Le provocazioni più recenti del cardinale Martini
Parrocchia Santa Croce – Vinci, Firenze
Palazzina Uzielli – venerdì 16 gennaio 2009 – ore 21,00
1. Il dono e il coraggio di essere cristiani in questo tempo: l’aiuto che ci viene dal cardinale Martini
Ero già stato qui a Vinci qualche anno addietro e avevo un buon ricordo della vostra vivacità nel dibattito – si parlava della “purificazione della memoria” predicata da papa Wojtyla – e del modo persuasivo in cui il vostro parroco celebra l’Eucarestia.
Sono stato dunque felice di questo secondo invito. E due volte felice per l’argomento: è infatti un bell’argomento, quello che avete scelto, il messaggio sempre più vivo che ci viene dal cardinale Carlo Maria Martini, e in particolare dal suo ultimo libro. Martini è stato grande biblista e poi arcivescovo di Milano – per 22 anni: la stessa durata di Ambrogio – e cardinale di gran nome e ora fa giungere da Gerusalemme, dove si è ritirato, una voce quanto mai stimolante: più di quand’era biblista e vescovo e cardinale. Una voce che va al cuore dell’essere cristiani oggi e che ci aiuta nell’impresa della fede. Dalle sue parole ci viene un aiuto a credere.
Dobbiamo fare attenzione per non sprecare questa occasione e il rischio di sprecarla è più che evidente, se ci lasciamo prendere dalla disputa suoi problemi di politica ecclesiastica che sono legati a questa grande figura di uomo di Chiesa: se davvero sia un antipapa, come vogliono farlo apparire alcuni; quanto sia in accordo e quanto in contrasto oggi con papa Ratzinger e ieri con papa Wojtyla; la sua critica all’enciclica “Humanae vitae”, la sua idea sul ruolo delle donne nella Chiesa, sul celibato, sull’ecumenismo. Non trascureremo nessuno dei problemi che vengono affrontati nel libro, ma non vogliamo farci distrarre dal suo contenuto essenziale: che è un invito a rischiare la vita – cioè a impegnare a fondo la propria vita, tutta la vita – per amore di Gesù. E’ possibile in questo nostro tempo? Il cardinale risponde di sì e ci indica come. Questo è il punto, il resto sono corollari.
2. Partiamo dal “rischio della fede”
Il primo spunto lo prendo dal titolo del volume: Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede (Mondadori 2008). Qui il più importante è il sottotitolo. C’è nel titolo l’elemento della “notte”: “Di notte le idee nascono più facilmente che nella razionalità del giorno“, dice il cardinale nella prefazione ricordando l’ambientazione delle conversazioni con il confratello gesuita Georg Sporschill e commenta con parola felice: “Ci siamo avvicinati ai sogni” (p. 3). Proveremo un poco anche noi a sognare stasera! E poi c’è Gerusalemme: “Gerusalemme è la mia patria. Prima della patria eterna” (p.76). Qui “Dio ci incalza con Gesù” (p.75), qui “le grandi e piccole cose assumono una dinamica divina” (p.76). Ma soprattutto veniamo a sentire che Gerusalemme è un’immagine della fede con tutte le difficoltà” (ivi). Questo soprattutto ci interessa, perché noi ci interessiamo a Martini come padre e maestro nella fede.
Dunque il titolo già molto condensa. Ma il sottotitolo è ancora più capiente: “Sul rischio della fede“. Perché la fede è un rischio, perché la fede va arrischiata: ricordate la scommessa di Pascal? E badate che si tratta di scommettere la vita!
3. Che vuol dire “rischio della fede”?
L’espressione Martini non la definisce e allora – per intenderla – io ho segnato tutte le volte che nel libro ricorre la parola rischio.
“Ringrazio Dio per la libertà, con tutto il rischio che comporta” dice a pagina 13. Il rischio della fede si basa sul rischio della libertà. E il cardinale sa – e con lui ogni genitore sa – “come [negli ultimi decenni] nella società e anche nella Chiesa sia emersa una sconsiderata libertà” (p.103). Ci sono dunque pericoli e c’è un rischio serio, ma non c’è altra via per la fede: essa va giocata in questa condizione umana.
Il rischio della libertà è il rischio di perdersi nella libertà. Ma nel libro c’è anche il concetto di rischio come costo umano della fede: la fede è un salto e tu lo fai e nulla ti assicura del risultato. A pagina 32 c’è una profonda riflessione sul celibato inteso come un rischio. Egli dice che i sacerdoti e i religiosi scelgono di restare celibi per “seguire Gesù nel suo celibato”, cioè per “essere completamente liberi di servire Dio” e in tal modo “rischiano la vita per amor suo”.
“Rischiate qualcosa! Rischiate la vita” è l’appello ai giovani che formula a p. 63.
Della crisi della Compagnia di Gesù oggi in Europa dice: “Essa deve osare farsi avanti e rischiare tutto. Deve avere coraggio” (p. 81).
4. “La fede è il grande rischio della vita”
C’è un altro testo recente del cardinale Martini che dice forse con maggiore chiarezza, in poche parole, tutto questa veduta della fede come rischio della vita: si tratta di un articolo apparso il maggio dell’anno scorso sulla rivista dei gesuiti statunitensi “America” e riportato nel testo originale italiano da “Avvenire” del 27 luglio scorso con il titolo “Quale cristianesimo nel mondo postmoderno”. Vi si diceva che forse la “situazione” del cristiano nel mondo postmoderno tutto considerato “è migliore di quella che esisteva prima”, perché in questo mondo di “libertà senza freni” il cristianesimo “ha la possibilità di mostrare meglio il suo carattere di sfida” e “la fede compresa come un rischio diventa più attraente”. Quel “rischio” viene così descritto: “La fede è il grande rischio della vita. ‘Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà’ (Matteo 16, 25). Tutto deve essere dato via per Cristo e il suo Vangelo“.
5. Il “rischio” della fede si affronta con il “coraggio” della fede
Il libro è per intero un invito al coraggio. Rivolto prima alle persone, ai giovani in particolare e poi anche alla comunità della Chiesa nel suo complesso.
Al centro del volume c’è un capitolo intitolato “Il coraggio di decidere”, che parte dalla considerazione della figura di Abramo: “Dio lo inviò nell’incertezza e Abramo partì. Ebbe il coraggio di decidere. Così diventò la benedizione di molti. Ancor oggi, la sinagoga, la chiesa e la moschea vivono della sua audacia. Abramo è il padre di tutti gli uomini che credono e hanno fiducia. Andiamo verso il futuro, la gioventù in testa, e cerchiamo nuove strade per gli uomini. Insieme ad Abramo dico ai miei amici: coraggio! E ne auguro di più a tutti noi nella Chiesa” (p. 42).
6. L’ultima prova: dire sì a Dio nella morte
Prima delle singole chiamate al coraggio che sono disseminate per il libro – e che vedremo più avanti – dobbiamo trattare della chiamate centrale, che è quella riguardante la morte: perché la morte è la prova più grande e dunque chiede il coraggio più grande. Il coraggio di “affidarsi” al Signore. Perché le prove della fede – il “rischio” dice Martini – si superano con “l’affidamento al Signore” e dunque la morte, che è la prova decisiva, richiede l’affidamento più grande: “Senza la morte non saremmo capaci di dedicarci completamente a Dio. Terremmo aperte delle uscite di sicurezza, non sarebbe vera dedizione. Nella morte, invece, siamo costretti a riporre la nostra speranza in Dio e a credere in lui. Nella morte spero di riuscire a dire questo sì a Dio” (p. 10).
In un altro testo recente – “Affidamento totale a Dio”, che tratta del “pensiero alla morte” di Paolo VI, apparso nel volume Paolo VI uomo spirituale e anticipato il 28 settembre scorso da Avvenire con il titolo “Meditazioni sulla morte” – quel pensiero il cardinale lo svolge così: “La morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio (…) Ciò che ci attende dopo la morte è un mistero, che richiede da parte nostra un affidamento totale. Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo a occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani“.
7. “Dove ardono conflitti lo Spirito è all’opera”
La prima delle chiamate al coraggio che ci viene dal cardinale in queste conversazioni” potremmo intitolarla così: “Non avere paura del conflitto, della varietà, delle novità, dell’incontro con mondi a te sconosciuti”. Questa formulazione riassuntiva è mia, ma ecco una frase del cardinale: “Io sono convinto che là dove ardono conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera” (p. 3).
Un’affermazione più articolata della stessa idea la troviamo nell’articolo – citato sopra – per la rivista America: “Non avere paura di ciò che è diverso o nuovo, ma consideralo come un dono di Dio. Prova a essere capace di ascoltare cose molto diverse da quelle che normalmente pensi, ma senza giudicare immediatamente chi parla. I giovani sono molto sensibili a un atteggiamento di ascolto senza pregiudizi“.
Più che il conflitto, secondo il cardinale si dovrebbe temere la troppa quiete: “Mi dicono che un tempo la gioventù era più combattiva e più critica di oggi. Se la gioventù è diventata silenziosa, ciò desta in me la preoccupazione che il suo cuore sia altrove, che non nutra più alcun interesse per la Chiesa e il suo sviluppo, per le sue grandi missioni nel mondo. Se nella Chiesa regna troppa calma, se nella società si diffonde a macchia d’olio una sensazione di sazietà, sento la nostalgia di Gesù di lanciare sulla terra il fuoco ardente dell’entusiasmo” (p. 44).
Per “imparare a vivere la vastità dell’essere cattolico” Martini invita a cogliere dalla consuetudine con la Scrittura “l’ampiezza della visione di Dio”: “Chi legge la Bibbia e ascolta Gesù scoprirà che lui si meraviglia della fede dei pagani. In un passo del Vangelo egli non propone come modello il sacerdote, bensì l’eretico, il samaritano. Quando pende dalla croce, accoglie in cielo il ladrone. Il migliore esempio è Caino: Dio segna Caino per proteggerlo e far sì che nessuno possa ucciderlo. Ma prima Caino si è macchiato di una colpa: ha ucciso suo fratello. Nella Bibbia, Dio ama gli stranieri, aiuta i deboli, vuole che soccorriamo e serviamo in diversi modi tutti gli uomini. L’uomo, invece, e anche la Chiesa corrono sempre il rischio di porsi come assoluti” (p. 20).
8. “La situazione della Chiesa esige delle decisioni”
Le chiamate al coraggio Martini le rivolge ai singoli, ai giovani, agli educatori e a tutti: perché “chi non prende decisioni si lascia sfuggire la vita” (p. 65). Ma quella chiamata l’indirizza anche – e specificamente, in più passi del volume – alle persone che hanno autorità nella Chiesa: “Oggi in Europa, specie in Europa occidentale, la situazione della Chiesa esige delle decisioni“, leggiamo a p. 42. Il riferimento è all’indebolimento del rapporto della Chiesa con i giovani: “Manca la prossima generazione” (ivi).
Uno potrebbe obiettare: ma non ci sono le folle giovanili delle Giornate mondiali della gioventù? Sì ci sono, ma non bastano, risponderebbe il cardinale. E io – che sono padre di ragazzi che hanno partecipato alle Giornate – dico che egli ha ragione. Bisogna muoversi, insiste Martini e argomenta che se Cristo tornasse “infonderebbe molto coraggio, perché oggi molte cose avvengono per paura” (p. 27).
Innanzitutto – secondo Martini – occorrerebbe trovare il modo di “rendere indipendenti i cristiani” (p. 66), istruendoli a “vivere con la Bibbia” in modo di “trovare risposte personali a domande fondamentali” senza dipendere costantemente dall’autorità: “La parrocchia e la Grande Chiesa diventerebbero un contesto che procura stimoli e supporto, non necessariamente un magistero da cui il cristiano dovrebbe dipendere e che spesso prende a pretesto per allontanarsi” (p. 66).
Questo ideale del cristiano “indipendente” o “autonomo”, che è “in grado di testimoniare in maniera convincente la sua fede anche davanti ad altri e saperne rispondere” (ivi), torna più avanti nel volume, in riferimento a Ignazio di Loyola: “Mediante gli esercizi, ha mostrato ai cristiani un modo per poter diventare persone autonome e capaci di giudicare in diretto rapporto con Dio” (p. 82).
9. Problemi che attendono “nuove risposte”
Metto qui – in rapida rassegna – le questioni discusse alle quali già accennavo in apertura, che sono toccate dal cardinale nelle “conversazioni” e che hanno fornito ai media lo spunto più frequente per parlare di questo volume.
Il cardinale indica in più di un passaggio “il rapporto con la sessualità e la comunione per divorziati e risposati” come “problemi” ai quali dare “nuove risposte” e che egli ebbe a suggerire ai cardinali, nel preconclave del 2005, in “preparazione all’elezione dell’ultimo papa” (p. 42).
Dell’Humanae vitae tratta alle pp. 91-94, esprimendo l’opinione che “quasi quarant’anni di distanza potrebbero consentirci una nuova visione” e permetterci di “mostrare una via migliore”, formulata “in modo tale che alla responsabilità di chi ama spetti un ruolo importante e decisivo”.
A proposito dell’Aids dice a p. 95 che “anche l’ipotesi di consentire l’uso dei preservativi come male minore alle coppie che hanno contratto l’Hiv non è sufficiente“.
Quanto alla predicazione in materia sessuale osserva che “in passato la Chiesa si è forse pronunciata anche troppo intorno al sesto comandamento: talvolta sarebbe stato meglio tacere” (p. 94). Si tratterà dunque di “accompagnare” la maturazione dei giovani in questa materia “con benevolenza, interrogando e pregando” (p. 96), tenendo conto che “la Bibbia limita in modo evidente i messaggi sulla sessualità” (p. 97).
A p. 114 il cardinale usa di passaggio l’espressione “accettazione dell’omosessualità“, mentre a p. 98 specifica: “Io propendo per una gerarchia di valori e non, in linea di principio, per una parità di diritti” tra coppie omosessuali ed eterosessuali. E chiede all’interlocutore che in questa materia gli sia concessa “la riservatezza e la discrezione che a mia volta chiedo alla Chiesa in tema di sessualità”. In conclusione afferma che “La Chiesa deve lavorare a una nuova cultura della sessualità e della relazione” (p. 99).
Quanto al celibato dei preti afferma che “la possibilità di consacrare viri probati dovrà in ogni caso essere discussa” (p. 100).
Sul ruolo delle donne “la nostra Chiesa è un po’ timida”. “Non dobbiamo essere scontenti perché la Chiesa evangelica e quella anglicana ordinano donne” e “tuttavia questo non è un motivo per uniformare le diverse tradizioni” (pp.108s).
10. Coraggio ma non “sconsiderata libertà”
“Sì, voglio una Chiesa aperta, una Chiesa che abbia le porte aperte alla gioventù, una Chiesa che guardi lontano” e “io confido nella radicalità della parola di Gesù che dobbiamo tradurre nel nostro mondo” (p. 109), ma questo non significa ignorare le difficoltà di questo momento storico, dovute sia a chi si allontana dal Concilio, sia a chi rivendica una totale libertà: “Vi è un’indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio. Il coraggio e le forze non sono più grandi come a quell’epoca e subito dopo. Ed è indubbio che nel primo periodo di apertura alcuni valori sono stati buttati a mare. La Chiesa si è dunque indebolita […] penso a quanti in questo periodo hanno abbandonato il sacerdozio, a come la Chiesa sia frequentata da un numero sempre minore di fedeli e a come nella società e anche nella Chiesa sia emersa una sconsiderata libertà. E’ comprensibile che soprattutto i vescovi e gli insegnanti conservatori vogliano limitare le manifestazioni di disgregazione e siano tentati di tornare ai vecchi tempi. Ciò nonostante dobbiamo guardare avanti” (p. 103).
Questa pagina è stata poco segnalata nelle recensioni, ma è importante nell’economia del volume: essa chiarisce che il cardinale vede una difficoltà in chi “prende le distanze” dal Concilio, ma anche in chi propugna una “sconsiderata libertà”.
11. “Sii amico dei poveri” e “combatti il peccato del mondo”
Così il cardinale descrive il rischio che si corre a dare corpo d’amore all’obbedienza della fede, cioè a lottare contro le ingiustizie e le vessazioni di cui sono fatte oggetto le creature umane, in ogni parte del globo: “Il peccato del mondo non deve essere minimizzato, né ricondotto a debolezze personali. Il peccato è un appello a decidere. Chi è pronto a lottare con Gesù contro l’ingiustizia? Chi si spinge in questa lotta al punto di accettare, come Gesù, svantaggi, ingiurie e sofferenza? Il mondo reclama a gran voce giovani coraggiosi” (p. 122).
Quando all’espressione “peccato del mondo”, che Martini prende dalla predicazione di Giovanni il Battezzatore (“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”, Giovanni 1, 29), in altra pagina il cardinale afferma che “sono ‘peccati del mondo’ anche le catastrofi naturali che falciano migliaia di persone” (p. 12). E ancora: “Con ‘peccato del mondo’ la Bibbia non si riferisce solo alle nostre colpe personali, bensì a tutte le ingiustizie e ai pesi che ereditiamo. Gesù ci chiama a collaborare alla guarigione là dove l’ordine divino del mondo è stato violato” (p. 31).
Questa calda prospettiva di impegno sociale Martini la presenta così nel testo già citato comparso sulla rivista America e ripreso da Avvenire: “Sii amico dei poveri. Metti i poveri al centro della tua vita perché essi sono gli amici di Gesù che ha fatto di sé stesso uno di loro“.
Emblematico nella sua forza biblica è questo passaggio: “La ricchezza è pericolosa: dobbiamo fare attenzione a usarla per la nostra felicità e per una maggiore giustizia, affinchè non diventi un peso. Gesù ha espresso questa concreta preoccupazione con le parole: ‘E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli’” (p. 13).
12. Essere audaci nella preghiera
Termino tornando con la mia presentazione al cuore del messaggio che ci viene dal cardinale: “Il rapporto con Gesù, che può crescere in ogni cosa, è per me la più profonda fonte di senso, di gioia di vivere” (p. 35).
Alla domanda su che cosa chiederebbe a Gesù se ne avesse la possibilità, Martini risponde con mite audacia: “Gli chiederei se in punto di morte mi verrà a prendere, se mi accoglierà. In quei momenti difficili, nel distacco o in punto di morte, lo pregherei di inviarmi gli angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura” (p. 11).
Questo il suo invito alla preghiera audace: “Con Dio possiamo anche lottare come Giacobbe, dubitare e combattere come Giobbe, piangere come Gesù e le sue amiche Marta e Maria. Anche queste sono vie che conducono a Dio” (p. 17).
Infine l’audacia è tutta giocata, di nuovo e sempre, in vista della propria morte e si fa audacia della fiducia, o dell’abbandono: “Io parto dal principio che Dio non pretenda troppo da me: sa cosa possiamo sopportare. Forse in punto di morte qualcuno mi terrà la mano. Mi auguro di riuscire a pregare” (p. 36).