1923 – Alla Beatissima Vergine / con devoto affetto / eressero i fedeli qui sotto segnati – Accattoli Luigi / Accattoli Pietro / Accattoli Pasquale / Apisi Gaetano / Badialetto Giulio / Bellezze Luigi / Capomaggi Augusto / Carloni Pietro / Carloni Costantino / Cenci Marino / Cesari Pacifico / Catena Vincenzo / Menghini Nazzareno / Mengoni Antonio / Papa Augusto / Pretini Vitaliano / Piergiacomi Costantino / Polenta Augusto / Quercetti Pacifico / Cupito Cesare / Rossini Nazzareno. È la lapide in marmo bianco posta sul davanti di un’edicola mariana che si trova alla confluenza di due strade bianche – “imbrecciate” si diceva una volta – sul confine tra i comuni di Osimo, Montefano e Recanati, a cento metri dalla casa dove sono nato. Quell’Accattoli Luigi che apre l’elenco dei “segnati” è il mio nonno paterno, del quale “rinnovo il nome”. A quella data il mio papà di nome Giuseppe aveva 24 anni. Io sarei nato – sesto dei sette figli – vent’anni più tardi. Ora siamo nel novantesimo di quella piccola costruzione in mattoni che le manovre dei camion, dei trattori e delle trebbie hanno fino a oggi risparmiato. Immagino di essere il primo che abbia trascritto le parole scalpellate in caratteri maiuscoli che oggi diremmo New Roman. Nei primi commenti alcune mie inutili divagazioni sui nomi e i vocaboli della lapide.
Con affetto i ventuno qui sotto segnati
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I fedeli qui sono segnati immagino che sia una risonanza di Apocalisse 7 che si leggeva nella Liturgia di Tutti i Santi: “Della Tribù di Beniamino dodici mila segnati”. Sempre in dipendenza da lì si diceva: “Segnato nel libro della vita”. “Vatti a segnare” quando uno voleva entrare in un qualche elenco.
Gli Accattoli sono tre su ventuno: in effetti l’albero degli Accattoli era il più frondoso della contrada. Siamo solo in questa zona (più qualcuno emigrato in Argentina, qualcuno in Piemonte, qualcuno a Roma: io tra questi) e dunque qui sembriamo molti.
Tra i nomi figurano tre Augusto: vuol dire probabilmente che erano nati in agosto. Si dava molta importanza alla data di nascita nella scelta del nome. Tra i “segnati” abbiamo anche un Paquale, cioè nato a Pasqua.
Oltre ai tre Augusto vi sono due Costantino, due Luigi, due Pietro, un Giulio e un Cesare: ai semplici piacevano i nomi imperiali e regali. Anche tra i cognomi vi è un Cesari che viene da Cesare e un Carloni che deriva da Carlo.
I due Nazzareni guardano a “Gesù Nazzareno”. Chi si chiamava Nazzareno veniva detto Neno e il suo nome era scritto con due zeta. Oggi lo scriviamo con una, non so dire perché. Forse con due suonava più deciso.
Il giro dei nomi di battesimo era stretto: noi in famiglia eravamo sette fratelli – oggi siamo cinque – e tra noi figurano un Augusto, un Nazzareno, un Luigi. Cioè tre dei 14 nomi scolpiti nella lapide.
Naturalmente tra i “segnati” non vi sono donne. Come non sono nominate tra i discepoli di Gesù, o nelle lapidi dei “morti in guerra”.
Io non ho conosciuto nessuno dei ventuno “segnati”: il capofamiglia era l’anziano del clan e a tale ruolo arrivavi in età avanzata e lo tenevi per breve tempo. Dopo vent’anni il giro era tutto nuovo.
L’edicola qui era detta “figuretta”. E’ l’equivalente locale del veneto Capitello, del lombardo Tabernacolo, o del romano Madonnella. I visitatori sono pregati di segnalare come sono indicate le “edicole” o “cappelline” dalle loro parti. Intendo quelle che si trovano tra i campi, alla confluenza di più strade.
Caro Luigi,
non vorrei sbagliare e confondere termini “domestici” e familiari con quelli comunemente usati da tutti dalle mie parti, nelle campagne nebbiose del Ferrarese, ad ogni modo rispondo alla tua preghiera: le edicole più piccole vengono chiamate “pilastar” o “pilastrin/pilastrell” (anche nelle forme “la Madòna dal pilastrin/la Madòna dal pilastrèll”) e le edicole più grandi “caplìna/caplèta”, cioè cappellina/cappelletta (la caplìna ad Sant’Antoni, la caplèta dla Cros…).
A casa di mia moglie, dove si è sempre parlato in italiano, usavano però anche i termini “edicola” e “capitello”…
In ogni caso, in una terra che ha patito terremoti e alluvioni, nonostante il relativismo e l’apostasia di massa, c’è ancora chi porta un mazzetto di fiori ai tanti pilastrini e pilastrelli che si incontrano lungo i vecchi argini…
Federico la Figuretta dei miei parenti in questi giorni di maggio è tutta infiorata e con due ceri accesi.
Belle usanze, peccato si siano perdute! E’ bello sapere le proprie origini, conoscere le proprie radici . Fare memoria del passato, capire da dove proveniamo e chi furono coloro che ci precedettero i quali sono parte di noi, del nostro patrimonio genetico…
A me manca molto questo aspetto della discedenza: non so cosa cosa darei per sapere che fine fece quell’unica sorella di mio nonno. Non so niente dei miei bisnonni e dei trisavoli se non che erano nativi di Lecce e appartenevano ad una famiglia di farmacisti, o erboristi…so anche che si trasferirono a Roma , in Prati, quando il nonno aveva tre anni e la sorella maggiore 6 e in quella zona di Roma aprirono una grande farmacia. So che entrambi i genitori del nonno morirono giovani e questi due bambini vennero afffidati ad un tutore il quale li mise in un convitto, dove studiarono fino ad una certa età..poi…il buio sulla loro vita. La sorella si trasferì a Mondello; negli anni venti sposò un riccone tedesco, ed ebbe tre figlie. Il babbo ci raccontava di questa bellissima zia con la quale trascorse 5 anni della sua infanzia. Poi, essendo lui figlio unico, dopo la morte del fratello [19 anni, stesso nome del mio fratellino deceduto anche lui tragicamente] tornò a Roma e di loro non ci resta nulla, se non delle foto antiche. La mia famiglia paterna essendo noi tutte donne, è destinata all’estinzione. Per questo sai, Luigi, trovo veramente bello che tu ci abbia parlato della tua storia, e trovo importante risalire la fonte….per sapere…perché quando non si sa, ti resta sempre un non so che di vuoto…. di nostalgia…
Anche i Nazzareno e Nazzarena che conosco io sono tutti con due zeta – pure quelli di nuova generazione – e invano mi sono sempre chiesto perché. Così come mi incuriosisce il fatto che solo con te – sesto di sette figli – si sia rinnovato il nome del nonno: dalle mie parti chi lo fa non va oltre il primogenito!
Andreacs la mia interpretazione è che abbiano rinnovato il nome del nonno solo quando il nonno era morto.
Un amico di Lucca – Giampaolo Violi – mi segnala che a Capannori, Lucca, le edicole sono dette Marginette:
http://www.dovealucca.it/da-vedere/luoghi-ed-itinerari/169-le-pievi-e-le-marginette-del-capannorese
ciao luigi e tutti i suo lettori; segnalo, per curiosità, questo sito dove è possibile creare mappe di tutti i cognomi in italia.
Per “Accatoli” vien fuori questa mappa:
http://www.gens.info/italia/it/turismo-viaggi-e-tradizioni-italia?cognome=accattoli
Dalle mie parti, non troppo distanti dalle tue, le edicole sacre – tutte, indistintamente, a chiunque dedicate – sono dette “Madonnine”.
“Sta su (cioè presso) la Madonnina”, “dopo la Madonnina”, “all’altezza della Madonnina”.
Questo è l’uso.
@Luigi. In bergamasca il dialetto presenta sottili diferenze da paese a paese, in ogni caso mi pare che chiameremmo TREBULINA (E aperta come il numero 3 in italiano e U lombarda o francese) una cappelletta campestre con un piccolo altare su cui poter celebrare la Messa tradizionalmente con le spalle al popolo; MADUNINA (U italiana) invece un’edicola piu’ piccola o anche la sola immagine a muro…
Caro Luigi, noi capitolini abbiamo di che guardare: edicole sacre, o madonelle, ad ogni piè sospinto e di fattura, talune, straordinaria. Ce n’erano assai di più prima che Napoleone ne ordinasse la rimozione. Quella che amo e trovo magnifica -anche se vi campeggia, enorme,l’oscena segnaletica stradale messa dal comune di Roma che nasconde parte della scultura- si trova di fronte la famosa “Fontana di Trevi”. E’ un affresco è del XVIII sec, la Madonna è in un disco a raggi sorretto da due angeli
giganti pronti a spiccare il volo. So che originariamente -secondo gli studi sull’Edilizia Popolare Sacra, avendo come tema “Madonnelle” di Roma e “Capitei” di Venezia, ne giustifica la nascita con queste parole: “Un anonimo cronista del secolo XII, ci fa sapere che all’inizio dello stesso secolo avvenivano, nella città di Venezia -e della Urbe a causa della rete fittissima di vicoli e stradine- delitti, fatti di sangue ed ogni sorta di aggressioni e liti da parte di assassini e malviventi che infestavano le città. Tali fatti
delittuosi accadevano soprattutto nelle Calli del la Bissa, de la Rasse e nei pressi del Ponte di S. Fantin oggi scomparso a seguito
dell’interramento di un rio e che era stato denominato appunto “Ponte degli Assassini”.
Ed ecco che nell’anno 1128, sotto il Doge Domenico Michiel, fu preso il provvedimento di illuminare, anche se in forma assai
rudimentale, le vie della città di Venezia. Stessa cosa per la Urbe. Venne stabilito che soprattutto nei sottoportici, ai piedi dei ponti, nelle svolte delle strette calli, nei campielli più oscuri e nelle rive di approdo più frequentate, venissero accesi dei lumi, detti per la loro fioca luce “CESENDELLI”, quasi a ricordare il tenue chiarore emesso dalle “cicindèlae”, le lucciole. Questo portò i devoti a collocare accanto o sopra i “cesendèli impizadi” delle immagini sacre, affinché ammonisse i malintenzionati. Con il tempo tali altarini, divennero aggetto di devozione e li si adornarono di fiori e di ex-voto. Ad essi dettero il nome di “capitèi”, con quasi certo riferimento alle figure sacre che decorano i capitelli delle colonne e dei pilastri di molte chiese”.
Ai tempi d’oggi, la pioggia, il vento, il sole, l’incuria hanno continuato a erodere questi attestati di
devozione popolare e spirituale della città di Roma e Venezia principalmente. Passando sotto l’edicola sacra presso Porta Latina, incisa su marmo vi è la preghiera:
O voi devoti che – de qui passate
Un – pater e una ave-maria diciate
Per le anime che sono – da questo mondo passate.
Straordinaria anche la bella “Madonnella” tutta bianca, di porcellana, su sfondo azzurro così bene conservata che si può ammirare sull’angolo di Palazzo Chigi con Via dell’Impresa….la guardino bene i politici…si racconta che una volta quella madonella pianse lacrime vere proprio come quella di Siracusa…e ce ne sarebbe di che piangere!!!
😯
Poco fa mia mamma mi telefona dalla chiesa dell’Araceli, è tutta contenta di partecipare al martrimonio religioso della Valeria.
Mi telefona per dirmi che stasera non possiamo vederci.
Partecipo alla gioia della mia mamma,
perchè è cosa buona.
Ma tu Luigi ?
Che sei lì vicino ? 😛
Matteo arrivo ora a Roma, di rientro dalle Marche, e apprendo da te. Temo dunque che l’evento abbia avuto luogo mentre ero lontano, immagino nella galleria del Gran Sasso. Ma ho portato con me del vino recanatese e a cena brinderò agli sposi.
È molto bella la successione dei nomi nelle famiglie.
È sono molto belle le edicole ai crocicchi delle strade. Anche a Roma c’è ne sono molte, non solo quelle antiche in centro, ma anche nelle strade sperdute di periferia che un tempo erano imbrecciate
Scusate le sgrammaticature…è il correttore automatico di iPad che insieme alla mia vista fa dei danni incalcolabili….
Anche da noi, nel Bolognese, le edicole sacre sono dette “pilastrini”. Le più grandi sono semplicemente “cappelline”, mentre per essere “oratori” devono essere delle vere chiesette. Penso che siano casi in cui prevale, anche in italiano, l’uso delle diverse regioni e non ci sia un “vero” termine diffuso in tutt’Italia.
Fra l’altro al mio paese è appena iniziata la settimana delle Rogazioni: siamo uno dei pochi paesi del vicinato in cui ancora vengono fatte queste processioni: ogni sera l’immagine della Madonna viene portata per le strade di un quartiere, e al termine della processione si celebra la messa.
Belle le cappellette e le edicole sacre nelle campagne, alla confluenza delle strade polverose dove l’asfalto c’è ma è un miraggio da anni. Da noi in Calabria si chiamano “crucicéje”, crocicelle. Una di queste, a Sant’Onofrio (VV) il paese di mia madre, ha dato nome ad una contrada intera: “‘A Crucicéja”. La Crocetta, invece, è il valico a 900 metri sull’Appennino che porta la SS 107 da Cosenza verso Paola e che mi tocca fare quando chiudono la Salerno-Reggio. O ancora, sulla Palermo-Catania, la croce messa nello spartitraffico tra due gallerie, a segnalare il valico della “Misericordia”, a 700 metri d’altezza, poco sotto Enna.
E poi, nei paesi, “i tri Crùci”, le tre Croci, a segnalare la fine del paese e metterlo sotto la protezione dei santi. A Sant’Onofrio, poi, le croci che contano sono 4 e furono piantate nel ‘700 da frate Girolamo da Noto, quattro croci miracolose a tutelare il paese e fare miracoli. E la festa della Santa Croce, con la processione a maggio con le Verginelle che nell’abito della Prima Comunione vanno per il paese pregando e cantando le lodi di Maria, poi quella – più grande – l’ultima domenica di settembre con le bancarelle in piazza e le satìzze (le salsicce) della Croce, ricetta speciale solo per quella festa (ora vabbè, si trovano tutto l’anno). Eccola qua, la mia gente, cara gente, dalla fede ingenua e fortissima proprio con le Verginelle per il paese:
http://www.lavocedisantonofrio.net
E poi, ancora, la croce formata da Via Maqueda e Corso Vittorio Emanuele a Palermo, ove “da questo sacro e santo Segno fosse questa città perpetuamente custodita”. Ma già qui siamo nel ‘600, secondo Umberto Eco secolo senz’anima.
Scusate la tirata.
Link diretto alla Santa Croce santonofrese
http://www.lavocedisantonofrio.net/2013/05/santonofrio-la-festa-della-santa-croce.html
Bello tonizzo il tuo squarcio paesano popolato di croci e verginelle.
Grazie, Luigi. E’ questa – mi pare di capire – quella “nobiltà dei campi” di cui si gloriava papa Roncalli. Nel vedere la gente che va per queste strade di campagna fino alla Santa Croce prima del cimitero, tante cose riaffiorano ai ricordi ed è bello che sia così. Spero di non annoiare nessuno, soltanto.
Ho fotografato diverse Madonnine delle mie campagne. Poi mi è venuto in mente di fare una pubblicazione fotografica su tutte le chiese della mia campagna. Da quelle campestri, fino a quelle parrocchiali, delle frazioni.
Tutte custodiscono la storia dei luoghi, non solo religiosa ma anche sociale e civile.
Poi il proposito si è arenato sulle secche della pigrizia e del poco tempo, ma non l’ho ancora abbandonato del tutto.
Lo completerò da vecchio, se ci arrivo. 🙂
Se invecchi presto ti scrivo la prefazione…