamo chiamarlo – su Vittorio De Sica l’avevo già sentito: grazie, Nino, per averlo confermato.
Bentornata, Marta/Lidia !
Buona notte !
Roberto 55
@ Matteo
non è che non volessi rispondere (tanto meno “giustificarmi”, perché credo di non aver scritto nulla che travisasse il tuo pensiero), semplicecemente sono stato “assente” (e spero che non ci voglia la giustificazione, come a scuola, ma confido nella magnanimità del Preside Luigi!) per il finesettimana.
Ho certo estrapolato, ma virgolettando ed in modo evidente, mentre il resto dell’argomentazione era esplicitamente mio, quindi non vedo quale “peccato” abbia potuto commettere: penso che dovresti convenirne. Ogni ragionamento nasce da un altro e così è stato, senza andar fuori tema, ma dando corpo a preoccupazioni, credo non solo mie, sul significato ed il valore della santità nel DNA della Chiesa cattolica.
P.S. Personalmente credo che tutte le cause di santità, ma in modo del tutto particolare quelle in cui il Servo di Dio da esaminare sia stato un Papa, dovrebbero essere svolte con grande cautela e non nell’immediatezza (salvo casi particolari, straordinari). Questa cautela mi pare si sia un po’ persa per strada, con le conseguenze che vediamo.