L’Italia e la “Gioia del Vangelo” negli anni di Papa Francesco

 

Conversazione con la Fraternità degli Anawin

San Giovanni Battista dei Genovesi in Roma – sabato 11 novembre 2017

 

Il rapporto di Francesco con l’Italia è problematico, segnato da contagio popolare e laico e da disagio ecclesiastico e identitario. Contagio e disagio che mi paiono ambedue in crescita.

Molte voci antifrancesco sono italiane.

E’ ragionevole che il vasto programma di “riforma della Chiesa in uscita missionaria”, abbozzato dal Papa argentino, provochi maggiore reazione nei paesi dove la situazione della Chiesa Cattolica è più costituita, più antica, più radicata, più capillare. E questa è scuramente l’Italia.

La simpatia popolare verso Papa Francesco in Italia è vasta ma a dominante disimpegnata. Da tifo a distanza più che da conversione pastorale, o da rivoluzione culturale. Speculare ad essa è l’allarme o anche solo la diffidenza del mondo ecclesiastico e dei cattolici identitari, che sono di meno – molto meno numerosi – rispetto ai simpatizzanti, ma più motivati.

Sono colpito dall’inerzia collegiale dell’episcopato in riferimento alle sollecitazioni papali, ma anche dalla più generale apatia comunitaria. Ora, con la presidenza Bassetti, forse le cose cambieranno. Ma osservo che il nuovo presidente che si è insediato a maggio ha già più volte segnalato la stanchezza e la lentezza di cui sto parlando.

Inerzia collegiale di fronte alla spinta di Francesco all’uscita missionaria: ripetutamente ha dovuto chiedere che si svolgesse un lavoro sinodale sulla “Evangelii gaudium”, non c’è stata rispondenza neanche sulla riduzione del numero delle diocesi e sulla revisione dello statuto in vista della designazione del vertice Cei. Lo statuto è stato rivisto ma non secondo il suggerimento papale.

Apatia comunitaria: l’appello di Francesco per l’accoglienza dei rifugiati nelle parrocchie non ha avuto affatto una buona risposta, nel microcosmo ha avuto scarsa eco anche la chiamata alla consultazione per la nomina del nuovo vicario di Roma.

Più ampiamente direi che nella comunità cattolica italiana non si coglie, o non si coglie appieno la gravità della crisi o del passaggio epocale che stiamo vivendo e dunque non si coglie neanche l’opportunità rappresentata da questo Papa. Non la si coglie né a destra né a sinistra.

A destra si fa finta che le cose andassero bene prima, a sinistra si finge di credere che vadano bene adesso. Se qualcuno poi non finge ma crede davvero che andasse tutto bene prima, o che tutto vada bene ora, l’incomprensione ovviamente sarebbe più grave.

Più volte Francesco ha lodato l’Italia per l’accoglienza dei profughi e dei migranti. Mai è intervenuto in vista di nostri appuntamenti legislativi o elettorali. Lo sganciamento dal progetto culturale e dalla battaglia condotta dai Papi precedenti sui valori non negoziabili è stato tranciante e forse provvidenziale ma ne è venuto un effetto immediato di silenzio della Chiesa sulla scena pubblica che non soddisfa nessuno. Credo non soddisfi neanche il Papa.

In particolare è venuta meno la voce pubblica dell’episcopato. La via indicata da Francesco sarebbe: testimonio e affermo i valori, li promuovo fattualmente ma non faccio battaglia ideologica né schieramento politico. La cessazione della battaglia e dello schieramento sono evidenti, ma la testimonianza e l’affermazione in positivo non si vedono affatto.

La nessuna eco pubblica avuta dalla Settimana sociale dei cattolici italiani che si è fatta a Cagliari dal 25 al 29 ottobre segnala alla perfezione l’incapacità della nostra comunità ecclesiale di parlare al Paese. E lo stesso si può dire del convegno ecclesiale romano pur gestito dal nuovo vicario: il 23 ottobre l’arcivescovo Angelo De Donatis ha fatto un bellissimo discorso, ma l’occasione di parlare alla città non è stata colta.

Io credo che dietro all’evidenza di tale indebolimento della Chiesa sulla scena pubblica ci sia un logico ridimensionamento della percezione della presenza cristiana nel paese, ovvero una riconduzione di quella presenza alla reale sua consistenza, che è fortemente in calo nella società secolarizzata; percezione che in precedenza era nascosta dalla martellante affermazione politica; ma credo anche che vi sia un effetto di raddoppio di quell’indebolimento dovuto all’impreparazione a farsi sentire al di fuori dell’affermazione ideologica e politica. Il disagio dei cattolici identitari ha qui un fecondo terreno, e dunque la sua crescita è scontata.

Ma va segnalato che anche il contagio profondo esercitato da Francesco è in crescita. Crescita lenta, un po’ come la ripresa economica dell’Italia. Lenta e tuttavia reale. A Milano il 25 marzo abbiamo visto una viva, ampia, pastosa rispondenza del popolo ambrosiano alla predicazione papale. Una rispondenza che si è espressa in ogni appuntamento di quella giornata, ha avuto risonanze nelle persone coinvolte, ha comportato ripensamenti verso Francesco di tanti che fino ad allora erano incerti. “Francesco lo sto scoprendo ora” ha detto all’Avvenire del 25 marzo (che era il giorno della visita) il cardinale Scola.

 

Dalla macrochiesa alla microchiesa

Questo è il quadro ampio della mia veduta che però – da qui in avanti – vorrebbe essere più di microchiesa che di macrochiesa e riguarderà più il ruolo dei cristiani comuni più che le responsabilità episcopali e comunitarie.

“La Gioia del Vangelo” [Evangelii Gaudium] come programma del Pontificato e manifesto della Chiesa in uscita missionaria: questo è il faro dal quale mi farò guidare.

Come parola chiave dell’esortazione propongo il titoletto “riforma della Chiesa in uscita missionaria”, che è la prima delle questioni che Francesco elenca a sommario del suo testo (paragrafo 17). Questione poi trattata nell’intero capitolo primo dell’esortazione, il più importante dei cinque, che ha il titolo “La trasformazione missionaria della Chiesa” (Paragrafi 20-49).

Applicata alla parrocchia o al piccolo gruppo ecclesiale l’uscita chiesta dal Papa l’intendo come apertura di una porta in ognuna delle attività che già si svolgono, o come l’introduzione di qualche nuova attività se non ve ne fosse nessuna rivolta ai non praticanti e ai non credenti. Una parrocchia o altra microcomunità associativa o amicale non può limitarsi a servire i praticanti abituali, o a raccogliere solo chi è già coinvolto.

Il testo principe di riferimento è al paragrafo 27: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di ‘uscita’ e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia”.

La mia riflessione mira a mostrare la portata dell’espressione usata dal Papa “trasformare ogni cosa” quando sia applicata alla parrocchia o alle microcomunità: farò esempi. Andrò dal più semplice al più complesso. Dalla porta della chiesa al portale internet, per intenderci.

Porta della chiesa. “La Chiesa è chiamata a essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire un mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa”: “La gioia del Vangelo” 47. Il mio parroco, al centro di Roma, pratica l’apertura continuata [dalle 07.00 alle 22.00 durante la settimana; dalle 07.00 alle 24.00 sabato e domenica] e sostiene che il criterio nello stabilirne i tempi dovrebbe essere questo: finché intorno c’è gente. Ma la porta aperta e non vigilata non è pericolosa? In tante chiese di tanti luoghi si fanno turni per garantire la presenza di un gruppo di persone nelle ore più scomode dell’adorazione perpetua. Io credo che analoghi turni potrebbero aiutare i parroci a tenere aperte le chiese parrocchiali nelle ore della pausa pranzo e la sera oltre l’ora della messa.

Un microgruppo ecclesiale può offrirsi al parroco per gestire l’ampliamento dell’orario di apertura della chiesa o di accessibilità della segreteria parrocchiale che riceve le persone, o quantomeno risponde al telefono. Lo possono fare anche volontari che svolgono un lavoro a domicilio, e anche persone disabili (che magari sarebbero felici di dare una mano), in modo che non sia una voce registrata a rispondere a chi chiama la parrocchia.

Gruppi di partecipazione. C’è un gruppo biblico, o liturgico, o culturale, o dei “nuovi media”: proporre che ammetta non praticanti e non credenti comunque interessati, e li cerchi; o alterni alle proprie riunioni delle altre aperte ai partecipanti non abituali e non interni. “Ma quelli non vengono”: si tratterà di creare occasioni cinematografiche, ricreative, conviviali perché vengano. Si offre una pizza ai partecipanti, si programma la visione di un film.

Attività caritative. Lo stesso e ancor più si potrebbe tentare con il gruppo caritativo, o con il Centro Caritas: studiarsi di assistere, per ogni nostro povero, un povero sconosciuto, non cristiano. Nel giro delle straniere vi sono prostitute minorenni, o mamme sole con bambini: le agganceremo. Inviteremo a unirsi alle nostre attività persone lontane, ma che potrebbero avere un interesse personale, culturale, sociale ad aiutare il prossimo. Potrebbe essere una via della pastorale giovanile.

Iniziative straordinarie. Pellegrinaggi, gite, visite guidate, sagre, lotterie, feste patronali, festicciole dell’oratorio, tavolate estive all’aria aperta: avere cura che in ognuna di queste attività – e altre simili – vi sia un elemento di uscita: l’invito concreto, diretto, ad personam a qualcuno che non è mai venuto e mai verrebbe se non invitato. Gesù a Zaccheo: “Scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Alla samaritana: “Dammi da bere”. L’offerta di pagargli il biglietto purché venga. Un pellegrinaggio a Lourdes potrebbe essere l’occasione per agganciare una persona sofferente, un pellegrinaggio in Terra Santa potrebbe essere adatto per qualcuno dei giovani che hanno appena abbandonato la pratica domenicale.

Dal bollettino a internet. Se la parrocchia o il gruppo ha un qualche strumento di comunicazione, anche lì occorrerà impostare il lavoro in modo che il messaggio sia rivolto a tutti, interni ed esterni alla vita della comunità. E non solo, ma ci si potrebbe proporre anche di ospitare e far collaborare al bollettino parrocchiale o del gruppo – o al sito della parrocchia o del gruppo – chi non è praticante e anche chi non è cattolico. Poniamo che si affronti la questione della presenza dei Rom o degli immigrati nel quartiere, e che a una nostra assemblea abbia partecipato qualcuno che guarda le nostre cose da fuori: ecco, se del caso costui o costoro potrebbero essere invitati a intervenire.

Uscite da inventare. Il Papa ci chiede di “andare sempre dai non credenti” e noi, invece, ci andiamo poco o magari non ci andiamo mai. Se non ci andiamo mai, sarà necessario sperimentare qualche uscita in questa direzione. Per esempio invitando ad attività sociali e culturali anche chi non viene in chiesa. E’ possibile un “Cortile dei Gentili” in parrocchia o nel gruppo? Proviamoci chiamando a dialogo ospiti laici e anche laicisti (cioè critici e anche avversi alla presenza della Chiesa nella società), al duplice scopo di interloquire con loro e di mostrare pedagogicamente ai parrocchiani le modalità possibili di tale interlocuzione. Aiuto la mia parrocchia romana nelle attività culturali, alle quali il parroco lungo l’ultimo anno ha invitato una volta Walter Veltroni e un’altra Marco Politi. Ma possiamo farlo davvero? Non è imprudente? Non solo possiamo ma dobbiamo farlo, con prudenza ma anche con coraggio, se vogliamo portare a tutti il messaggio, altrimenti lo porteremo soltanto a chi è nel libro dei battesimi. “Per dialogare bisogna abbassare le difese e aprire le porte”, ha detto Francesco agli Scrittori della “Civiltà Cattolica” il 14 giugno 2013.

Scalfari Pannella Bonino. Papa Francesco che parla con Eugenio Scalfari e telefona a Marco Pannella o invita Emma Bonino a un incontro nell’Aula Nervi può essere un modello per questa uscita verso i non credenti: egli compie quei gesti per dire a tutti – anche ai parroci e ai parrocchiani – “fate come me”. Una parrocchia o un gruppo parleranno e telefoneranno agli Scalfari e ai Pannella e alle Bonino del loro territorio o del loro ambiente. Un lavoro analogo – più frequente – si dovrà tentare nei confronti di credenti non praticanti o persone in situazione irregolare rispetto alle leggi della Chiesa: non allontanarle, non scoraggiarle – coinvolgerle, corteggiarle. Se scoprissimo che una coppia omosessuale ha con sé un bambino, offriamoci di accompagnare la sua “iniziazione cristiana”, se ciò fosse desiderato. Proporlo, intanto. Esempi dati dal Papa dell’uscita: – battesimo a bambina di coppia non sposata in chiesa; – promessa del battesimo a figlia di ragazza madre già divorziata che gliene aveva parlato per lettera; – attenzione ai divorziati che chiedono di fare i padrini e le madrine per battesimi e cresime; – accoglienza a preti sposati in occasione del 50° di messa dei loro confratelli; incontro con un transessuale nel gennaio 2016; – incontro con le famiglie di un gruppo di preti che avevano lasciato il ministero come ultimo “venerdì della misericordia” dell’anno santo il novembre scorso.

Nella via e nella piazza. Ancora una parola del Papa sull’iniziativa missionaria che ogni battezzato dovrebbe poter esercitare: “C’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. E’ la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione […] e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada. In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore. Solo dopo tale conversazione è possibile presentare la Parola” [“La Gioia del Vangelo” 127s].

Conclusione. Per una parrocchia o un gruppo – per tutti noi, anche singles – il cambiamento dell’uscita missionaria è grande trasformazione. Si tratta di uscire non soltanto dai confini di una pratica e di un ambiente, ma innanzitutto da un linguaggio, da una mentalità, da un metodo. Passare dal modello di Chiesa costituita della tradizione europea al modello della comunità missionaria. Da una Chiesa che segna i confini e rimpiange la vecchia società a matrice cristiana, a una comunità che cerca ogni via per farsi lievito in una società che non è più a dominante cristiana.

Contribuiamo a creare nel nostro quartiere un clima di incontro in cui sia possibile parlare anche della fede cristiana tra credenti e non credenti, eliminando per quanto ci riguarda le distanze non necessarie rispetto a chi non è sulle nostre posizioni: “Noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una ‘cultura dell’incontro’, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza” (Francesco il 18 maggio 2013).

Procederemo pragmaticamente, prestando attenzione – poniamo – alle sofferenze e a ogni ingiustizia anche quando non si hanno le risorse né le parole per andare oltre l’espressione della solidarietà. Si attesta comunque fratellanza. Si offre un abbraccio. Si fa sentire qualcosa del calore di famiglia che caratterizza la comunità della parrocchia.