Intervento di Luigi Accattoli alla presentazione del volume Edizioni Polistampa 2017
“La politica come partecipazione. L’esperienza di Pier Giuseppe Sozzi
tra movimenti e organizzazione”
Mercoledì 21 giugno 2017 – Sede nazionale delle Acli – ore 18.00
Voi aclisti e già aclisti siete per me amici di una vita ma avete una virtù che io detesto, e che è quella di fare memoria, commemorare, rievocare. Scherzando dirò che voi siete una prova contro l’assioma che la memoria cancelli i fatti spiacevoli: a voi piace ricordarli.
Fuori di scherzo, la memoria degli anni a cavallo dei sessanta e settanta è memoria ferita per la cattolicità italiana. E voi lì, tenaci, a medicarla. Con una qualche voluptas dolendi.
Ricordo la chiamata a coordinare una serata delle ACLI a Vallombrosa nel trentennale del famoso convegno: il 31 agosto dell’anno duemila.
Rilessi in quell’occasione quanto trenta e più e meno anni prima avevo scritto su “Ricerca” e sul “Regno” a riguardo delle ACLI, seguendo il congresso di Torino che ruppe il collateralismo con la DC (1969), il convegno di Vallombrosa che propose l’ipotesi socialista” (1970) e la “deplorazione” di Paolo VI (1971), e via via – di dolore in dolore – fino appunto al Congresso di Gioventù aclista di Pescara (1973).
Ho riletto ora – a distanza ormai di 47 anni e poco più o poco meno – quei miei testi. Comprese le parole dette a Vallombrosa in quell’eroica serata memoriale. Lodai in essa le Acli per il coraggio di dedicare a quella stagione travagliata un “momento della memoria”, dove mi era stato affidato il compito di coordinare i racconti del vescovo Fernando Charrier (che nel 1970 era assistente di Gioventù aclista), di Emilio Gabaglio (il “giovane presidente” eletto dopo Torino) e del padre Bartolomeo Sorge, che il sostituto Benelli aveva voluto nel gruppo di ecclesiastici che “dialogava” con gli aclisti tra il 1970 e il 1971.
Quella sera a Vallombrosa udii una signora confidare agli amici che non sarebbe venuta al “momento della memoria”, perché aveva “sofferto troppo per quei fatti”. E un uomo della stessa età che diceva: “Sono curioso di vedere se il padre Sorge è ancora quello di allora”.
A me parve che lo fosse, quello d’allora, mosso come sempre da un’inquietudine che gli impedisce di adattarsi all’esistente. E anche Charrier e Gabaglio, nella loro sofferenza gemella, concordi tutti e due a non ritenerla inutile. E d’accordo anch’io che la Fuci, le Acli e l’Azione cattolica della scelta religiosa – e ogni altra famiglia che partecipò a quel travaglio – prepararono la comunità cattolica ai tempi nuovi della politica. Se la fine del partito cattolico non è stata traumatica, lo dobbiamo – io credo – ai gruppi che per tempo si erano presi il rischio delle scelte politiche, alla ricerca di una fedeltà creativa al nome cristiano.
Parole analoghe mi trovai a dire a un altro vostro incontro memoriale il 22 maggio 2009, qui a Roma, nel decennale della morte di Livio Labor.
Anche leggendo questo libro su Pier Giuseppe Sozzi ho ripetuto le parole sapienti del Salmo 90: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”. Tenere tutto dentro e purificarne la memoria, imparando la pietà per noi e per gli altri. Invocare il dono della sapienza per intendere gli errori di ieri e le possibilità di oggi. Guardare avanti a nome di tutti. Siete davvero tenaci, cari amici aclisti.
Nei testi di Pier Giuseppe Sozzi riletti ora ho creduto di trovare una faccia di straordinaria lontananza di linguaggio rispetto all’oggi politico e insieme una faccia di straordinaria attualità rispetto all’oggi della Chiesa.
Per la lontananza del linguaggio politico segnalo le pagine 76-79, dove sono riportate alcune pagine della relazione tenuta al XIII Congresso di Gioventù Aclista, Pescara 28 aprile 1973, recanti il titolo “Condizione giovanile e coscienza di classe”. Vi si leggono passaggi di quella “proposta alle nuove generazioni per l’unità della classe operaia e l’alternativa al capitalismo” che oggi ci appaiono tributari di un linguaggio quasi vetero-marxista, che risulterebbero totalmente improponibili a una qualsiasi assemblea giovanile dei nostri giorni.
Ecco a mo’ d’esempio un paragrafo intitolato “La gioventù meridionale”: “La centralità della questione del mezzogiorno come questione nazionale, da sempre presente nella coscienza del movimento operaio, riemerge oggi in modo particolare, sia dal punto di vista capitalistico delle forze reazionarie che ne hanno fatto il terreno di sperimentazione e di una ripresa di iniziativa complessiva, sia dal punto di vista della coscienza operaia, che oggi, per la prima volta, a livello di massa, avverte l’urgenza della costruzione di un’alleanza permanente con le masse sottoccupate, disoccupate e contadine del mezzogiorno come condizione per la costruzione del blocco storico alternativo” (p. 77). Il clima di quegli anni e la giovane età dell’autore e dei suoi collaboratori giustificano ad abbondanza questo linguaggio, che tuttavia non può non essere detto, oggi, totalmente fuori epoca.
Ma farò una segnalazione anche per l’attualità che mostra invece – dopo più di quarant’anni – il linguaggio di Pier Giuseppe Sozzi in materia ecclesiale. Ecco un brano nel quale argomenta sull’esperienza ecclesiale di Gioventù Aclista, che prendo sempre dalla relazione di Pescara e da un paragrafo intitolato “La nostra ispirazione cristiana”: “Il Dio della Bibbia interviene tutte le volte che il suo popolo è tentato di abbandonare il rischio dell’avventura, non accetta più di lasciarsi trasportare dal rischio della costruzione della storia come parte essenziale della storia della salvezza, preferendo rifugiarsi nella certezza della legge, sacralizzando le strutture, ponendosi come regno già realizzato, anziché essere segno e testimonianza fra gli uomini” (p. 129). Non sembra di sentire il linguaggio di Papa Bergoglio?
Come mai troviamo in Pier Giuseppe, cioè nella Gioventù Aclista di quattro decenni addietro, queste due facce contrastanti: lontananza del linguaggio politico e vicinanza di quello ecclesiale? Non so rispondere. Mi accontento di girarvi la domanda. Ipotizzo che questo divario possa dipendere dalla forte connotazione evangelica dell’esperienza aclista come Chiesa dei poveri, che bene si ritrova oggi nella proposta evangelica del Papa latinoamericano – e relativa improvvisazione, invece, della militanza a soggettiva proiezione rivoluzionaria della Gioventù Aclista che in quegli anni Pier Giuseppe si trovò a guidare.
Sulla Chiesa aveva buone frecce all’arco, sulla “lotta di classe” procedeva a tentoni.
Nota. I miei articoli sulla Gioventù Aclista di Pier Giuseppe Sozzi sono:
“Dove va Gioventù Aclista” su Il Regno 10/1973, pp. 235-237
“XIII° congresso di Gioventù Aclista” su “Ricerca” 8/1973, p. 15.