A nome della Giuria do il benvenuto ai detenuti – un centinaio – che sono presenti a questa premiazione: qui ci sono i volontari attivi in questo carcere, c’è una parte del personale del carcere, degli agenti di custodia, c’è il direttore con i suoi collaboratori; salutiamo tutti, ma per primi i detenuti, che sono i diretti interlocutori del premio. Noi giurati abbiamo letto e discusso per settimane e mesi i lavori che ci sono stati inviati in risposta al tema “Libertà perduta, libertà sperata: come riconquistata?”. Una formulazione che dev’essere risultata stimolante per le più varie situazioni vissute dai detenuti, dal momento che ha ottenuto un’ottima partecipazione rispetto alle nove precedenti edizioni del premio: abbiamo ricevuto oltre duecento testi tra narrativi, di riflessione e poetici, inviati da 198 concorrenti.
La Giuria parla attraverso le motivazioni dei premi, che tra poco verranno lette e non ha da fare altri discorsi. Ma voglio dire a nome dei colleghi un’impressione che abbiamo tratto dal lavoro di lettura, ovvero di ascolto dei partecipanti al concorso: abbiamo avuto l’impressione che frequente sia, nelle carceri, accanto alla giusta sete di libertà anche la consapevolezza – almeno germinale – della fatica necessaria a sperarla contro speranza e del cammino pur lungo che può condurre a riconquistarla. Una consapevolezza che ci è parsa più diffusa di quanto ci aspettassimo.
A noi giurati dispiace di disporre solo di tre premi e di dieci segnalazioni: i lavori sia premiati sia segnalati sono pubblicati nel volumetto che avete tra mano e di essi dà notizia il sito del Premio Castelli. Vorremmo onorarli tutti di un massimo di attenzione, i lavori che ci arrivano; e non è piccola la sofferenza di non poterlo fare, simile a quella di chi vede tante mani che chiedono e può riempirne solo tre, o dieci.
Parlando per me, le settimane in cui leggo le centinaia di lavori partecipanti al concorso mi immedesimo nel Pirandello della novella La tragedia di un personaggio (1911) che confessa disarmato: “E’ mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle. Cinque ore, dalle otto alle tredici. Non so perché, di solito accorre a queste mie udienze la gente più scontenta del mondo”.
Quella dello scrittore in ascolto dei personaggi è anche l’esperienza di noi giurati. Tra i concorrenti ci sono omicidi, spacciatori, mafiosi, scafisti, bancarottieri, ladri a vita e d’occasione, sentenze definitive e attese di giudizio. In certe giornate la lettura sembra trascinarti nelle bolge di Dante dove un’umanità dolente e furente si fa parola. A volte t’accorgi che le pagine che stai scorrendo non avranno premi ma le leggi con la stessa attenzione delle altre per non deludere chi è venuto a chiederti ascolto. E’ appunto l’esperienza di Pirandello autore alle prese con le persone che si rivolgono a lui per essere narrate e sono tante, tutte portatrici di storie tribolate, ma lui ne potrà scegliere una tra tutte, una sola per quella settimana.
In forza di quell’esperienza di lettura e di ascolto dei partecipanti al concorso, che con i loro lavori ci hanno chiesto di prestare attenzione alle proprie storie, invito i presenti a salutare con un applauso i detenuti che partecipano a questa mattinata di premiazione.