Accendo in partenza cinque luci per svegliare l’attenzione su questo testo forte.
La prima è di quadro storico: “Fratelli tutti” arriva a 57 anni dalla “Pacem in Terris” di Papa Roncalli che era diretta anche “a tutti gli uomini di buona volontà” – arriva dopo un sessantennio e svolge la stessa chiamata all’unità della famiglia umana – Giovanni XXIII davanti al mondo bloccato nell’inimicizia della guerra fredda, Francesco davanti al mondo dilaniato dai nazionalismi e dai sovranismi: davanti alla terza guerra mondiale a pezzi.
La seconda luce è di quadro culturale: Edgar Morin, il grande intellettuale francese che sta per compiere i cento anni, agnostico, aveva pubblicato l’anno scorso un volumetto intitolato: “La fraternità, perché? Resistere alla crudeltà del mondo” (Ave editrice). Francesco non cita Morin ma con questa enciclica “sulla fraternità” svolge lo stesso appello.
La terza luce sono i richiami a Francesco d’Assisi: il titolo (come già per la Laudato si’ quel vocativo universale è preso da un testo del santo: Ammonizioni 6), la firma ad Assisi alla vigilia del “transito” del poverello, l’ottavo centenario che ricordammo l’anno scorso del suo incontro con il sultano (vedilo al paragrafo 3).
La quarta è il testo evangelico chiave della chiamata del Papa all’unica famiglia umana: «Uno solo è il maestro e voi siete tutti fratelli» (Matteo 23,8) (vedilo al paragrafo 95).
La quinta è un testo chiave, una parola più viva che Francesco mette al cuore del suo messaggio ed è nel paragrafo 281: “Tra le religioni è possibile un cammino di pace. Il punto di partenza dev’essere lo sguardo di Dio. Perché «Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore. E l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se è ateo, è lo stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese».
Entriamo ora nel documento. “Fratelli tutti” dice Papa Francesco con il titolo francescano della sua enciclica e intende dire che sul pianeta apparteniamo tutti a un’unica famiglia umana e tutti dovremmo impegnarci a realizzare “il sogno di una società fraterna” che otto secoli fa fu “suscitato” da Francesco d’Assisi.
Il mondo si fa ogni giorno più spietato, la pandemia sembra raddoppiare la spietatezza e Papa Francesco – in questa enciclica sociale maturata nei mesi della massima emergenza Covid – chiama tutti a riconoscersi fratelli: dovremmo essergli grati per questo messaggio grande, lievitato dal principio cristiano dell’amore ma espresso con un linguaggio comprensibile all’intera umanità.
“Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”: così Bergoglio scrive al paragrafo 6. Si sente in queste parole il respiro vasto della “Chiesa maestra di umanità” che ha guidato la predicazione sociale di tutti i Papi da Leone XIII in poi e che Francesco aggiorna con questo documento.
Come già per la “Laudato si’”, il richiamo di Bergoglio a Francesco d’Assisi è sia nel titolo sia nel contenuto di questa enciclica, oltre che nella firma apposta ad Assisi. Queste sono le prime parole del documento: “«Fratelli tutti», scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo”. Il sottotitolo precisa che l’enciclica tratta di “fraternità e amicizia sociale”. La scelta delle parole sta a dire che il Papa vuole uscire dagli schemi di ogni conflitto politico e ideologico.
La ricerca di una novità di linguaggio diretto, comunicativo, mirato a raggiungere ogni umanità si avverte già nei titoli degli otto capitoli: 1. Le ombre di un mondo chiuso; 2. Un estraneo sulla strada; 3. Pensare e generare un mondo aperto; 4. Un cuore aperto al mondo intero; 5. La migliore politica; 6. Dialogo e amicizia sociale; 7. Percorsi di un nuovo incontro; 8. Le religioni al servizio della fraternità nel mondo.
Questo documento il Papa l’intende come una summa della sua predicazione sociale. In esso Francesco non esplora nuove materie, fatta eccezione per le implicazioni etiche legate alla pandemia, ma elabora un nuovo linguaggio inteso a coinvolgere il lettore: “Le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le mie preoccupazioni. Negli ultimi anni ho fatto riferimento ad esse più volte e in diversi luoghi. Ho voluto raccogliere in questa Enciclica molti di tali interventi collocandoli in un contesto più ampio di riflessione” [paragrafo 5].
Il Contesto più ampio è quello dell’arretramento del sentimento di appartenenza all’unica famiglia umana che stiamo vivendo sul pianeta. Un’emergenza che chiama al rinnovamento. Le tematiche sono svolte in modo da dare un’evidenza piena alle sfide che tutti ci attende.
La descrizione dell’emergenza è così introdotta: “Proprio mentre stavo scrivendo questa lettera, ha fatto irruzione in maniera inattesa la pandemia del Covid-19, che ha messo in luce le nostre false sicurezze. Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti [….]. Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità” [7 e 8].
Si parte dalla descrizione delle “ombre” di uno scenario planetario che si va inaspettatamente chiudendo: “Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi” [paragrafo 30]. Francesco non esita a usare la parola “guerra” per indicare lo scatenamento di “situazioni di violenza” che “vanno moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo, tanto da assumere le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una terza guerra mondiale a pezzi” [25].
La logica di mercato fondata sul profitto appare vincente sulla buona politica, la cultura dello scarto sembra prevalere, il grido dei popoli della fame è inascoltato, cresce la tentazione dei muri, persino le potenzialità positive della Rete paiono travolte da inaspettate aggressività che fomentano “pregiudizi e odio” [45].
E’ sullo sfondo di queste “dense ombre” che l’enciclica si propone di “dare voce a percorsi di speranza: Dio infatti continua a seminare nell’umanità semi di bene”; come si è visto “nella recente pandemia” da tanti e tante che “nella paura hanno reagito donando la propria vita” [54].
Alla ricerca di “una luce in mezzo a ciò che stiamo vivendo” il secondo capitolo è dedicato alla parabola del samaritano: “Un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale” [66]. Il “prossimo senza frontiere” insegnato da questa parabola e da tutta la predicazione di Cristo dovrebbe guidare a un umanesimo critico di fronte a “varie forme di nazionalismo chiuso e violento e di atteggiamenti xenofobi” [67].
Dal prossimo senza frontiere del primo capitolo vengono i “diritti senza frontiere” del terzo, la chiamata a intendere “il limite delle frontiere” del quarto e l’appello alla “migliore politica” del quinto. Per incoraggiare la formazione di una “comunità mondiale” intesa come un’unica famiglia di popoli è necessaria “una politica posta al servizio del vero bene comune” e tendente alla costruzione di un “mondo diverso”, ben lontana dai “nazionalismi chiusi” e dai populismi che mirano ad “accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione” [59].
Nel capitolo della “migliore politica” Francesco, in coerenza con tutti i predecessori – da Giovanni XXIII in qua – sostiene la necessità di una «forma di autorità mondiale regolata dal diritto» e di «organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali» [172]. L’enciclica dedica un paragrafo alla necessità una riforma «sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni» [173].
Di promozione dell’amicizia sociale e della pace trattano i capitoli sei e sette. Dialogo come “arte dell’incontro”, pace come “artigianato” che coinvolge e riguarda tutti. Il perdono comandato dal Vangelo non impedisce di combattere i soprusi: “Chi patisce ingiustizia deve difendere con forza i diritti suoi e della sua famiglia, proprio perché deve custodire la dignità che gli è stata data, una dignità che Dio ama: il perdono non solo non annulla questa necessità bensì la richiede” [141].
Proporre il perdono – afferma con forza il Papa – non vuol dire invito a dimenticare: “La Shoah non va dimenticata […]. Non vanno dimenticati i bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki […]. E nemmeno vanno dimenticati le persecuzioni, il traffico di schiavi e i massacri etnici che sono avvenuti e avvengono in diversi Paesi, e tanti altri fatti storici che ci fanno vergognare di essere umani. Vanno ricordati sempre, sempre nuovamente, senza stancarci e senza anestetizzarci” [247s].
L’ultima parte del capitolo sette tratta della guerra e della pena di morte, temi sui quali tante volte Francesco è intervenuto con audacia. Due le affermazioni principali sulla guerra: “A partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie” è divenuto “molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta” [258]; “L’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e umanitario” [262].
Sulla pena di morte dice parole che più nette non potrebbero essere: “Oggi affermiamo con chiarezza che la pena di morte è inammissibile e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo” [263]. E ancora: “L’ergastolo è una pena di morte nascosta”.
Il capitolo ottavo, conclusivo, tratta delle religioni al servizio della fraternità universale e Francesco lo svolge lasciandosi stimolare «in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato ad Abu Dhabi [nel 2019] per ricordare che “Dio ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro”» [5].
Con gli ultimi due paragrafi dell’enciclica il Papa rende omaggio a cinque maestri di fraternità universale: Francesco d’Assisi, Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e Charles de Foucauld. Quest’ultimo – scrive Francesco nel finale del suo testo – “voleva essere, in definitiva, ‘il fratello universale’ ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen”.
L’enciclica si conclude con due splendide preghiere, una “al Creatore”, che può essere pregata in unione a ogni credente, di qualsiasi fede; e l’altra – ancora più bella – “cristiana ecumenica”: cioè offerta alla pietà dei cristiani di ogni denominazione.
Una grande enciclica, questa di Papa Francesco. Una chiamata alla fraternità universale in una stagione – scrive Francesco – nella quale “un progetto per lo sviluppo di tutta l’umanità suona come un delirio” [16].
Un richiamo evangelico vibrante per i cristiani, in una stagione nella quale le Chiese appaiono demoralizzate. Una mano tesa agli uomini di buona volontà, chiamati a riconoscersi fratelli da un cristiano che parla a loro da fratello a fratelli.
Luigi Accattoli