La Chiesa in uscita di Papa Francesco nella realtà quotidiana di una parrocchia

 

Parrocchia Beata Vergine del Rosario
MOMBRETTO DI MEDIGLIA – MILANO
Martedì 21 aprile 2015 – ore 21.00

L’uscita chiesta dal Papa l’intendo come apertura di una porta in ognuna delle attività che già si svolgono in parrocchia, o come l’introduzione di qualche nuova attività se non ve ne fosse nessuna rivolta specificamente ai non praticanti e ai non credenti. Una parrocchia non può limitarsi a servire i praticanti abituali.

Il testo di riferimento è nella “Gioia del Vangelo” al paragrafo 27: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di ‘uscita’ e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia”. Al paragrafo seguente il Papa scrive che attraverso tutte le sue attività, “la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione”: essa è “centro di costante invio missionario”.

La mia riflessione mira a mostrare la portata dell’espressione usata dal Papa “trasformare ogni cosa” quando sia applicata alla parrocchia: farò esempi. E vedrò di indicare che cosa possa essere l’invio missionario fatto da una parrocchia.

Andrò dal più semplice al più complesso. Dalla porta della chiesa al portale internet, per intenderci.

Porta della chiesa. La Chiesa è chiamata a essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire un mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa”: “La gioia del Vangelo” 47. Il mio parroco, al centro di Roma, pratica l’apertura continuata [dalle 07.00 alle 22.00 durante la settimana; dalle 07.00 alle 24.00 sabato e domenica] e sostiene che il criterio nello stabilirne i tempi dovrebbe essere questo: finché intorno c’è gente. Brutta mia impressione la scorsa estate in una città della riviera ligure di levante: la centralissima basilica, che dà sulla piazza storica e ha il mare sia a destra sia a sinistra, chiudeva alle 11,45 e riapriva alle 16,15, richiudendo definitivamente le sue nobili porte alle 19.00. Orario balzano e di pura comodità del parroco, se teniamo conto che la massima densità di passeggio e di visite, nella stagione balneare, lì si ha proprio nella tarda mattinata e in serata, fino verso la mezzanotte. Sarebbe come se Gesù, quella volta a Cafarnao, fosse salito sulla barca di Pietro per parlare alla folla quando questa non c’era e ne fosse sceso quando in tanti gli erano intorno. – Ma la porta aperta e non vigilata non è pericolosa? In tante chiese di tanti luoghi si fanno turni per garantire la presenza di un gruppo di persone nelle ore più scomode dell’adorazione perpetua. Io credo che analoghi turni potrebbero aiutare i parroci a tenere aperte le chiese parrocchiali nelle ore della pausa pranzo e la sera oltre l’ora della messa.

Orari delle messe e della segreteria. Qualcosa di analogo si può dire degli orari delle messe: vanno collocate nei tempi nei quali la gente è libera dal lavoro. Ovvero: anche in quei tempi. Ad esempio celebrando all’ora di pranzo (molti in tanti luoghi lamentano di non poter andare a messa nella pausa pranzo) e a sera inoltrata, garantendo la presenza di un sacerdote per le confessioni e i colloqui dopo la messa vespertina fino alla chiusura, se nel nostro ambiente la gente torna dal lavoro tardi. Messe, disponibilità del sacerdote, segreteria parrocchiale: con l’aiuto dei volontari andrebbe ampliato il più possibile l’orario della segreteria che riceve le persone, o quantomeno risponde al telefono. Lo possono fare anche volontari che svolgono un lavoro a domicilio, e anche persone disabili (che magari sarebbero felici di dare una mano), in modo che non sia una voce registrata a rispondere a chi chiama la parrocchia.

Gruppi di partecipazione. C’è un gruppo biblico, o liturgico, o culturale, o dei “nuovi media”: proporre che ammetta non praticanti e non credenti comunque interessati, e li cerchi; o alterni alle proprie riunioni delle altre aperte ai partecipanti non abituali e non interni. “Ma quelli non vengono”: si tratterà di creare occasioni cinematografiche, ricreative, conviviali perché vengano. Si offre una pizza ai partecipanti, si programma la visione di un film. Lo stesso criterio si dovrebbe adottare nella conduzione di ogni gruppo parrocchiale, dal dopocresima ai campi estivi.

Attività caritative. Lo stesso e ancor più si potrebbe tentare con il gruppo caritativo, o con il Centro Caritas: studiarsi di assistere, per ogni nostro povero, un povero sconosciuto, non cristiano. Nel giro delle straniere vi sono prostitute minorenni, o mamme sole con bambini: le agganceremo. Inviteremo a unirsi alle nostre attività persone lontane, ma che potrebbero avere un interesse personale, culturale, sociale ad aiutare il prossimo. Potrebbe essere una via della pastorale giovanile.

Iniziative straordinarie. Pellegrinaggi, gite, visite guidate, sagre, lotterie, feste patronali, festicciole dell’oratorio, tavolate estive all’aria aperta: avere cura che in ognuna di queste attività – e altre simili – vi sia un elemento di uscita: l’invito concreto, diretto, ad personam a qualcuno che non è mai venuto e mai verrebbe se non invitato. Gesù a Zaccheo: “Scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Alla samaritana: “Dammi da bere”. L’offerta di pagargli il biglietto purché venga. Un pellegrinaggio a Lourdes potrebbe essere l’occasione per agganciare una persona sofferente, un pellegrinaggio in Terra Santa potrebbe essere adatto per qualcuno dei giovani che hanno appena abbandonato la pratica domenicale.

Dal bollettino a internet. Se la parrocchia ha un qualche strumento di comunicazione, anche lì occorrerà impostare il lavoro in modo che la comunicazione sia rivolta a tutti, interni ed esterni alla vita della comunità. E non solo, ma ci si potrebbe proporre anche di ospitare e far collaborare al bollettino parrocchiale – o al sito della parrocchia – chi non è praticante e anche chi non è cattolico. Poniamo che si affronti la questione della presenza dei Rom o degli immigrati nel quartiere, e che a una nostra assemblea abbia partecipato qualcuno che guarda le nostre cose da fuori: ecco, se del caso costui o costoro potrebbero essere invitati a intervenire.

Uscite da inventare. Il Papa ci chiede di “andare sempre dai non credenti” e noi, invece, ci andiamo poco o magari non ci andiamo mai. Se non ci andiamo mai, sarà necessario sperimentare qualche uscita in questa direzione. “Voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita […]. Per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo”: così il Papa ha parlato il 7 marzo scorso a CL nel decennale della morte di don Giussani. Sono parole che possono valere, territorialmente, anche per una parrocchia. Un movimento qual è CL cercherà i non credenti per le vie che sono proprie dei movimenti (con iniziative culturali, pubblicazioni, dibattiti, con il Meeting di Rimini), una parrocchia li cercherà sul territorio, nel suo territorio.

In ogni caseggiato. Andare nelle case con l’Aspersorio e con il Vangelo. L’Aspersorio per i praticanti, il Vangelo per i non credenti. L’uno e l’altro per i credenti non praticanti. L’esempio della Grande Missione per la Città di Roma e della mia partecipazione a essa: importanza che vi sia un referente della parrocchia in ogni caseggiato.

Cortile dei gentili. Invitare ad attività sociali e culturali anche chi non viene in chiesa. E’ possibile un “Cortile dei Gentili” in parrocchia? Proviamoci chiamando a dialogo ospiti laici e anche laicisti (cioè critici e anche avversi alla presenza della Chiesa nella società), al duplice scopo di interloquire con loro e di mostrare pedagogicamente ai parrocchiani le modalità possibili di tale interlocuzione. Aiuto la mia parrocchia romana nelle attività culturali, alle quali il parroco lungo l’ultimo anno ha invitato una volta Walter Veltroni e un’altra Marco Politi. Ma possiamo farlo davvero? Non è imprudente? Non solo possiamo ma dobbiamo farlo, con prudenza ma anche con coraggio, se vogliamo portare a tutti il messaggio, altrimenti lo porteremo soltanto a chi è nel libro dei battesimi. “Per dialogare bisogna abbassare le difese e aprire le porte”, ha detto Francesco agli Scrittori della “Civiltà Cattolica” il 14 giugno 2013.

Scalfari e Pannella. Papa Francesco che parla con Eugenio Scalfari e telefona a Marco Pannella può essere un modello per questa uscita verso i non credenti: egli compie quei gesti per dire a tutti – anche ai parroci e ai parrocchiani – “fate come me”. Una parrocchia parlerà e telefonerà agli Scalfari e ai Pannella del suo territorio. Un lavoro analogo – più frequente – si dovrà tentare nei confronti di credenti non praticanti o persone in situazione irregolare rispetto alle leggi della Chiesa: non allontanarle, non scoraggiarle – coinvolgerle, corteggiarle. Se scoprissimo che una coppia omosessuale ha con sé un bambino, offriamoci di accompagnare la sua “iniziazione cristiana”, se ciò fosse desiderato. Proporlo, intanto. Esempi dati dal Papa dell’uscita: – battesimo a bambina di coppia non sposata in chiesa; – promessa del battesimo a figlia di ragazza madre già divorziata che gliene aveva parlato per lettera; – attenzione ai divorziati che chiedono di fare i padrini e le madrine per battesimi e cresime; – accoglienza a preti sposati in occasione del 50° di messa dei loro confratelli.

Nella via e nella piazza. Ancora una parola del Papa sulla pedagogia missionaria che la parrocchia deve esercitare verso i parrocchiani:“C’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. E’ la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione […] e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada. In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore. Solo dopo tale conversazione è possibile presentare la Parola” [“La Gioia del Vangelo” 127s].

Conclusione. Per una parrocchia il cambiamento dell’uscita missionaria è una grande trasformazione. Si tratta di uscire non soltanto dai confini di una pratica e di un ambiente, ma innanzitutto da un linguaggio, da una mentalità, da un metodo. Passare dal modello di Chiesa costituita della tradizione europea al modello della comunità missionaria. Da una Chiesa che segna i confini e rimpiange la vecchia società a matrice cristiana, a una comunità che cerca ogni via per farsi lievito in una società che non è più a dominante cristiana.

Si tratta di imboccare una via per tanti aspetti inesplorata ma obbligata, se non ci si vuole rassegnare a una rapida perdita della dimensione di popolo. Che faremo e che diremo e quanti errori compiremo? Non aspettiamo di sapere che dire prima di uscire, altrimenti non usciremo mai. Usciamo con il poco che sappiamo e camminando impariamo a camminare.

Contribuiamo a creare nel nostro quartiere un clima di incontro in cui sia possibile parlare anche della fede cristiana tra credenti e non credenti, eliminando per quanto ci riguarda le distanze non necessarie rispetto a chi non è sulle nostre posizioni: “Noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una ‘cultura dell’incontro’, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza” (Francesco il 18 maggio 2013).

Procederemo pragmaticamente, prestando attenzione – poniamo – alle sofferenze e a ogni ingiustizia anche quando non si hanno le risorse né le parole per andare oltre l’espressione della solidarietà. Si attesta comunque fratellanza. Si offre un abbraccio. Si fa sentire qualcosa del calore di famiglia che caratterizza la comunità della parrocchia.

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