Paoline Multimedia – Via del Mascherino 94
Giovedì 19 aprile ore 18.30
Elisa Storace di TV2000 legge sei brani sui quali pone domande e io li commento in risposta alle domande.
- Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova.
“Universale vocazione alla santità nella Chiesa” è il titolo del capitolo 5 della “Lumen Gentium”. Sottotitolo dell’esortazione: “Sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo”. Il documento papale si presenta come un’attualizzazione della grande affermazione del Concilio “cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità” (paragrafo 2). La Chiesa ha sempre insegnato che la chiamata era per tutti, ma in tanti secoli l’accento era sulla chiamata, la nostra epoca lo mette invece sul “per tutti”. E’ una delle più importanti tra le affermazioni conciliari, in quanto riguarda l’universalità degli appartenenti alla Chiesa; ma è anche una delle più trascurate. Da qui l’importanza dell’attualizzazione che ne propone Francesco. Probabilmente un destino di sottovalutazione attende anche la “Gaudete”: non tocca grandi questioni disputate e il messaggio sulla chiamata alla santità risulta di poca attrazione anche all’interno della Chiesa. – Tornando alla relativa novità dell’affermazione conciliare e del testo di Francesco dirò che nei secoli gli appelli alla santità puntavano sulle “virtù eroiche” e la vita ordinaria raramente veste i panni dell’eroico. Si stabilivano precedenze negli stati di vita, si faceva difficoltà a riconoscere la santità vissuta nella vita ordinaria. I movimenti laicali, il protagonismo femminile (bello il paragrafo 12 dell’esortazione sugli stili femminili di santità), la valorizzazione del “bene possibile” che è in ogni vita umana sono le opportunità di oggi. Lo specifico di Papa Francesco è l’ultimo dei tre punti: quello del bene possibile.
Personalmente sono felice di questa valorizzazione del quotidiano. Le mie inchieste sui “fatti di Vangelo” puntavano a esso.
- In questo quadro, desidero richiamare l’attenzione su due falsificazioni della santità che potrebbero farci sbagliare strada: lo gnosticismo e il pelagianesimo. Sono due eresie sorte nei primi secoli cristiani, ma che continuano ad avere un’allarmante attualità.
Tra i cinque capitoli dell’esortazione, questo secondo sui due “sottili nemici della santità” è il più complesso alla lettura. Vi si trova la stessa difficoltà che il lettore divulgatore, quale potrei essere io, già aveva trovato nella lettera ai vescovi della Congregazione per la dottrina della fede intitolata “Placuit Deo”, pubblicata il 1° marzo. Provo a indicare l’anima di questo capitolo con i titoli di due paragrafi, uno sullo gnosticismo: “Una dottrina senza mistero”; l’altro sul pelagianesimo: “Una volontà senza umiltà”. Semplificando ancora dirò che il Papa qui segnala le tentazioni devianti, rispetto al discernimento della propria via di santità chiesto a ogni discepolo di Gesù; tentazioni che possono venire dalla sopravvalutazione dell’intelligenza e della volontà. Ovvero da un approccio alla vocazione cristiana che sopravvaluti la componente intellettuale, o quella morale. Scommettendo sulla “sicurezza dottrinale o disciplinare” (sono parole dell’esortazione) invece di affidarsi alla chiamata dello Spirito, che soffia dove vuole e che può trarre conversioni e santità da ogni vita, anche la più irregolare.
Esempio degli atteggiamenti che emergono dal dibattito che si svolge nel mio blog, dove non manca mai chi presume di poter ricondurre l’intero cristianesimo, che è una vita, a una serie di affermazioni dottrinali; o di precetti morali.
- La forza della testimonianza dei santi sta nel vivere le Beatitudini e la regola di comportamento del giudizio finale. Sono poche parole, semplici, ma pratiche e valide per tutti, perché il cristianesimo è fatto soprattutto per essere praticato, e se è anche oggetto di riflessione, ciò ha valore solo quando ci aiuta a vivere il Vangelo nella vita quotidiana.
Questo testo è la conclusione del capitolo 3 intitolato “Alla luce del Maestro”, che è il più bello dell’esortazione: sia nel senso di godibile alla lettura, sia nel senso di profittevole per la vita. Mi piace far risuonare la passione evangelica di Papa Francesco con i distici finali con i quali riassume l’esposizione di ognuna delle otto beatitudini secondo Matteo: “Essere poveri nel cuore, questo è santità […]. Reagire con umile mitezza, questo è santità […]. Saper piangere con gli altri, questo è santità […]. Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità […]. Guardare e agire con misericordia, questo è santità […]. Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questo è santità […]. Seminare pace intorno a noi, questo è santità” [67-89].
Mi sono trovato tante volte, come animatore di convegni giovanili, o campi estivi, a proporre sia le Beatitudini sia la Parabola del Regno come testo guida. Condivido dunque passionalmente, direi, il tentativo del Papa di stringere il Vangelo a queste due pagine. Un’audacia che prende esempio da quella di Francesco d’Assisi che lo stringeva alla pagina dell’invio dei discepoli, dove Gesù dice “non prendete né bisaccia, né bastone, né sandali”.
- […] Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è «gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17), perché «all’amore di carità segue necessariamente la gioia. – 129. Nello stesso tempo, la santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo.
La gioia e l’audacia: mi piace interpretarle nel concreto. Dico prima il concreto del Papa e poi il mio concreto
La gioia. Il Papa che è felice di fare il Papa: “Mi piace fare il Papa con lo stile del parroco” ha detto una volta e l’abbiamo visto domenica a Corviale di che sia fatta quella felicità. Segnalo questo motto che è nell’esortazione: “Dio ci vuole positivi, grati e non troppo complicati” (127).
L’audacia. Il Giovedì Santo, 29 marzo, Francesco ha detto ai carcerati al quali lavava i piedi: “Oggi Gesù ha rischiato in quest’uomo [che sono io], un peccatore, per venire da voi e dirvi che vi ama”. Farsi portatori della Parola di Dio è sempre un rischio, sia che tu parli ai carcerati, sia che parli a un figlio. O anche magari solo a tua moglie o a tuo marito.
Il mio concreto. Ogni volta che vedo la comodità di tacere e parlo, la facilità di stare fermo e mi muovo. In famiglia, in parrocchia. Il gruppo biblico che conduco. Mostrarmi in quella sede positivo, fiducioso nella parola del Signore: “Beati voi che piangete perché riderete”. Grato d’avermi guardato. Non troppo complicato.
- La vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita. – 59. Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia. Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male. – 161. Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea. Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti.
Francesco ci invita a intendere il principe del male come “un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore” (così nelle parole di Paolo VI che vengono citate nella nota 121). Non è facile seguirlo in questo insegnamento. Come non fu facile seguire Paolo VI, appunto. Il titolo del quinto capitolo dell’esortazione, dov’è questo richiamo all’entità diabolica, è una felice sintesi della teologia spirituale di Papa Francesco: “Combattimento, vigilanza e discernimento”. Parole di gesuita di vecchia scuola. Tra i tanti che obiettano a Francesco ci sono anche quelli che trovano inaccettabile – o quantomeno scomodo – questo suo attaccamento alla radice biblica della fede cristiana. L’accettazione dello spirito del male è parte dell’accettazione del mistero.
Personalmente non ho difficoltà a individuare il principe del male nel concreto dei giorni. Quando ci troviamo di fronte alla cattiveria immotivata, sia nel privato sia nel pubblico. Quando vediamo i figli che fuggono dall’insegnamento cristiano che abbiamo provato a trasmettergli. Quando sentiamo i grandi del mondo che giocano alla guerra.
- Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un dono che bisogna chiedere.
Discernimento, certamente. Non solo per tenere d’occhio il principe del male e riconoscerlo quand’è all’opera intorno a noi, ma anche per trovare la nostra via alla santità, la missione peculiare a cui siamo chiamati dallo Spirito. “Tutti siamo chiamati a essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza” (11). “Ogni santo è una missione” (19). “Progetto unico e irripetibile che Dio ha per ciascuno” (170). Discernimento come “uscita da noi stessi verso il mistero di Dio” (175). Come ascolto nel “silenzio della preghiera prolungata” (171). Sentiamo tutti i giorni le accuse fantastiche a Papa Francesco, che non hanno alcuna rispondenza nella sua predicazione: non ha spiritualità, nega la Madonna e i Santi, non crede in nulla che vada oltre i valori sociali, non sa neanche che sia la preghiera. Segniamo dunque in rosso queste parole: “Silenzio della preghiera prolungata”. Come sopra avevamo segnato quelle su Satana.
Conclusione. Sono felice di questo documento che non attirerà i media: non riguarda il governo della Chiesa, non annuncia riforme, non affronta direttamente questioni disputate. Ne sono felice perché appartiene al filone delle omelie di Santa Marta, della visita alle parrocchie, delle catechesi del mercoledì, dell’ordinaria predicazione del Papa incentrata sulla Scrittura e sulla figura di Cristo: quella che ritengo più feconda. E perché mira alla promozione della santità ordinaria e quotidiana dei cristiani comuni, che è quella di cui mi sono sempre occupato con la ricerca di storie di vita cristiana confluite nei tre volumi che ho pubblicato con il titolo Cerco fatti di Vangelo. A riprova di questa mira apostolica ordinaria, la presentazione del documento era affidata al vicario di Roma Angelo De Donatis, al giornalista Gianni Valente, a Paola Bignardi dell’Azione Cattolica italiana.
Sandro Magister (9 aprile) ha lamentato che quella presentazione sia stata “un esercizio del tutto inutile, sia per la nullità delle cose dette sia per l’insignificanza di chi le ha dette”. A me invece sono risultate utili a intendere la parola del pastore proprio in quanto provenienti da persone impegnate nella vita ordinaria della Chiesa e capaci – tutte e tre – di sottrarsi alla logica di alzare il tiro per attirare l’attenzione.