Amici belli, il gruppo di lettori della Bibbia che si riunisce a casa mia con il nome di “Pizza e Vangelo” affronta lunedì 19 la terza delle cinque “apologie” di Paolo che sono nei capitoli 23-25 degli Atti: quella del capitolo 24, versetti 10-22. Bravura d’avvocato nello svolgere la propria difesa, centralità della risurrezione, indivisa appartenenza al Giudaismo e alla Comunità dei discepoli di Gesù gli elementi salienti dell’orazione forense svolta dall’apostolo. Nei commenti la scheda inviata ai partecipanti, il testo che leggeremo, l’invito dei “passanti” a venire da noi.
Con Paolo che si difende davanti al procuratore Felice
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Paolo, prigioniero a Cesarea, svolge la sua difesa davanti al procuratore romano Felice in risposta all’accusa dei Giudei che nel brano precedente era stata esposta da un loro avvocato di nome Tertullo. Fomenta rivolte ed è a capo della setta dei Nazorei, cioè dei cristiani: questa era stata l’accusa. Nella risposta l’apostolo di nuovo afferma la fede nella risurrezione, che già aveva professato a Gerusalemme, davanti al Sinedrio, nel capitolo 23 e che di nuovo affermerà nel capitolo 25, ancora a Cesarea, davanti al re Agrippa.
Elemosine alla mia gente. Va notata la rispondenza tra la centralità della risurrezione nella predicazione di Paolo quale risulta dalle lettere di più sicura attribuzione e in quella delle “apologie” che l’apostolo svolge nella parte finale degli Atti, cioè nei capitoli 22-25: il libro ha 28 capitoli, ma gli ultimi tre si limitano a narrare il viaggio del “prigioniero” verso Roma. Presteremo attenzione anche al versetto 17, nel quale Paolo afferma così la ragione del suo pellegrinaggio a Gerusalemme, durante il quale ha subito l’assalto dei Giudei e l’arresto da parte dei Romani: “Sono venuto a portare elemosine alla mia gente e a offrire sacrifici”. Un’efficace espressione della sua indivisa appartenenza al Giudaismo nel quale è nato e alla comunità dei discepoli di Gesù alla quale si è convertito.
Atti 24, 10-22: Quando il governatore fece cenno a Paolo di parlare, egli rispose: “So che da molti anni sei giudice di questo popolo e parlo in mia difesa con fiducia. 11Tu stesso puoi accertare che non sono passati più di dodici giorni da quando sono salito a Gerusalemme per il culto. 12Non mi hanno mai trovato nel tempio a discutere con qualcuno o a incitare la folla alla sommossa, né nelle sinagoghe, né per la città 13e non possono provare nessuna delle cose delle quali ora mi accusano. 14Questo invece ti dichiaro: io adoro il Dio dei miei padri, seguendo quella Via che chiamano setta, credendo in tutto ciò che è conforme alla Legge e sta scritto nei Profeti, 15nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti. 16Per questo anche io mi sforzo di conservare in ogni momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini. 17Ora, dopo molti anni, sono venuto a portare elemosine alla mia gente e a offrire sacrifici; 18in occasione di questi, mi hanno trovato nel tempio dopo che avevo compiuto le purificazioni. Non c’era folla né tumulto. 19Furono dei Giudei della provincia d’Asia a trovarmi, ed essi dovrebbero comparire qui davanti a te ad accusarmi, se hanno qualche cosa contro di me. 20Oppure dicano i presenti stessi quale colpa hanno trovato quando sono comparso davanti al sinedrio, 21se non questa sola frase, che io gridai stando in mezzo a loro: “È a motivo della risurrezione dei morti che io vengo giudicato oggi davanti a voi!””. 22Allora Felice, che era assai bene informato su quanto riguardava questa Via, li congedò dicendo: “Quando verrà il comandante Lisia, esaminerò il vostro caso”.
Venghino tutti. Chi voglia sapere che sia “Pizza e Vangelo” vada nella pagina che ha questo nome ed è elencata per quarta sotto la mia foto, ad apertura del blog. Propongo ai visitatori i testi che affrontiamo nel gruppo biblico [c’è da 17 anni] perché chi può tra i visitatori mi dia una mano nella preparazione della lectio. Ma faccio questa segnalazione anche perché chi è a Roma, o capita a Roma nei nostri lunedì, venga alle serate. Chi volesse esserci mi mandi un’e-mail e io gli dirò il dove e il come. Saremo felici di avere nuovi ospiti e non abbiate paura di non sfamarvi: la pizza ci avanza sempre.
La volta scorsa. Chi voglia nasare qualcosa di quello che abbiamo letto nell’ultimo incontro vada qui:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/con-paolo-a-cesarea-processato-come-capo-dei-nazorei/#comments
Caro e stimato Luigi, a proposito della “centralità della risurrezione nella predicazione di Paolo”, ti posso dire che nella traduzione del Vangelo di Giovanni adottata dalla CEI ci sono un paio di errori, o, per lo meno, imprecisioni. L’ho scoperto facendo delle ricerche per quello che sto scrivendo su “Miryàm, secondo me”, che tu un po’ conosci.
Giovanni, in Gv, 20, 6, scrive che “Simon Pietro entrò nel sepolcro e vide tà othònia keìmena”. Nella versione CEI del Vangelo le parole greche sono tradotte con “le bende per terra”. Ma la traduzione esatta di “othònia” è “fasce” perché lo stesso Giovanni, nella resurrezione di Lazzaro, scrive che il morto uscì dal sepolcro con i piedi e le mani legati con bende, ma, per queste, usa il vocabolo keirìai e non othònia. Così come il verbo keìmena, che è participio passato del verbo keîmai, non può essere tradotto con “per terra”, perché ha il significato verbale di “giacere”, “essere disteso in una posizione orizzontale”. Perciò le fasce non erano a terra, ma distese, afflosciate in una posizione orizzontale. Non erano state sciolte o manomesse, dunque. Questa esatta traduzione è tratta dal libro “Sulle tracce di Cristo Risorto – Con Pietro e Giovanni testimoni oculari” di Antonio Persili (Edizioni Centro Poligrafico Romano, Tivoli 1988).
Se ti interessa, scriverò anche del secondo errore o imprecisione. La cosa secondo me, è molto importante, perché si parla della risurrezione di Gesù. Non per nulla era centrale nella predicazione di Paolo. Alphiton può senz’altro contribuire, visto che è un docente di greco.
Saluti belli e cari.
Con tutta la stima per Giuseppe Di Melchiorre credo che la CEI abbia consultato fior di esperti di greco.
Caro Andrea Salvi, grazie per la stima che comunque non merito. Infatti quanto ho scritto non è farina del mio sacco. Mi sono limitato a riportare, come indicato nel mio intervento, quello che ho letto a proposito dell’errore o imprecisione di traduzione del versetto del Vangelo di Giovanni riguardante la risurrezione di Gesù. E comunque il mio non vuole essere assolutamente un atto d’accusa alla CEI… Non sono proprio il tipo… Nel mio insignificante piccolo, poi, mi ritengo un cultore del dubbio… La cosa più importante, infatti, è avere FEDE in Gesù… Anche perché la storia della scrittura dei Vangeli è lunga e complicata…
Un caro saluto…
Giuseppe Di Melchiorre l’attuale traduzione Cei (2008) del brano di Giovanni al quale fai riferimento è questa:
4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Messa così la rovi corretta? Quella che riferivi non è la traduzione vigente ma quella precedente, del 1974.
Caro Luigi, così è più corretta. Ma non sono io che sostengo queste cose. Ma ti riporto quanto ho trovato nel libro menzionato nel mio precedente intervento:
Giovanni nel suo Vangelo: “Kaì tò soudàroin, hò ên epì tês kephalês ou metà tôn othonìon keìmenon, allà khorìs entetyligménon eis héna tópon”. Il Vangelo CEI l’espressione “ou metà tôn othonìon keìmenon” la traduce con “non posato là con i teli”, mentre la traduzione esatta è “non con le fasce disteso” perché c’è il participio “Keìmenon” che va tradotto nella sua forma verbale. Poi “allà khorìs entetyligménon” dalla CEI è tradotto “ma avvolto in un luogo a parte”. La traduzione esatta è invece “ma al contrario avvolto”. Infatti “entetyligménon” è il participio del verbo “entylìsso” che, secondo il Vocabolario greco-italiano Rocci, significa “avvolgo, involgo, ravvolgo”. Poi se “khorìs” può significare “separatamente”, secondo il medesimo vocabolario significa anche “differentemente, al contrario”, che è la traduzione più logica, perché precisa la posizione diversa del sudario. Infatti la traduzione esatta di “eis héna tópon” non è “in un luogo a parte”, “ma in una posizione unica”, nel senso di “straordinaria”. “Topos”, infatti, oltre a “luogo” significa anche “posizione”. Il numerale “heîs, mía, hén” da cui “héna”, secondo il Vocabolario greco-italiano del Bonazzi, “talora deve tradursi con UNICO”, nel senso di singolare, eccezionale, irripetibile. Perciò la posizione del sudario non era distesa, come quella delle fasce, ma rialzata ed avvolta. Una posizione straordinaria, dunque. Indice dell’avvenimento miracolosamente straordinario della Resurrezione. Cioè il corpo di Gesù, glorificato con la resurrezione, passò in modo straordinario attraverso fasce e sudario, lasciandoli nello stato in cui erano mentre si trovava dentro.
Buona notte, Luigi!…