Presentazione del volume del cardinale Biffi “Lettere a una carmelitana scalza 1960-2013” (Itaca editore)

Biblioteca dell’Archiginnasio – piazza Galvani 1
Mercoledì 14 giugno 2017 – ore 17.45

Intervento di Luigi Accattoli

 

Do un’impressione generale sul volume, tento un approfondimento del conflitto Biffi-Dossetti, abbozzo un’applicazione all’Italia e alla Chiesa d’oggi.

 

Ricolloca la figura di Biffi

L’epistolario ricolloca – aiuta a ricollocare – la figura del cardinale Biffi sulla scena della vita pubblica italiana, nonché nella storia recente della cultura e della pietà. Ci mette per 53 anni in presa diretta con un uomo che non era facile conoscere occasionalmente o da lontano. Chiunque legga queste trecento pagine entra nella schiera di quanti ebbero la fortuna di conoscerlo da vicino e d’amarlo almeno un poco. O d’apprezzarne le straordinarie attitudini: io ero tra questi.

Giacomo Biffi non era riconducibile alla figura di “vescovo reazionario” su cui amava motteggiare (pp. 101 e 145) e che i media hanno fatto propria e hanno ingigantito fino a oscurare ogni altro aspetto. Il libro illumina gli altri aspetti.

Questa lettura è stata per me una festa che ne valeva due: una festa della lingua e una festa dell’amicizia.

Festa dell’amicizia perché sono amico d’ambedue gli autori del volume: incontrai la prima volta Biffi all’indomani della nomina a Bologna (1984) e sono in corrispondenza con Emanuela Ghini da quasi trent’anni. Ho consuetudine con il cardinale Caffarra e con l’arcivescovo Zuppi che firmano la prefazione e la post-fazione, nonché con i due presentatori laici che siedono a questo tavolo, Lucetta Scaraffia e Giuliano Ferrara, già compagni di scrivania o di pagina al “Corriere della Sera”. Forse non mi è mai capitato di leggere un libro in compagnia di tanti amici.

Ma la lettura è stata anche una festa della lingua perché i due autori, Giacomo Biffi ed Emanuela Ghini, sono veri scrittori e sanno di esserlo. La loro non è mai una bella pagina fine a se stessa, non sono scrittori disimpegnati. Ricorrono all’arte della scrittura per capirsi, per collaborare, per restare vicini in vicende che tendono ad allontanarli. Perché la loro relazione non è sempre pacifica ma anche conflittuale.

Il volume ha 128 lettere di Biffi e 17 della Ghini e documenta come nei decenni tra loro crescano sia l’affetto sia alcune divergenze. La coltivazione dell’amicizia li avvicina mentre alcuni convincimenti confliggono in maniera via via più chiara. Il maggior dramma arriva alla fine con lo scontro su Dossetti.

L’originalità e la forza della scrittura di Biffi è nota. Ne do un saggio. Quando incontra per la prima volta Papa Wojtyla, Biffi lo descrive così ad Emanuela: “È davvero un uomo magnifico: riesce a incantare anche me, con l’affabilità, la bontà, la scioltezza dalle forme, con le splendide risonanze di una bellissima voce, con l’intelligenza degli occhi” (pagina 25). Evidenzio “intelligenza degli occhi”.

Anche per Emanuela offro un solo saggio di scrittura: “Il tempo di Dio è sempre una grande medicina, così ho lasciato che il Signore mi consolasse per l’immenso dolore che mi hanno dato molte delle sue parole sul santo Giuseppe Dossetti. Da anni mi pare di non aver sofferto tanto; ho perfino pianto, io che ignoro purtroppo il dono delle lacrime. Segnalo “il tempo di Dio”.

 

Biffi che giudica Dossetti post mortem

Ed eccoci introdotti, dalla citazione della carmelitana, al secondo tema della mia conversazione. Tra le vicende anche aspre della cattolicità italiana al cambio del millennio una delle più drammatiche è stata la deplorazione post mortem della teologia di Dossetti da parte del cardinale Biffi: questo fatto è al cuore del carteggio.

Dossetti muore nel 1996 e Biffi gli sopravvive per quasi vent’anni. In vita avevano collaborato ma dopo aver lasciato nel 2003 l’episcopato attivo il cardinale rivede il proprio giudizio e consegna all’autobiografia [“Memorie e digressioni di un italiano cardinale”, Cantagalli editore, 2007 e 2010] un’aspra stroncatura della teologia dossettiana che reputa “non conforme alla Rivelazione” e “ideologicamente condizionata” (p. 256).

Dal silenzio del monastero Emanuela prende la difesa del monaco di Monteveglio che ora “non aveva più la possibilità di spiegarsi” (p. 250). Lo prega di interrogarsi “se non sarebbe stato meglio pubblicarle [quelle “pagine dure”] con un Dossetti in vita” (p. 267). Nega che don Giuseppe nella sua ricerca di Dio si sia lasciato condizionare dall’ideologia: può aver “rischiato di incorrere nella tentazione dell’ideologia”, ma “ritengo non vi sia caduto” (ivi). Gli chiede di inviare un “cenno di calore umano” ai consacrati delle “famiglie” dossettiane sconcertati dal contenuto delle Memorie (p. 283). Ma il cardinale resta irremovibile.

La carmelitana – che ha curato il volume delle lettere – considera Biffi un maestro, ma è figlia spirituale di Dossetti, che l’ha iniziata alla vita monastica. La sua protesta a nome dell’uno nei confronti dell’altro è ardimentosa: “La mia sofferenza non include assolutamente alcuna valutazione dei suoi giudizi […]. Neppure sul modo mi permetto di esprimere riserve; la mia desolazione ha ragioni molto più profonde, indicibili. Chiedo allo Spirito […] di fargliele intuire, perché anche lei possa pregare per me” (p. 253).

Lei è un’interlocutrice impegnativa per il cardinale, anzi una collaboratrice: ha curato tre antologie di suoi testi. Ma soprattutto si vogliono bene e da decenni si aiutano con la fedeltà dell’amicizia a crescere nella fedeltà alle rispettive vocazioni. Tant’è che il cardinale è indotto a giustificarsi.

Confida alla monaca che anche per lui “è stato drammatico” affrontare nelle Memorie “il caso ecclesiale di don Dossetti”. Ricorda che don Giuseppe “è entrato nella mia vita intellettuale quando non avevo ancora vent’anni e non ne è uscito più”. Rivendica la “stima reciproca che non ha avuto ombre”, la sua concessione dell’approvazione canonica alla comunità dossettiana: “Alla quale ho anche affidato la custodia orante dei luoghi sacri di Monte Sole”.

Ed ecco il punto dolente: “Sulla virtù personale di don Giuseppe, sulla sua ascesi, sulla sua rigorosa coerenza cristiana ho dato nelle mie pagine attestazioni convinte e inequivocabili. Tanto più è stato angosciante l’avvedermi che la sua visione teologica (e particolarmente la sua ecclesiologia) non mi pareva conforme alla Rivelazione ed era ideologicamente condizionata. E mi sono reso conto che toccava a me l’ingrato compito di un chiarimento che potesse almeno per il futuro limitare i gravi inconvenienti di una prospettiva non oggettivamente illuminata, anche se soggettivamente generosa” (pp. 255s).

Ma come Biffi non si sposta nonostante la protesta della monaca, neanche questa si accontenta della giustificazione del cardinale e così chiude la trattazione della vicenda, narrando di una telefonata: “Avvertii che padre Giacomo – sempre si rivolge a lui con questo appellativo filiale – aveva capito la mia critica alle sue crude riserve su Giuseppe Dossetti come mossa solo dall’amicizia. Sono convinta che non abbia realmente conosciuto il santo monaco di Monteveglio e Monte Sole e che d’altra parte abbia creduto di adempiere alla sua missione agendo come ha fatto” (p. 258).

Con la stessa fermezza la monaca difende dai giudizi affettuosi e aspri del cardinale il vescovo Luigi Bettazzi, anch’egli fraterno amico di ambedue fin dalla giovinezza: Bettazzi, assistente della Fuci di Bologna, e compagno di Università della giovane Ghini dai suoi 19/20 anni, aveva invitato Biffi a tenere una conferenza in città “verso il 1960” (p. 16). Per Biffi il confratello vescovo Bettazzi è un uomo di “bontà e candore” che “non riesce a vedere la devastazione che si va compiendo in questi anni nella cristianità” (p. 111). Parole taglianti per la monaca che ama profondamente “don Luigi”, primo sacerdote entrato nella sua vita e a cui deve il Vangelo.

 

Applicazione all’Italia e alla Chiesa d’oggi

Dal carteggio apprendiamo che ci fu una faccia drammatica nella deplorazione post mortem di Dossetti da parte di Biffi che ci era finora sconosciuta. Apprendiamo anche che due uomini di Chiesa così diversi possono avere a discepola una donna che riesce a tenerli uniti nel cuore nonostante il loro oggettivo conflitto. Una donna e chissà quanti altri, uomini e donne, in Bologna e altrove, che continuano a considerarli ambedue – Dossetti e Biffi – “padri” pur nella separazione. Che in questo caso è una separazione delle memorie più che delle persone.

Lo scambio di lettere che presentiamo mostra che l’apprezzamento e l’amicizia, nella Chiesa come ovunque, possono andare oltre la condivisione; possano cioè sussistere e anzi crescere nonostante il conflitto, anche quando non possono vincerlo. Ed è un insegnamento di pregio negli anni di Papa Bergoglio, di sicuro i più conflittuali che abbiamo conosciuto dopo la chiusura del Vaticano II.

Forse le parole più significative sulla possibilità di aiutarsi nel conflitto sono queste, che la curatrice del volume scrive al “padre Giacomo” il 21 ottobre 2009, in uno dei momenti tesi dello scontro su don Giuseppe: “Non so dirle quanto sgomento da un lato e serenità dall’altro mi dia la percezione del limite umano nelle persone più amate e più importanti per il mio cammino cristiano. Lacera, ma è bello, LUI solo è luce; tutti, anche i maestri, ne sono pallidi riverberi”.

Per profittare delle diversità irriducibili occorre relativizzarle: è questa la lezione del carteggio. Si tratti pure delle eredità di maestri come Dossetti e Biffi.