Introduzione al Convegno “Esercizi di libertà”
in occasione della consegna del Premio Castelli
Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova
Venerdì 6 ottobre 2017 – ore 15.00
Mi assegno – per questa relazione introduttiva – un ruolo di passaggio, ovvero di cerniera, tra l’evento della mattinata, cioè la premiazione dei vincitori del Premio Carlo Castelli e questo convegno: e dunque in forza di questa scelta il tema “Libertà da chi e da cosa” lo tratto dal punto di vista dei detenuti che hanno partecipato al nostro concorso: 198, e quasi tutti hanno detto che cosa sia per loro la libertà. Di tre abbiamo dato conto stamane, premiandoli, altri dieci sono nella pubblicazione che abbiamo distribuito e due di essi sono stati letti qui qualche ora fa dai loro stessi autori, che sono in questo carcere; ma non è giusto lasciare all’oblio tutti gli altri.
Mi faccio dunque loro portavoce e mettendo insieme i tanti spunti formulo questo sommario enunciativo in cinque affermazioni:
Sarai libero
(1) se riuscirai a scampare alle costrizioni materiali che ti isolano dal mondo libero;
(2) se vincerai l’illusione delle libertà facili e della libertà solo per te;
(3) se controllerai la paura di essere libero, che è paura di sé e del mondo di fuori;
(4) se ridimensionerai la mania del possesso e potrai dirti “libero dentro”;
(5) se terrai a bada te stesso e sarai infine “libero da te stesso”.
Riducendo a una le affermazioni di tutti dico così, sempre parlando a nome dei concorrenti: il cammino alla conquista della vera libertà è bene avviato quando ci rendiamo conto che la libertà è paragonabile alla vita, sconfinata e fragile come la vita: come non ci sono vite facili, così non ci sono libertà scontate; e come la vita fisica è solo una premessa per la pienezza di vita, così la libertà fisica, del corpo, di movimento non è che una condizione per una piena libertà umana che va oltre la sfera della realtà che si vede e si tocca.
Per ognuna delle cinque facce della libertà poste in risalto dai lavori dei partecipanti al concorso darò ora una breve antologia di brani, riportando frasi tra virgolette, ma senza indicare i titoli dei lavori, i nomi degli autori, gli istituti di provenienza.
- Sarai libero se riuscirai a scampare alle costrizioni materiali del cemento e del ferro che ti isolano dal mondo.
E’ il capitolo più trattato. Generalmente svolto come lamento sulla libertà perduta. Ecco l’attacco di un lavoro che somiglia ad altre decine di narrazioni che ci sono arrivate: “Ho 19 anni e la mia libertà l’ho persa l’8 ottobre del 2016 e da queste sbarre vi racconto la mia storia”.
Faccio una lunga citazione da uno dei lavori che riassume bene i paragrafi della lamentazione sulla libertà perduta, dal non poter raggiungere i familiari al non poter scampare a compagnie forzate portatrici di varie negatività: “Bisogna soffrire, perché solo così si può capire ciò che si è fatto e cosa ci siamo persi e ci stiamo tuttora perdendo […]. Con chi me la posso prendere se non con me stesso per non aver potuto salutare i miei nonni, che anche in punto di morte chiedevano di me? […] Durante questa lunga carcerazione ho capito quanto sia importante la libertà fisica, comunicativa e tutte le altre forme di libertà conosciute […]. Purtroppo l’ambiente carcerario non è affatto facile, soprattutto per le varie tipologie di personaggi che lo popolano, ognuno con le sue problematiche, che ti tocca subire visto che non possiamo andare da nessuna parte, essendo questa una convivenza forzata. Io vorrei starmene per fatti miei sereno e tranquillo ma non è possibile ed è anche per questo motivo che non vedo l’ora che questo incubo finisca”.
Si partecipa al concorso anche con composizioni poetiche ed è in una di queste che abbiamo letto una toccante immagine di libertà di movimento vista da dietro le sbarre, impersonata da colei che l’autore ama: “E’ bello vederti in libertà / sei come una farfalla che vola qua e là / vola e va”.
- Sarai libero se vincerai l’illusione delle libertà facili, illimitatamente disponibili e immediatamente fruibili, delle libertà che sono solo per te e che fatalmente contrastano o ledono le libertà altrui.
La vita è piena di libertà illusorie e “la libertà – scrive un concorrente – è paragonabile alla vita”. Ma il paragone che viene spontaneo ai più tra i nostri autori è quello tra la libertà di un tempo e l’attuale privazione di quella libertà, che però – precisano in molti – non vuol dire privazione di ogni libertà. C’è persino chi svolge a suo vantaggio il paragone tra il dentro e il fuori, che in questi lavori è sempre un confronto carico di pedagogie: “Da tempo, fuori, una parte di me pensava di uscire dalla routine quotidiana, di fare un’altra vita. Ora tutto mi sembra quadrare. Finalmente sono libero”.
Il paragone con il passato spinge a rivedere le illusioni di un tempo: “Non avevo perso la libertà, non ne ero mai stato in possesso”. “C’era una volta una donna che si chiamava libera ma libera non era”. “All’esterno di queste mura non si è molto più liberi”. Il concorrente al quale è andato il primo premio argomenta che la libertà non è l’immobilismo del carcere “ma non è neppure la folle corsa del fuori”.
La libertà è sconfinata e non finiamo mai di conquistarla. L’anelito totale alla libertà, quale può essere avvertito con i due polmoni solo nella privazione, spinge a utopie scatenanti: “Sentirsi sconfinatamente liberi, sia noi sia gli altri”. Su questa frontiera della libertà condivisa ecco un altro spunto costruttivo: “Educare alla libertà vuol dire avere e dare alcune regole affinchè siano liberi anche gli altri”. Il carcere – argomenta un concorrente riflessivo – dovrebbe aiutare a intendere “se sia conciliabile la libertà individuale, del singolo uomo, con quella sociale di tutti”.
- Sarai libero se controllerai la paura di essere libero, che è l’altra faccia dell’abisso umano: cioè se troverai in te il coraggio di camminarla con le tue gambe, la libertà, senza chiuderti a riccio, e di costruirla giorno dopo giorno.
“Servono le istruzioni per l’uso della libertà”, scrive un concorrente che ha meditato sugli errori che in mancanza di tali istruzioni l’hanno portato a perderla. Ma quella perdita invita anche a meditare sul “coraggio di essere libero”: non manca tra i concorrenti chi accenna allo smarrimento che prevede lo sorprenderà il giorno in cui tornerà libero, avendo sperimentato come la libertà sia “pericolosa”. Un concorrente la chiama “maledetta”. Un altro riconosce che per lui è stata “dannosa”. Un terzo dice che la sua divenne “criminale” e lo portò al crimine. “Oggi la libertà fisica mi fa paura” riassume efficacemente il lavoro che ha avuto il primo premio.
La riflessione sugli errori compiuti a motivo di una libertà sregolata, o in suo nome, apre alla consapevolezza che tutti siamo “condannati a essere liberi”: un concorrente mette queste parole a sottotitolo del suo lavoro. E’ un’affermazione famosa del filosofo Jean Paul Sartre (1905-1980) ma pare verosimile che il nostro concorrente non la conosca nell’originale, perché non cita Sartre e non si rifà ai contenuti della tesi sartriana [“L’uomo è condannato ad essere libero: condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa”] ma assume quel concetto nel senso che la libertà costituisce una sfida costruttiva sulla strada dell’imparare a vivere in società.
Un approfondimento arduo che un altro concorrente esprime con parole analoghe: “La libertà è grazia ma pure condanna”. Un apprendimento che è un cammino che provoca a inedite conquiste interiori: “Ritengo di aver scoperto nella mia mente nuovi tipi di libertà”. O spinge all’umiltà: “Chi pensa di averla [la libertà] non conosce la realtà”; “Desidero riavere quella libertà che non so bene che cos’è”.
- Sarai libero se potrai ridimensionare la mania del possesso di persone e cose, avendo compreso che la libertà non sta nel dominio verso l’esterno, ma è innanzitutto mentale e interiore: se sarai libero dentro.
La vera libertà è quella “mentale” affermano molti partecipanti. Altri la chiamano “spirituale”, altri “interiore”, altri “dell’anima”, altri “del cuore”. Ma i più l’indicano come libertà della mente.
“Libertà non è tanto avere un bene, il controllo e la manipolazione delle cose, quanto stare bene con se stessi, essere liberi dentro” afferma uno dei lavori “segnalati”. “La vera libertà è solo nei pensieri di una persona” scrive un altro. E un terzo: “L’unica libertà è quella del pensiero”. “Il mio pensiero è libero: almeno in questo ho l’esclusiva assoluta” argomenta un quarto. Un quinto: “La libertà sta dentro di noi”. Un sesto: “Il cemento e il ferro non sanno che io sono libero”. Un settimo: “Oggi queste sbarre sono di ferro ma io sono libero”. Un ottavo: “L’importante è essere liberi dentro”.
La libertà interiore cercata o rivendicata, qualche volta brandita in faccia alle altre libertà e a rivincita contro le libertà altrui, viene a essere concepita come prossima al carcerato e sua amica, in quanto essa appare legata alla povertà di tutto il resto. Quasi figlia di quella povertà che nel carcere è grande. Ne viene un ragionamento parabolico, quale potrebbe svolgere un monaco o un amante della solitudine che – poniamo – vada a vivere in montagna, lontano da ogni centro abitato: “Solo quando non si ha nulla da perdere, allora sì che si è assolutamente liberi”, scrive uno dei concorrenti.
Un altro si avventura, con ispirazione simile, sulla strada di una spoliazione che pare a un tempo imposta e accettata: “L’unica cosa che queste mura non potranno togliermi mai: i sogni, la parola di pensiero”. Un terzo: “Non possedere nulla ed essere liberi”.
- Sarai libero se terrai a bada te stesso, le tue debolezze, le prepotenze; e se riuscirai a chiedere aiuto e a lasciarti aiutare per essere libero da te stesso, che sarà l’ultima conquista.
Noi otto della Giuria siamo stati sorpresi dalla frequenza – nei lavori che abbiamo esaminato – dell’espressione “liberi dentro”, che diventa in alcuni testi un motto, quasi una bandiera, tanto da essere formulata – in un caso – senza stacco tra i due termini, facendone una parola nuova; ed è il caso del lavoro che ha avuto il primo premio: “Dopo aver detto e letto dentro di me la verità di tutto, stranamente, mi sento diversamente libero: liberodentro”. “La verità di tutto” è una parola esagerata ma che non fai difficoltà ad accettare quando – come in questo caso – è detta da un uomo che ha “le mani sporche di sangue” e che, coerentemente, riconosce che il suo “folle gesto” lo ha gettato in una situazione irreparabile” perché alla morte non c’è rimedio.
Via ardua, quella che dovrebbe portare alla conquista della libertà dell’anima, argomenta un quarto, ma via che potrà risultare possibile – aggiunge – se realizzerai la prima o l’ultima delle libertà, che è la “libertà da te stesso”. La liberazione da sé è al centro del lavoro che ha avuto il terzo premio, di cui è autore un omicida che non era ricercato e che si è costituito diciassette anni dopo il delitto, divenuto consapevole che solo nella verità avrebbe potuto ritrovare – o conquistare – una “vera libertà”, perché essa è innanzitutto “libertà da se stessi”.
“L’errore – scrive un altro concorrente – è nel voler fare il viaggio da soli” e intende il viaggio della vita e infine, dopo tanti errori, riconosce che “non si può essere felici da soli, si può solo essere schiavi di sé; insieme si è liberi”.
I passi più importanti per tornare padrone della propria, vera, libertà uno dei concorrenti li indica così: “Ammettere le proprie debolezze, chiedere aiuto, confidarsi e scusarsi sinceramente”. Con queste parole chiudo la mia antologia, segnalando come sia frequente, nei lavori in concorso, il riconoscimento che la solitudine porta alla devianza e che il riscatto dagli errori passa per l’incontro con l’altro e con gli altri.