“E’ mia intenzione di continuare a essere al servizio di tutti gli iracheni, cristiani e musulmani” dice della sua nomina a cardinale il patriarca caldeo Emmanuel III Delly intervistato dall’Osservatore Romano. Ha compiuto 80 anni il mese scorso e queste sue parole sono le più evangeliche che io abbia trovato girando intorno al Concistoro: “In Iraq non c’è persecuzione verso i cristiani in quanto tali ma verso il popolo iracheno, perchè le autobombe ammazzano cristiani e musulmani indifferentemente, senza guardare all’etnia o alla religione. Le sofferenze dei cristiani sono quelle dei musulmani e viceversa. Sono state distrutte non solo chiese ma anche moschee. E ciò in un Paese in cui entrambe le comunità vivono insieme da quattordici secoli. È per questa ragione che i musulmani – sanniti e sciiti – vengono da me e io vado da loro”. Il mio abbraccio al cardinale patriarca che parla la lingua dei giusti.
Concistoro: dall’iracheno Delly le parole del giusto
6 Comments
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Da far conoscere a G. W. Bush!
Aggiungo altri link per il Nostro:
http://www.mascellaro.it/web/index.php?page=articolo&CodArt=17625
http://www.mascellaro.it/web/index.php?page=articolo&CodAmb=0&CodArt=17741
Visto che ci siamo, mandiamogli anche questi
http://www.mascellaro.it/web/index.php?page=articolo&CodAmb=0&CodArt=17741
e
http://www.mascellaro.it/web/index.php?page=articolo&CodArt=17625
Che vuol dire? Bush lo sa benissimo, ha mandato le truppe in Iraq per “esportare la democrazia” (concetto di sinistra, peraltro) tra i musulmani, mica per liberare i cristiani! Alcuni alti esponenti del clero sciita iracheno sono stati uccisi dai teroristi perche’ considerati filoamericani. La fola del Bush “crociato”, per favore, risparmiamocela! Che poi la guerra in Iraq fosse o no opportuna, e’ un altro discorso.
Un quadro realistico della situazione lo si può trovare in questa intervista:
I cristiani, capri espiatori d’Oriente
Parla l’intellettuale francese Debray • Finché servivano a tenerlo insieme e a modernizzarlo, i cattolici hanno avuto il loro posto nel mondo arabo. Adesso che il collante è invece l’islam, vengono spinti a emigrare. Ma l’Occidente con loro perde un potente elemento di mediazione • «A Baghdad si fanno vendette per interposta persona: dato che non si riesce a raggiungere i soldati americani, si attaccano i credenti… • Per i fedeli del Vangelo l’invasione dell’Iraq è una catastrofe seconda solo all’eccidio d’armeni»
di Claire Lesegretain
Tratto da Avvenire del 20 novembre 2007
Oggi presidente onorario dell’Istituto europeo di Scienze delle religioni, Régis Debray – l’intellettuale francese che divenne celebre negli anni Sessanta per aver combattuto a fianco di Che Guevara – ha promosso nei giorni scorsi a Parigi un colloquio internazionale su «Il futuro dei cristiani d’Oriente» cui hanno partecipato – tra gli altri – il patriarca Michel Sabbah, padre Emile Shoufani, l’ortodosso George Khodr del Monte Libano, l’arcivescovo di Baghdad Jean Benjamin Sleiman, l’ausiliare copto-cattolico del Cairo Yohanna Golta, padre Samir Khalil Samir.
Professor Debray, perché ha organizzato questo colloquio?
«I cristiani d’Oriente sono l’angolo cieco della nostra visione del mondo: essi sono ‘troppo’ cristiani per i sostenitori del terzomondismo e ‘troppo’ orientali per gli occidentalisti… È questa difficoltà, questo silenzio che volevo contribuire a rompere».
In che senso l’attuale contesto rende il dialogo più urgente?
«L’invasione dell’Iraq da parte delle truppe anglo-americane è una catastrofe la cui gravità storica per i cristiani viene subito dopo il genocidio armeno. C’erano 500 mila cristiani in Iraq 10 anni fa e ora la metà ha dovuto andarsene… E l’ironia è che questa catastrofe è stata innestata da un Paese cristiano, o supposto tale. Gli arabi cristiani, incastrati fra l’incudine di un Occidente imperiale e il martello della crescita dell’islamismo, sono accusati di essere il cavallo di Troia di un Occidente poco preoccupato dei ‘danni collaterali’».
Che cosa ha percepito nel corso dei seminari che ha condotto a Gerusalemme, Amman, Beirut e Damasco?
«Ho compreso che tutte queste comunità arabo-cristiane (cattoliche, ortodosse, copte o maronite) giocano un ruolo insostituibile di trait d’union e di mediatori fra l’esterno e l’interno, l’Occidente e l’Oriente. Inoltre, esse non sono soltanto un elemento d’equilibrio, evitando al mondo arabo-musulmano di ripiegarsi su se stesso, ma anche di modernizzazione. Fino a quando l’arabismo è rimasto l’elemento unitivo (dopo la fine dell’Impero ottomano), i cristiani d’Oriente hanno avuto il loro posto. Adesso che il collante non è più culturale ma religioso (l’islam), i cristiani non sono più percepiti come parte della famiglia, mentre i turchi e gli iraniani ritrovano spazio. Questo ribaltamento è avvenuto al momento dell’arrivo di Khomeini in Iran (1978) e della sconfitta dell’arabismo politico. Paradossalmente, di nuovo, è l’Occidente che ha contribuito alla sconfitta del progressismo arabo con la conseguente emarginazione dei cristiani, in Palestina come in Egitto…».
Quale avvenire le sembra possibile?
«Il timore è che la Terra Santa diventi una Disneyland spirituale, con i cristiani a fare le comparse esotiche. Noi occidentali siamo posti di fronte a un conflitto di doveri: o interveniamo apertamente in loro favore, discreditandoli nei confronti del vicini, o li abbandoniamo al loro destino. Si deve trovare una terza strada fra ingerenza e indifferenza!».
Cosa fare per manifestare la nostra solidarietà?
«Non dobbiamo bendarci gli occhi… I Paesi del Golfo distribuiscono denaro alle comunità musulmane della regione per decine di milioni di dollari. La comunità ebraica americana sostiene istituzioni in Israele per milioni di dollari. Invece, quando l’Europa aiuta un’istituzione cristiana d’Oriente, siamo nell’ordine di migliaia di dollari…».
Ma i cristiani d’Oriente non sono stati spesso indicati come «amici» degli ambienti finanziari?
«Ho constatato che buona parte dei luoghi comuni della propaganda antisemita d’un tempo si ritrovano nel discorso anticristiano di un certo islam radicale attuale. Si rimprovera ai cristiani di essere ricchi e sovversivi, plutocrati e bolscevichi, adepti del particolarismo e cosmopoliti! Ciò è vero solo nel senso che i cristiani in Oriente hanno innegabilmente giocato un gran ruolo nel movimento comunista, nella stampa, nell’editoria e nel teatro, restando al contempo degli otti- mi capitalisti».
Dunque oggi sono diventati capri espiatori, come gli ebrei in Occidente?
«In Iraq oggi si osservano varie vendette per interposta persona: dato che non si possono raggiungere i soldati americani, trincerati nella loro ‘zona verde’, si attaccano i cristiani di Baghdad. Con la volontà, sullo sfondo, di insediare una società musulmana pura, da cui i ‘microbi’ cristiani siano allontanati…».
Concretamente, come tentare di arrestare l’emigrazione dei cristiani d’Oriente?
«Informare. Per aiutare i cristiani d’Oriente occorre innanzitutto ascoltarli, e comprendere ciò che oggi li rende inascoltabili; a cominciare dal sospetto di antisemitismo che pesa su di loro. I cristiani d’Oriente possono essere antisionisti, ma non se ne può fare degli antisemiti. Essi rappresentano la comunità che più porta tolleranza, laicità, senso civico. Sono all’avanguardia per la questione della coesistenza delle minoranze, che sta diventando una sfida civile fondamentale del XXI secolo. La questione dei cristiani d’Oriente è esemplare: se le minoranze cristiane d’Oriente vengono asfissiate dalle società in maggioranza musulmane, è un cattivo segnale per l’islam di domani, e lo scontro delle civiltà non sarà più molto lontano».
(per gentile concessione del quotidiano «La Croix»)
concordo con quanto sopra, ma per un quadro piu’ completo occorrerebbe anche quanto scritto in un blog della “concoirrenza” :-):
Concistoro: il cardinale dell’Iraq rompe il divieto e dà la buona notizia
Postato in General il 25 Novembre, 2007
Nell’omelia per la creazione dei nuovi cardinali, sabato 24 novembre, Benedetto XVI ha dedicato una menzione speciale al patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly:
“Chiamando ad entrare nel collegio dei cardinali il patriarca della Chiesa Caldea ho inteso esprimere in modo concreto la mia vicinanza spirituale e il mio affetto per quelle popolazioni [dell’Iraq]. Vogliamo insieme, cari e venerati fratelli, riaffermare la solidarietà della Chiesa intera verso i cristiani di quella amata terra e invitare ad invocare da Dio misericordioso, per tutti i popoli coinvolti, l’avvento dell’auspicata riconciliazione e della pace”.
Il patriarca Emmanuel III, in un’intervista a “L’Osservatore Romano”, ha detto di sperare che la porpora a lui conferita dal papa “si riveli utile per il mio paese, per la terra dove è nato il nostro padre Abramo: è infatti mia intenzione di continuare ad essere al servizio di tutti gli iracheni, cristiani e musulmani. Credo che il papa abbia voluto dare un segnale di riconciliazione”.
E alla domanda sulla situazione attuale dell’Iraq, ha risposto:
“Adesso le cose vanno lentamente migliorando, molte famiglie cominciano a tornare alle loro case e anche le chiese stanno riaprendo al culto. Questi sono segni di speranza e i cristiani sono figli della speranza”.
Con questo il patriarca ha dato quella buona notizia sul miglioramento della situazione in Iraq che – ingiustificatamente – la gran parte dei media italiani non danno, come fosse vietato.
Alla vigilia del concistoro, un altro testimone autorevole della Chiesa irachena, il vescovo di Kirkuk, Louis Sako, aveva dato all’agenzia “Asia News” un resoconto ancora più dettagliato di questo miglioramento. Che cominciava così:
“La sicurezza in Iraq è migliorata in modo tangibile, soprattutto a Baghdad. L’esercito, insieme alle forze di coalizione, controlla ormai tutti i settori della capitale. Alcune voci dicono che Iran e Siria controllano le frontiere e non permettono ai terroristi di entrare nel paese. La violenza è diminuita anche per un’altra ragione: a poco a poco le diverse zone nel paese sono divenute settori esclusivi di una sola etnia, secondo un criterio appoggiato e voluto anche dagli Stati Uniti. Anche i media irakeni sono divenuti più tranquilli. Secondo fonti governative, ogni giorno dalla Siria tornano a casa almeno un migliaio di irakeni. Fra loro vi sono anche gruppi di famiglie cristiane. Le chiese, chiuse per un certo tempo, tornano ad essere aperte…”.