Relazione di Luigi Accattoli al
Secondo Convegno dei Laici Bonilliani
Trevi dell’Umbria 30 aprile 2013
Il mondo della famiglia – come testimonia anche questo bel convegno dei Laici Bonilliani – costituisce oggi la parte più viva della Chiesa italiana e quella più dotata di futuro. Con l’espressione “mondo della famiglia” mi riferisco alla vasta galassia dei gruppi famiglia, degli ambienti attivi nella pastorale della famiglia e della spiritualità familiare, alle coppie missionarie, alle famiglie con figli disabili, a quelle affidatarie e adottive, alle famiglie allargate, alle comunità di famiglie e così via.
Si parla sempre di crisi della famiglia ma non si valuta adeguatamente la risorsa che la famiglia costituisce per la Chiesa di oggi e di domani. Il suo ruolo nella trasmissione della fede “di generazione in generazione” è destinato a crescere, a misura della progressiva secolarizzazione del contesto sociale e culturale. Il ruolo della famiglia sarà domani per i cristiani – in Europa – simile a quello che è stato per l’ebraismo lungo gli ultimi due millenni: stante il contesto sfavorevole alla pratica pubblica e all’iniziazione comunitaria di quella fede, tali ruoli nelle comunità ebraiche sono stati gestiti prioritariamente dalle famiglie.
L’attuale benefico apporto delle famiglie alla vita della Chiesa Cattolica costituisce un’autentica ricchezza che abbiamo ricevuto da una storia di lunga durata e di grande spessore nella quale va inquadrata l’opera del Beato Pietro Bonilli.
Mi limito a un rapido richiamo. Come sapete meglio di me, i Laici Bonilliani fanno riferimento all’Istituto delle Suore della Sacra Famiglia fondato dal Beato Bonilli. Ebbene L’Annuario Pontificio 2013 elenca 5 Congregazioni maschili e 24 Congregazioni femminili intitolate alla Sacra Famiglia, avviate, tutte, nel periodo storico che vede la nascita dell’Istituto bonilliano: la tradizione spirituale dalla quale veniamo univa e riassumeva con questo riferimento alla Sacra Famiglia i due ideali dell’imitazione della vita che si era svolta nella casa di Nazaret intorno a Gesù e quello dell’aiuto ai laici alle prese con gli impegni della vita familiare.
In ordine alle sfide che la famiglia si trova ad affrontare oggi, svolgo tre riflessioni ispirate una alla contemplazione dei tre protagonisti della “Sacra Famiglia di Nazaret” su cui tanto insisteva il Beato Bonilli; e le altre due ai testi biblici che il Beato aveva fatto riprodurre nella “pagella” della famiglia consacrata, ricavandoli dal Libro della Genesi e dal Vangelo di Matteo.
Il mio obiettivo ora non è di fare una trattazione anche solo minimale delle sfide del terzo millennio, che sarebbe impresa troppo vasta, ma di indicare un metodo per individuarle e affrontarle. Se provassi a trattare della sfida educativa, o di quella della fragilità della coppia, o dell’accoglienza della vita, tutto il tempo a disposizione non basterebbe a dire di una sola di esse; puntando invece sul metodo, forse riesco a dire qualcosa che vale per tutte.
Innanzitutto la contemplazione della famiglia di Nazaret. Voi sapete quanto il Beato Bonilli tenesse alla presenza in ogni casa dell’immagine della Sacra Famiglia e come si sia adoperato perché nella chiesa parrocchiale di Cannaiola fossero poste in onore le tre statue di Gesù, Giuseppe e Maria. Ebbene io credo che la sostanza di quell’insegnamento, pur nella variazione del linguaggio, sia valida oggi come allora. Sia nella preghiera, sia nella riflessione, conviene che impariamo a porci di fronte ai tre “nazareni” per cercare di avere in noi le parole e i sentimenti che furono in loro.
Nelle parole di Gesù, in particolare, possiamo trovare molti elementi che riguardano la vita di famiglia. Intendo riferirmi alle parole di Gesù come sono riferite dai Vangeli canonici. La parabola del figlio prodigo innanzitutto, che oggi amiamo indicare come Parabola del padre misericordioso (Luca 15, 11-32).
La Galilea di duemila anni fa doveva essere ben poca cosa, quanto ad avventure giovanili. “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Giovanni 1, 46), avrebbero detto i nostri ragazzi affascinati dalle megalopoli. Eppure da quella parabola sembrerebbe che Gesù abbia avuto conoscenza di figli ribelli somigliantissimi ai nostri. Chissà che anche allora non si dicesse “troppa libertà”, ogni volta che un ragazzo andava all’estero e ne tornava a pezzi?
Mi affascina la conoscenza che Gesù – pur non essendo sposato – sembra aver avuto del nostro travaglio di padri e di figli. Essa traspare anche nella Parabola dei due figli, così dissimili, ai quali il padre chiede di andare a lavorare nella vigna: uno dice “sì” e non va, l’altro dice “non ne ho voglia” ma poi va (Matteo 21, 28).
Ciò che non aveva osservato durante la vita nascosta, Gesù lo viene a conoscere nella vita pubblica. Ecco i due fratelli che litigano per l’eredità, in Luca 12: “Dì a mio fratello che divida con me l’eredità”.
Anche sul comportamento pauroso o invadente dei padri e delle madri Gesù impara molte cose, predicando nelle piazze. Ecco i genitori spaventati del cieco nato, ch’egli ha guarito: “Come ora ci veda non lo sappiamo, né sappiamo chi gli abbia aperto gli occhi. Chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di se stesso” (Giovanni 9, 21).
Ed ecco l’intrepida madre dei figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, individuata come la Salomè che assiste alla crocifissione e va al sepolcro la mattina di Pasqua: dunque una vera donna! Ma prima di farsi grande nella passione, si prostra teatralmente davanti al Maestro e gli chiede “che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo Regno” (Matteo 20, 21).
Dunque Gesù conosce le debolezze dell’avventura familiare. E’ utile questo esercizio di raccolta – nei Vangeli – degli spunti di vita in cui meglio ci riconosciamo. Aiuta ad avvertire l’occhio del rabbi di Nazaret posato su di noi e sulla nostra commedia quotidiana.
Neanche le donne che si risposano cinque volte – come le attrici americane – e neppure le coppie di fatto gli restarono ignote. Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito (Luca 15, 11-32), dice alla donna di Samaria.
Importanti sono poi le parole di Gesù che hanno per destinatari, o per oggetto, i piccoli del Signore. Lasciate che i bambini vengano a me (Luca 18, 10), ovviamente. Ma anche Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Matteo 12, 25) e infine: Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Matteo 25, 40).
Decisiva – per la nostra responsabilità di padri e di madri credenti – è la trasmissione ai figli delle parole di Gesù. Dovremmo impararle a memoria e averle pronte nel cuore e sulle labbra per veicolare con esse la testimonianza della nostra fede.
Nel mondo secolare di oggi non basta che i genitori diano l’esempio, devono anche dire la fede in parole. E le parole di Gesù sono le più adatte a dire la nostra fede, perché sono all’origine di essa.
La seconda e la terza riflessione le introduco con riferimento – come dicevo – a due testi della Scrittura che il Beato Bonilli aveva posto come luci guida della sua predicazione ispirata alla Sacra Famiglia e che volle riprodotti sulla Pagella della Associazione delle famiglie consacrate alla Sacra Famiglia, che esigeva fosse presente in ogni focolare della sua parrocchia:
Genesi 45, 18: Allora il faraone disse a Giuseppe: “Prendete vostro padre e le vostre famiglie e venite da me: io vi darò il meglio del territorio d’Egitto e mangerete i migliori prodotti della terra”;
Matteo 18, 20: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”.
Nelle parole prese dal Libro della Genesi troviamo indicato l’ideale della famiglia come luogo della misericordia e dell’amore. Sappiamo quanto sia grande e grave oggi il problema dello smembramento delle famiglie che vanno in crisi, che si separano, o che sono costrette alla separazione dalle circostanze lavorative. Ho cinque figli e tre sono all’estero per lavoro: conosco sulla mia pelle il fenomeno delle lontananze familiari per circostanze lavorative.
Anche la nostra generazione conosce la divisione delle famiglie per il problema migratorio. Oltre a vedere – ben più grave – lo stesso dramma negli immigrati che arrivano tra noi da altri continenti. Ecco dunque l’attualità delle parole di Giuseppe ai fratelli: “Prendete vostro padre e le vostre famiglie e venite da me”. E’ il ricongiungimento familiare, impresa capitale del nostro tempo.
Ma nelle parole “prendete vostro padre” oggi possiamo anche intendere la raccomandazione a non abbandonare i padri e le madri nella loro vecchiaia, a non isolarli negli istituti, a non lasciarli soli: abbandonarli è grande tentazione di quest’epoca, ma è una tentazione che insieme costituisce una sfida alla tenuta umana e cristiana della famiglia. Famiglia non è solo la coppia con i figli piccoli, ma è anche la sinfonia delle generazioni.
Nelle Regole dell’Istituto della Sacra Famiglia è formulato il programma di apostolato familiare promosso dal Beato Bonilli: “Sul modello e con la protezione della Sacra Famiglia, essere famiglia, dare famiglia, costruire la famiglia”. Ricordo la battuta di una mia figlia che a tre anni, venuta con me di domenica al “Corriere della Sera” dove lavoravo, aveva passato alcune ore con le ragazze della Segreteria di Redazione che l’avevano fatta disegnare e giocare e portata a prendere un gelato mentre io scrivevo; tornando a sera verso casa mi diceva: “Papà oggi abbiamo fatto famiglia con qualcuni”. Non sapeva parlare ma già sapeva che cosa sia “fare famiglia”: cioè trattare come familiari – con familiarità, con intelletto d’amore – persone che non appartengono alla nostra famiglia di sangue.
La famiglia cristiana rende presente il Signore e proietta quella presenza in un’opera apostolica che consiste innanzitutto nel trattare con sentimenti familiari l’umanità che ci circonda: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome”. In famiglia apprendiamo a essere comprensivi, soccorrevoli, scusanti e perdonanti, lieti per il bene altrui e tristi per le altrui sofferenze. E’ l’apprendimento dell’amore per ogni fratello.
Infine la proiezione della famiglia nella vita ecclesiale e sociale. Il Beato Bonilli prima realizza un periodico intitolato “La Sacra Famiglia” e poi un altro intitolato “La Famiglia Cattolica”: nel passaggio dalla denominazione del primo periodico a quella dell’ultimo è segnalato il passaggio d’epoca, l’affermarsi della dimensione sociale e di mobilitazione del Movimento Cattolico.
Su questa frontiera abbiamo moltissimo da fare. Non tanto a difesa della famiglia, come si dice; ma a sua promozione. Occorre cioè realizzare un atteggiamento propositivo e costruttivo, altrimenti passerà l’idea che i cristiani sono difensori del passato e dunque quanti non condividono quella difesa saranno perduti come uditori del nostro messaggio. Nella promozione, poi, sarà possibile realizzare gli elementi di difesa che risultassero essenziali.
Convincere i giovani – i nostri figli e i loro amici – della validità della scelta matrimoniale. Li convinceremo soltanto con l’attestazione di una credibile felicità sponsale, non con le prediche.
Educarli, i giovani, a tener conto della tentazione dei legami brevi che è tipica della nostra epoca. Provocarli a costruire una storia d’amore dopo la fase felice dell’innamoramento. E dunque a sposarsi senza rinviare perennemente l’impegno definitivo.
In conclusione e più di tutto: stimolare i figli e i loro amici a compiere esercizi di ammirazione nei confronti dei matrimoni riusciti. Come esistono gli esercizi fisici e quelli spirituali, occorre che ci impegniamo a proporre alle nuove generazioni un esercizio di ammirazione che oggi è rarissimo, perché tutti siamo affetti dalla sindrome del lamento e del dramma; un esercizio indirizzato alle famiglie che reggono e che realizzano la forma più comunicativa di santità laicale a misura dei bisogni dell’epoca.
“Perché non vi sposate?” ci capiterà di dire ai nostri ragazzi. E ci sentiremo rispondere: “Ma papà, mamma, come pensate che ci possiamo sposare se non vediamo altro, intorno a noi, che matrimoni falliti?” Ecco, a questo punto deve scattare la pedagogia dell’ammirazione. Alt, dobbiamo dire. Proviamo a elencare quante coppie fedeli, quante nozze d’argento e d’oro – e persino di diamante – abbiamo visto negli anni intorno a noi? In parrocchia, ma anche nel nostro stabile, nel quartiere o nella città. Nel nostro parentato, nel nostro giro amicale.
La testimonianza della fedeltà coniugale, vissuta nella dedizione ai figli e ai nipoti, è il più forte argomento a promozione della famiglia e ad incitamento al matrimonio che noi possiamo addurre.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it