Parabola delle due figlie

Per un incontro biblico dell’Associazione Mambre
presso la Certosa di Vigano – Sabato 13 marzo 2010

Una mamma sola aveva due figlie, Marta la più grande e Sara la minore. Un giorno Marta – che stava per compiere 18 anni – le disse:
–  Mamma, ti avverto fin d’ora: io non voglio fare l’università, ma voglio andare a vivere a Londra.
–  A Londra? E perché?
–  E’ una città che ho sempre voluto conoscere, la più cosmopolita del mondo.
–  Per quello che ne possiamo approfittare noi, anche Roma lo è.
–  Ma io non voglio restare qui. Non ci trovo significato a prendere una laurea facendo questa vita.
–  Che pensi di fare a Londra?
–  Non lo so, ma sarà un’altra vita!
–  Sarà tutto più difficile. Non parli l’inglese e non conosci nessuno…
–  Mi piace arrangiarmi, la lingua sono sicura che l’imparo subito.
–  Quella città è enorme e chi va alla ventura capita male. Ho letto un libro sui ragazzi italiani che lassù finiscono in carcere…
–  Io ci vado lo stesso.
Presa la maturità e compiuti i 18 anni Marta disse alla mamma: “Ora sono maggiorenne e decido io. L’anno scorso hai speso mille euro per la mia vacanza con i compagni di classe. Dammi altri mille euro e io parto per Londra”.
La mamma le fece una carta prepagata e la caricò con mille euro. Marta partì e non fece sapere più nulla per mesi. Fece la sguattera per dieci ore al giorno nella cucina di un ristorante. Dormiva in un ostello autogestito e quando la pagavano veniva derubata nel sonno. Da un furto venne una rissa e il carcere.
La mamma corse a cercarla quando le arrivò una comunicazione dal consolato italiano di Londra. Pagò un avvocato, riuscì a cavarla dal carcere e la riportò a Roma.
Una volta a casa la mamma volle ridarle la stanza che occupava prima di partire e che intanto era passata a Sara. Sara era combattuta tra la contentezza di riavere con sé la sorella e la delusione per aver perso quella stanza tutta per sé. Abbracciò la sorella ma pianse la prima notte in cui dovette tornare a dormire con la mamma, che era contentissima e continuava a dire: “La tua sorella è tornata, non sei contenta?”
Un anno dopo anche Sara divenne maggiorenne e potè tornare nella stanza lasciata libera dalla sorella che intanto era andata a convivere con un uomo sposato e separato, molto più grande di lei. La convivenza durò cinque anni e al sesto Marta tornò dalla mamma e dalla sorella – che sì e no aveva salutato per telefono una volta all’anno – perché aveva litigato con quell’uomo che l’aveva cacciata.
Arrivò di sera senza preavviso e suonò al citofono. Sarà andò a rispondere e gridò: “Mamma c’è tua figlia!”
Marta piangeva sulla soglia ma la mamma fu contentissima e l’abbracciò a lungo e la fece dormire con sé nel suo letto.
Il giorno dopo raccontò la vita dura che aveva fatto con quell’uomo e la lite perché quello la trattava come un oggetto.
La mamma le disse: “Questa è casa tua”. La sorella minore restò silenziosa.
Dopo tre mesi Marta di nuovo se ne andò, perché aveva trovato un altro uomo. E dopo altri tre mesi ritornò. E così continuò tra fughe e rientri, finchè finì di nuovo in carcere – stavolta per la droga di cui si era fatta spacciatrice – e la mamma viaggiava di notte per andarla a trovare e pagava gli avvocati per aiutarla a uscire.
Intanto Sara si era sposata e aveva avuto due figli. Un giorno andò dalla mamma e le disse: “Non puoi continuare così. Devi mettere alle strette quella tua figlia: o mette la testa a posto o tu non la rincorri e non la spesi più”.
“Questo non si può fare con una figlia” fu la risposta della mamma.
“E allora continuerai a correre dietro di lei come una scema! Per me e per i miei figli non hai mai neanche uno spicciolo, mentre per quella sei capace di spendere tutto”.
Una volta che Marta, la più grande, era in casa, distrutta da una crisi di astinenza, Sara arrivò per caso – non sapeva del suo rientro – e quando la vide le disse: “Guarda come ti sei ridotta! Non ti vergogni? E metti in croce la mia povera mamma”.
Poi disse alla mamma: “O la cacci di casa o io non verrò più da te”. La mamma non la cacciò e la figlia minore non volle più mettere piede dove stava la maggiore.

Nota
La parabola è costruita su tre spunti reali presi dalla vita dei nostri giorni: i ragazzi che vogliono “andare in un paese lontano” quando diventano maggiorenni: gli argomenti per andare a Londra sono di una mia figlia; la vicenda reale di un ragazzo che conosco, finito in carcere a Londra e recuperato dal papà; la disputa tra due figlie una giudiziosa e una fuggiasca, dove la giudiziosa accusa i genitori di debolezza nei confronti dell’altra: mi fu narrata dalla “giudiziosa” una volta che si rivolse a me per avere consiglio.
Ho adattato gli spunti forniti dalla realtà a una costruzione a specchio rispetto alla parabola di Luca 15, 11ss:
–  lì il misericordioso è il padre e qui è la madre,
–  li si tratta di una famiglia di proprietari terrieri e qui di una famiglia relativamente povera,
–  lì sono in contrasto due figli e qui due figlie,
–  lì il fuggiasco è il minore e qui la maggiore,
–  lì il padre attende il ritorno del figlio qui invece la mamma va a cercare la figlia,
–  quel padre riaccoglie il figlio una volta mentre questa madre lo fa sette volte sette.
Il gioco dei rimandi fornisce un elemento di comprensione forse efficace della storia proposta da Gesù: lì il colmo dell’abiezione è indicato dal ruolo infamante di guardiano di porci, qui da quello altrettanto odioso dello spacciatore di droga.
Gli elementi reali presi dalla vita di oggi e la costruzione a specchio rispetto al racconto evangelico tendono a mostrare la varietà odierna dei comportamenti che chiedono misericordia e l’identica difficoltà che l’umanità di oggi incontra nell’intendere la misericordia divina di cui quella genitoriale è immagine.

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