Lezione a chiusura del corso annuale della Scuola di formazione socio-politica della Diocesi di Porto-Santa Rufina
Parrocchia del Sacro Cuore – Via dei Fiordalisi 14 – LADISPOLI
Giovedì 11 giugno 2009 – ore 21,00
Sono contento di questo incontro che mi è stato chiesto forse con un eccesso di fiducia nella mia attitudine a trattare un tema così alto, ma che ha stimolato – direi anzi provocato – la mia volontà di affrontarlo con il massimo di impegno, come prova del cittadino e cristiano che io sono a dire il proprio convincimento in una materia ineludibile per chiunque. Non ho competenze specifiche per parlare della Costituzione, se non quella che spetta appunto a ogni cittadino. Ed essendo questa una sede ecclesiale, a essa si aggiunge l’attitudine del cristiano a rendere conto di come la sua vocazione incontri quella del cittadino nello specifico di questo patto di cittadinanza – così mi piace chiamare la nostra Costituzione.
Bellezza e grandezza dei primi dodici articoli
Parto da una rassegna sommaria e antologica dei dodici articoli che aprono la Costituzione e che vanno sotto il nome di “Principi fondamentali”. Sono i più importanti dell’intero testo. E’ soprattutto in riferimento a essi che don Giuseppe Dossetti, che fu tra i costituenti, poi sacerdote e monaco, ebbe a dire che “la Costituzione repubblicana è un frutto particolarmente positivo e felice della civiltà occidentale” (Lezione tenuta all’Università di Parma il 26 aprile 1995).
Alle volte si ironizza sull’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro“. Ma il vero significato di quella “fondazione” sul lavoro l’intendiamo bene se leggiamo, insieme al primo, l’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto“.
Se ricordiamo come si batteva Giovanni Paolo II per il diritto al lavoro, in Polonia, in Italia e dappertutto – e se guardiamo all’insistenza con cui Benedetto XVI torna su questo argomento, ora ora a Cassino (il 24 maggio), ma già tante volte da Roma – ecco che ci rendiamo conto dell’attualità di quelle parole: “Diritto al lavoro”!
C’è un’altra parola, tra quelle dei “principi fondamentali” che ci richiama al Papa polacco, che è stato per 26 anni e mezzo vescovo di Roma: è la parola solidarietà. La troviamo nell’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“. Qualcuno avrà magari pensato – negli anni dei rivolgimenti polacchi e di Solidarnosc – che il motto “solidarietà” venisse a noi dalla Polonia, invece l’avevamo già nella Costituzione.
L’articolo 3 è quello che più mi raggiunge: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. Il senso forte, storico e umanistico di questo articolo del nostro patto di cittadinanza sta nel proiettarla – questa cittadinanza – verso l’acquisizione di una parità sostanziale, oltre a quella formale che era già nello Statuto albertino.
Non vi dispiacerà se provo a illustrare l’importanza dell’articolo 3 con un richiamo a don Lorenzo Milani di cui abbiamo da poco ricordato il quarantennale della morte. C’è un bambino, un contadinello, Luciano, che per raggiungere Barbiana, dove don Lorenzo tiene la sua scuola, deve attraversare il Fosso del Fatino dove non c’è il ponte e una volta ci cade dentro e rischia di affogare. Allora il prete e i suoi ragazzi si rivolgono al sindaco di Vicchio di Mugello perché faccia costruire il ponte, e lo fanno appellandosi a questo articolo della Costituzione: “La Repubblica rimuove gli ostacoli” (la storia è narrata da Michele Gesualdi nel libretto Il ponte di Luciano a Barbiana, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2008). Gli ostacoli all’uguaglianza tra i cittadini: il principio di uguaglianza! Parole straordinarie dove il respiro cristiano è evidente: “Uno solo è il maestro e voi siete tutti fratelli”, dice Gesù nel Vangelo.
Non solo attuale ma proiettata in avanti
“Attualità della Costituzione” dice il nostro titolo: è attuale nei suoi elementi “fondamentali”, i quali anzi ci proiettano in avanti perché non è ancora attuato il diritto al lavoro – né mai si riuscirà ad attuarlo pienamente – e perché non è ancora attuata, né mai lo sarà del tutto, la rimozione degli ostacoli per la parità dei cittadini: pensiamo agli ostacoli che ancora restano in materia di diritto allo studio e di diritto alla salute. Di certo mai si attueranno totalmente tali diritti e neanche gli altri affermati nel “patto”: ma il patto c’è ed è stabilito in esso, con efficacia, un “principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente”, come diceva Aldo Moro che fu tra i padri costituenti.
Ed eccoci alla libertà religiosa, che la nostra Costituzione tratta in maniera preminente rispetto a ogni altra libertà, affermandola agli articoli 7 e 8: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge“. Affermazione che poi riceve corpo dall’articolo 19: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume“.
Dal principio della libertà religiosa viene il riconoscimento dei Patti Lateranensi affermato all’articolo 7 e la previsione di Intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica all’articolo 8. Ne sono state attuate cinque di tali intese, in sessant’anni: le troviamo nella dichiarazione dei redditi, al rigo che dice “Scelta per la destinazione dell’8 per mille dell’Irpef” (Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese metodiste e valdesi, Chiesa evangelica luterana in Italia, Unione comunità ebraiche italiane). Il panorama multi-confessionale di oggi pone in risalto la preveggenza dei costituenti. Quando avremo un’intesa con la comunità musulmana ci sarà più chiarezza sui loro diritti e meno paura dentro di noi.
L’accoglienza dello straniero perseguitato la troviamo all’articolo 10: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge“. Oggi a mio parere andrebbe riconosciuto – in linea di principio – un analogo diritto anche a chi cerca scampo dalla fame, come già i nostri padri quando in gran numero emigrarono verso le Americhe, l’Australia, l’Europa settentrionale. Un diritto ovviamente da regolamentare, ma innanzitutto da riconoscere. E sarebbe anche bene che ci fosse il “diritto alla vita”, che nella nostra Costituzione non è detto e c’è invece nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che è del 1948 come la nostra Carta.
Cito ancora solo un altro articolo per dire l’attualità del nostro patto, l’11°: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo“.
Ma la nostra Costituzione ci appare attuale anche in riferimento al dibattito sulle nuove frontiere ideologiche ed etiche. Basterà pensare all’articolo 29 sulla famiglia: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio“. O all’articolo 32 sulle cure mediche: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana“. Immaginate come ci troveremmo mal messi senza questo articolo nel mezzo delle dispute di oggi sul “fine vita”.
Una Carta nata da forti esperienze storiche
Alla base del forte sentimento di rispetto della persona umana e dello sguardo lungo dei costituenti su quanto si andava preparando nel mondo vi erano le tragiche esperienze della dittatura e della guerra, da cui l’Italia usciva in quel momento e l’ampliamento planetario di orizzonti verso i popoli emergenti che si andava delineando: in contemporanea alla nostra Costituzione, nascono lo Stato di Israele, la Repubblica popolare cinese, la Repubblica federale dell’India, solo per nominare i casi più significativi. E alla fine del 1948, che è l’anno di entrata in vigore della Costituzione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclama la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.
Dall’esperienza della dittatura viene la cura estrema per la garanzia delle libertà che caratterizza la nostra Carta. E anche quell’accenno all’accoglienza dello straniero perseguitato che abbiamo appena visto. Nonché il rispetto “in ogni caso” della “persona umana”. Dall’esperienza del conflitto mondiale viene il “ripudio della guerra”, dall’avvio delle rinnovate Nazioni Unite viene l’adesione di principio a progetti di governance sovrannazionale.
Quelle grandi esperienze avevano anche favorito l’incontro tra le diverse componenti ideali che si trovarono rappresentate nell’Assemblea costituente. Nessuna di esse prevaleva sulle altre. Dunque fu necessario il compromesso e la mediazione. Dovremmo sempre ricordare – ogni volta che siamo assaliti dalla tentazione del decisionismo unilaterale – che il nostro patto è così bello anche perché è un patto tra diversi.
Un testo votato con largo consenso: oltre l’80%
Conviene fare una breve memoria narrativa dei fatti. Il 2 giugno 1946 – a un anno dalla fine della guerra sul nostro suolo – si tengono insieme il referendum sulla forma istituzionale dello Stato e le elezioni per l’Assemblea costituente.
Dopo aver eletto il Capo provvisorio dello Stato – che fu il liberale Enrico De Nicola – l’Assemblea iniziò il proprio lavoro. Fu eletta una commissione di 75 deputati, incaricati di preparare un “progetto”. Il progetto fu presentato all’assemblea il 31 gennaio del 1947, l’assemblea ci lavorò, articolo per articolo lungo tutto il 1947, la votò definitivamente il 22 dicembre, fu promulgata il 27 dicembre ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
Ecco dunque un elemento di memoria narrativa che è bene rendere visiva e simbolica: i padri costituenti elaborano la nostra Costituzione lungo l’intero 1947: tra i grandi anni della nostra storia recente, ci va messo questo, in primissima posizione. Diremo dunque che il meglio dell’Italia lungo quell’anno, a metà del XX° secolo, all’indomani della Seconda guerra mondiale, decise il patto di cittadinanza che avrebbe retto le sorti del nostro popolo per molti decenni e forse per secoli.
E diremo che la convergenza degli italiani nell’approvazione di quel patto è attestata da due fatti altamente simbolici: che il testo sia stato approvato da più dell’80° dell’assemblea [con 453 voti favorevoli su 552: 82%] e che esso porti la firma di tre personaggi – De Nicola, Terracini, De Gasperi – che bene rappresentano le tre grandi correnti o tradizioni ideali che più avevano influito nella sua elaborazione. Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, rappresentava la tradizione liberale. Umberto Terracini – presidente dell’Assemblea costituente e fondatore con Gramsci e Togliatti del Partito comunista italiano nato nel 1921 dal Partito socialista – rappresentava la tradizione socialista e comunista. Alcide De Gasperi – presidente del Consiglio e leader prima del Partito popolare e poi della Dc – quella cattolica.
Per i cattolici – qui siamo in una sede ecclesiale – ci dovrebbe essere anche una ragione affettiva di attaccamento alla Costituzione a motivo delle grandi figure cristiane che lavorarono alla sua preparazione: De Gasperi, l’abbiamo già nominato; Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Costantino Mortati, Igino Giordani. Un giorno tutti e sei potrebbero essere venerati come santi e Moro anche come martire. Ma tra i “padri” c’erano anche molti “giusti”, o uomini di buona volontà, che pure ricordiamo con gratitudine: Piero Calamandrei, Giuseppe Di Vittorio, Luigi Einaudi, Amintore Fanfani, Vittorio Foa, Giovanni Gronchi, Nilde Jotti, Ugo La Malfa, Giovanni Leone, Pietro Nenni, Vittorio Emanuele Orlando, Ferruccio Parri, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat, Oscar Luigi Scalfaro, Ignazio Silone, Palmiro Togliatti.
Cinque punti da aggiornare
Quando fu votata la Costituzione non c’erano ancora le Regioni, che però venivano previste – non c’era la parità tra uomo e donna che sarà poi sancita da nuovi ordinamenti del diritto familiare e dei pubblici uffici – non era normato il referendum popolare, che poi divenne effettivo – non c’era lo statuto dei lavoratori – si prevedeva di più di quanto non fosse già normato riguardo ai diritti della difesa nel processo penale: nei decenni seguenti molto di questo che era stato previsto è stato realizzato.
Ma ancora molto è da realizzare! E a volte il dettato costituzionale – per quanto riguarda la seconda parte del testo: quella intitolata “Ordinamento della Repubblica” – risulta inadeguato ai problemi che si sono manifestati nel frattempo. Oggi è presente un convincimento vasto e trasversale agli schieramenti politici sulla necessità di alcune modifiche. Ne indico cinque: stabilità dell’esecutivo, potenziamento dei poteri del Presidente del Consiglio, superamento del bicameralismo ripetitivo, riduzione del numero dei parlamentari, potenziamento delle regioni con l’introduzione di elementi di federalismo. Dove c’è convergenza, si realizzi la convergenza e dove c’è contrasto si soprassieda! Così si sarebbero comportati i costituenti.
Abbiamo avuto invece – in questi ultimi otto anni – due riforme della Costituzione, avvenute ambedue con i voti della sola maggioranza parlamentare che le proponeva. Ambedue fortemente legate a scadenze elettorali, perseguite cioè anche in base a obiettivi contingenti di lotta politica. Due riforme dunque non riflettenti lo spirito unitario con cui la Costituzione era stata elaborata. Per fortuna solo la prima delle due, che fu di minima entità, è andata a effetto, risultando “confermata” dal successivo referendum, anche se fino a oggi non attuata, mentre la seconda – molto più impegnativa nei contenuti – non ha superato la prova referendaria.
La prima riforma fu approvata dal Centro Sinistra nel 2001 – riguardava il solo titolo quinto della seconda parte (Le regioni, le provincie, i comuni) – ed è stata confermata dal referendum che si tenne nell’ottobre di quello stesso anno. La seconda fu approvata nel 2005 dal Centro Destra – riguardava tutti i titoli della seconda parte, dal Parlamento al Presidente della Repubblica, al Governo, alla Magisratura, agli Enti locali, alle Garanzie Costituzionali; con revisione di 53 articoli su 80 e inserimento di tre nuovi – fu respinta dal referendum confermativo con una maggioranza dei votanti che raggiunse il 64%.
Circa la procedura da seguire per una riforma della Costituzione, l’art. 138 ha mostrato che quella prevista consente la realizzazione delle riforme, ma non è in grado di garantirne il carattere condiviso e, con esso, il mantenimento di quell’accordo trasversale agli schieramenti che caratterizzò la nascita della Costituzione. Il fatto che a contraddire lo spirito di condivisione siano stati ambedue i poli segnala l’urgenza di battersi perché siano evitate altre forzature e perché le riforme costituzionali siano condivise, come fu condivisa l’elaborazione del testo.