Seminario di formazione dei cappellani delle carceri
Istituto superiore di Studi penitenziari
Via Giuseppe Barellai 135 – Roma
Martedì 27 giugno 2017 – ore 09.00
C’è una preferenza evangelica di Papa Francesco verso i carcerati. E’ una priorità che egli afferma fattualmente e in parole all’interno della scelta dei poveri e degli ultimi che guida la sua azione pontificale.
Francesco vede nei carcerati i più gravi tra i feriti della vita e vorrebbe farsi vicino a ciascuno di loro, come a rovesciare l’idea “ricevuta”, che spesso risulta dominante anche negli ambienti ecclesiali, che vede nei carcerati le persone più lontane e anche più nocive rispetto alla convivenza sociale. Ma c’è di più: il Papa argentino coglie nella vivente parabola che sono gli abitatori delle carceri la manifestazione di un aspetto pedagogico del mistero del peccato e della grazia, che ama esprimere con la domanda: “Perché lui è caduto e io no?”
Ci sono dunque tre ragioni che dettano a Francesco la preferenza evangelica che viene manifestando da quando fu eletto: vicinanza agli ultimi, rovesciamento della logica mondana, richiamo al mistero della grazia preveniente “che mi fa pregare e mi avvicina ai carcerati” come disse una volta ai cappellani delle carceri italiane, cioè a voi, in un testo che riporterò più avanti.
Già il cardinale Bergoglio coltivava questa preferenza a Buenos Aires e continua a coltivarla da Papa per quello che può. Il portavoce vaticano padre Lombardi ha ricordato il 25 luglio 2013 a Rio de Janeiro – al margine di un incontro con un gruppo di detenuti – che dal Vaticano Francesco continua a telefonare ogni due settimane ai carcerati dell’Argentina ai quali era abituato a fare visita quand’era cardinale.
La preferenza di Papa Bergoglio per i carcerati si esprime con le lavande dei piedi nelle carceri (ad oggi esse sono state tre su cinque), con l’inclusione di visite alle carceri o di incontri con i carcerati in occasione dei viaggi in Italia e nel mondo, con appelli e richiami ai diritti dei detenuti e per un segno di clemenza nei loro confronti. Il Giubileo dei detenuti (6 novembre 2016) e un incontro con i cappellani delle carceri italiane (23 ottobre 2013) sono stati occasione per due particolari affermazioni di quella preferenza evangelica.
Lava i piedi ai carcerati
Tre sono state fino a oggi le lavande dei piedi in carcere compiute da Francesco il Giovedì Santo: 2013 nel carcere minorile di Casal del Marmo, 2015 nella sezione femminile del Carcere di Rebibbia, 2017 nel carcere di Paliano (Frosinone). Queste lavande sono un segno forte stante la mancanza di precedenti negli annali del papato.
A Casal del Marmo così Francesco ha parlato all’omelia durante la celebrazione: “Lui [il Signore] è il più importante e lava i piedi perché tra noi chi è più in alto deve stare al servizio degli altri. Questo Gesù ci insegna e questo io faccio. Lo faccio di cuore perché il Signore così ha insegnato. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi. E pensiamo: questo segno è una carezza di Gesù che ci fa, perché è venuto proprio per questo, per servire, per aiutarci”. “Sono felice di stare con voi, grazie della vostra accoglienza” dice infine salutando e si raccomanda: “Pregate per me e non lasciatevi rubare la speranza”. Quella lavanda dei piedi ai carcerati è stato il primo azzardo liturgico di papa Bergoglio, che ovviamente ha provocato dissensi. Le polemiche che ne sono venute potremmo vederle anche come un segno dell’autenticità di quel gesto evangelico: il Vangelo vero è sempre segno di contraddizione.
Francesco ha svolto il rito secondo le rubriche, ma in un carcere e accettando che tra i “dodici” vi fossero due musulmani e due ragazze. Il carcere ha una popolazione mista e lui, il papa venuto dalle periferie di Buenos Aires, voleva che il suo gesto pasquale incontrasse pienamente quella realtà periferica. Essendo andato dai detenuti per compiere un gesto da “servo” degli ultimi, doveva simbolicamente ammettere tutti al rito perché lì – nella rigida gerarchia che vige dietro le sbarre – i musulmani e le donne sono un passo dietro agli altri e dunque escludendoli sarebbe venuto a escludere gli ultimi tra gli ultimi.
A Rebibbia nel 2015 lava i piedi a sei donne e sei uomini. Chi piange e dice “grazie”, chi gli stringe il braccio, uno china la testa a toccare quella di colui che lo lava, una piange e basta. Una donna nera ha in braccio un bimbo e il Papa bacia lei e lui abbracciandoli in un sorriso. Le sei donne sono due nigeriane, una congolese, due italiane, una ecuadoregna. I sei uomini: un brasiliano, un nigeriano, quattro italiani. Nella chiesa ci sono 150 detenute, comprese quindici mamme con i bambini, e 150 detenuti.
“La lavanda dei piedi non è una cerimonia folkloristica: è un gesto per ricordare quello che ha dato Gesù. Dopo di questo, ha preso il pane e ci ha dato il suo corpo; ha preso il vino, e ci ha dato il suo sangue. E così è l’amore di Dio”: così parla nel 2017 durante la messa in Coena Domini nel carcere di Paliano, dove lava i piedi a 12 detenuti tra i quali tre donne e un musulmano vicino a riceve il battesimo.
In tutte e tre le occasioni Francesco ha detto ai carcerati: “Pregate per me”. Ad occhi profani, quello del carcere parrebbe un ambiente poco adatto per chiedere preghiere e invece – nella veduta di Bergoglio – è il luogo giusto per una richiesta d’aiuto molto seria, rivolta a chi più è nella prova e dunque – potenzialmente – è anche più vicino al Cristo sofferente: “Ero in carcere e mi avete visitato”. Vicino oltre ogni apparenza umana.
Visita carceri in occasione dei viaggi
Lo ha fatto in Bolivia a Palmasola il 10 luglio del 2015, in Messico a Ciudad Juárez il 17 febbraio del 2016. In Italia a i Castrovillari (Cosenza) il 21 giugno 2014, a Isernia 5 luglio 2014, a Napoli il 21 marzo 2015, a Milano il 25 marzo 2017.
Così parla in Bolivia, mettendosi in gioco in prima persona: “Chi c’è davanti a voi? Potreste domandarvi. Vorrei rispondere alla domanda con una certezza della mia vita, con una certezza che mi ha segnato per sempre. Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati. Ed è così che mi presento. Non ho molto da darvi o offrirvi, ma quello che ho e quello che amo, sì, voglio darvelo, voglio condividerlo: è Gesù, Gesù Cristo, la misericordia del Padre”.
A Napoli e a Milano pranza con i detenuti di Poggioreale e di San Vittore. A San Vittore riposa per mezz’ora nella stanza del cappellano: questo riposo postprandiale lo vedrei come un omaggio ai cappellani militare. “Voi per me siete Gesù”, aveva detto poco prima ai detenuti, ponendosi come sempre in rapporto personale e diretto con quei singolari uditori della sua parola. Scegliere i detenuti come compagni di mensa e l’ufficio del cappellano come luogo di riposo sta a dire il sentimento di familiarità con cui Francesco guarda al carcere.
Giubileo dei carcerati
“Lettera del Santo Padre Francesco con la quale si concede l’indulgenza in occasione del giubileo straordinario della misericordia” s’intitola un testo papale indirizzato all’arcivescovo Rino Fisichella, pubblicato il 1° settembre 2015, nel quale si legge: “I carcerati nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”.
In occasione del Giubileo dei carcerati, il 6 novembre 2016, svolge tre sollecitazioni che costituiscono un programma impegnativo per ogni operatore cristiano del mondo carcerario: “miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri”, “necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva”, “un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento”.
Il “Messaggio per la 49ma giornata della pace”, pubblicato il 15 dicembre 2015 con il titolo “Vinci l’indifferenza e conquista la pace” proponeva già un appello “per migliorare le condizioni di vita nelle carceri” e “per l’abolizione della pena di morte, là dove essa è ancora in vigore, e a considerare la possibilità di un’amnistia”.
Temi che riafferma all’Angelus del 21 febbraio 2016: “Faccio appello alla coscienza dei governanti, affinché si giunga a un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte. E propongo a quanti tra loro sono cattolici di compiere un gesto coraggioso ed esemplare: che nessuna condanna venga eseguita in questo Anno Santo della Misericordia”.
Incontro con i cappellani delle carceri
Il 23 ottobre 2013 Francesco incontra i partecipanti al Convegno Nazionale dei Cappellani delle Carceri Italiane. E’ un testo che leggeremo insieme: è quello che avevo segnalato all’inizio e che forse ci dà la prospettiva di maggiore impegno spirituale e direi cristologico della preferenza evangelica del Papa per i carcerati.
Cari Fratelli, vi ringrazio, e vorrei approfittare di questo incontro con voi, che lavorate nelle carceri di tutta Italia, per far arrivare un saluto a tutti i detenuti. Per favore dite che prego per loro, li ho a cuore, prego il Signore e la Madonna che possano superare positivamente questo periodo difficile della loro vita. Che non si scoraggino, non si chiudano. Voi sapete che un giorno tutto va bene, ma un altro giorno sono giù, e quell’ondata è difficile.
In questa vicinanza da uomo a uomo che il Papa vorrebbe offrire – “dite loro che li ho a cuore” – c’è il primo insegnamento per il vostro ministero. La vicinanza umana potrebbe costituire il primo passo vostro verso il carcerato, ma quel passo potrebbe anche essere l’ultimo, quando l’interlocutore non fosse maturo per fare con voi un cammino: da qui l’importanza, a vote decisiva, di questa vicinanza.
Il Signore è vicino, ma dite con i gesti, con le parole, con il cuore che il Signore non rimane fuori, non rimane fuori dalla loro cella, non rimane fuori dalle carceri, ma è dentro, è lì. Potete dire questo: il Signore è dentro con loro; anche lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro; il suo amore paterno e materno arriva dappertutto.
In queste parole dette ai vostri confratelli c’era già l’idea della porta della cella come “porta santa”, che poi il Papa proporrà per il Giubileo.
Prego perché ciascuno apra il cuore a questo amore. Quando io ricevevo una lettera di uno di loro a Buenos Aires li visitavo, mentre ora quando ancora mi scrivono quelli di Buenos Aires qualche volta li chiamo, specialmente la domenica, faccio una chiacchierata. Poi quando finisco penso: perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse, perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati.
Qui sono le parole più profonde che segnalavo all’inizio della nostra conversazione. Papa Francesco va letto con intelletto d’amore perché spesso gli spunti più fecondi li dice con le parole più semplici e dunque possiamo non avvertirli.
E prego anche per voi Cappellani, per il vostro ministero, che non è facile, è molto impegnativo e molto importante, perché esprime una delle opere di misericordia; rende visibile la presenza del Signore nel carcere, nella cella. Voi siete segno della vicinanza di Cristo a questi fratelli che hanno bisogno di speranza […]. E chiediamo al Signore che benedica voi e i vostri amici e amiche delle carceri.
Anche questo suggerimento finale, di chiamarli evangelicamente “amici e amiche” [“Vi ho chiamati amici” dice Gesù ai discepoli in Giovanni 15], è un buon insegnamento per voi. Piccolo ma buono.
Altri contatti con il pianeta carceri
Francesco ha avuto diversi altri incontri con carcerati e loro parenti. Sabato 30 maggio 2015 ha ricevuto duecento figli di detenuti che sono arrivati in treno in Vaticano da varie città d’Italia.
Otto carcerati li aveva visti a Rio de Janeiro, il 25 luglio 2013, nella residenza dell’arcivescovo: gli avevano cantato una canzone e avevano pregato insieme.
A Cagliari il 22 settembre 2013 Francesco incontra un gruppo di detenuti e di poveri nella cattedrale.
Il 17 luglio 2013 scrive a una detenuta di Buenos Aires che gli aveva mandato ostie fatte da lei e gli aveva raccontato la sua storia di perdizione e riscatto: “Cara Gabriela, ringrazio per la fiducia e anche per le ostie. Da domani celebrerò la messa con queste ostie e posso assicurarle che è una cosa che mi emoziona. La sua lettera mi ha fatto riflettere e pregherò per lei. Mi rallegra e mi dà sicurezza sapere che anche lei prega per me”. Qui si vede, come già a Casal del Marmo, che il Papa si mette alla pari nella richiesta di preghiere: ringrazia la detenuta “per la fiducia” – perché lei si era raccomanda alle preghiere del Papa – e chiede le preghiere di lei con lo stesso affidamento: la carcerata verso il Papa, il Papa verso la carcerata. Egli ritiene che al Padre possa arrivare chiunque l’invochi, si tratti pure del meno accreditato tra i fratelli. La preghiera del peccatore, se fatta con cuore puro, è pari a quella dell’innocente: a quella dei bambini, che la tradizione della pietà popolare italiana ha sempre considerato la più efficace. Questo accostamento degli oranti apparentemente più lontani è tornato in bocca al Papa dieci giorni addietro, all’Angelus della domenica del Corpus Domini, al momento dell’invito a partecipare alla processione: “Invito tutti a partecipare, anche spiritualmente, penso in particolare alle comunità di clausura, alle persone malate e ai carcerati”. I carcerati accanto alle claustrali. “Fate pregare i bambini e le monache di clausura” si diceva una volta: Francesco vi dice anche – e propriamente a voi – “fate pregare i carcerati”.
L’11 settembre 2013 al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro si intrattiene con i familiari di cinque persone morte in carcere, in Italia, in circostanze sospette. L’incontro avviene su richiesta – rivolta al Papa per lettera – di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto in carcere dopo un arresto per ubriachezza. Lucia da cinque anni ricerca la verità su quella morte e fa avere al papa un dossier su 57 casi di malagiustizia: «Mi ha posato le mani sulla testa e mi ha accarezzato il viso mentre parlavo. Ci ha chiesto di pregare per lui e ci ha assicurato di pregare per noi». Qui è istruttivo il fatto che Papa Bergoglio accetti l’incontro anche quando sa che nulla potrà fare se non consolare con una carezza e promettere e chiedere preghiere. Anche qui avete un suggerimento per la vostra quotidianità.