“Il Papa confinato” è intitolata un’intervista a Francesco condotta da lontano, con domande inviate per iscritto da Austen Ivereigh, giornalista inglese e suo biografo, e con risposte per video. L’intervista è stata pubblicata ieri dalla rivista inglese “Tablet” e da altre testate. La traduzione italiana l’ha data “La Civiltà Cattolica”. Il titolo “Il Papa confinato” mi ha ricordato una parola detta da Francesco l’8 marzo: “È un po’ strana questa preghiera dell’Angelus di oggi, con il Papa ingabbiato nella Biblioteca”. Confinato e ingabbiato: parole che dicono bene la situazione straordinaria in cui ora si trova il Papa dell’uscita e degli abbracci. Nei commenti riporto alcuni brani dell’intervista e alla fine un mio articolo su uno dei passaggi, pubblicato oggi dal Quotidiano del Sud.
Come vive la pandemia? “Prego di più” risponde il Papa
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Due turni per il pranzo. La Curia cerca di continuare a lavorare, di vivere normalmente, organizzandosi in turni affinché non ci siano mai troppe persone tutte insieme. Una cosa ben pensata. Manteniamo le misure stabilite dalle autorità sanitarie. Qui nella Casa S. Marta sono stati fissati due turni per il pranzo, che aiutano ad attenuare l’afflusso. Ciascuno lavora nel suo ufficio o da casa, con strumenti digitali. Sono tutti al lavoro, nessuno resta in ozio.
Prego di più. Come lo vivo io spiritualmente? Prego di più, perché credo di doverlo fare, e penso alla gente. Mi preoccupa questo: la gente. Pensare alla gente mi unge, mi fa bene, mi sottrae all’egoismo. Ovviamente ho i miei egoismi: il martedì viene il confessore, ed è allora che metto a posto quel genere di cose. Penso alle mie responsabilità attuali e nel dopo che verrà. Quale sarà, in quel dopo, il mio servizio come vescovo di Roma, come capo della Chiesa? Quel dopo ha già cominciato a mostrarsi tragico, doloroso, per questo conviene pensarci fin da adesso. Attraverso il dicastero per lo Sviluppo umano integrale è stata organizzata una commissione che lavora su questo e si riunisce con me.
Accompagnare il popolo di Dio. La mia preoccupazione più grande – almeno, quella che avverto nella preghiera – è come accompagnare il popolo di Dio e stargli più vicino. Questo è il significato della Messa delle sette di mattina in live streaming, seguita da molti che si sentono accompagnati; come pure di alcuni miei interventi e del rito del 27 marzo in piazza S. Pietro. E di un lavoro piuttosto intenso di presenza, attraverso l’Elemosineria apostolica, per accompagnare le situazioni di fame e di malattia. Sto vivendo questo momento con molta incertezza. È un momento di molta inventiva, di creatività.
Tutto attorno all’economia. È vero, alcuni governi hanno preso misure esemplari, con priorità ben definite, per difendere la popolazione. Ma ci stiamo rendendo conto che tutto il nostro pensiero, ci piaccia o non ci piaccia, è strutturato attorno all’economia. Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale. Una politica della cultura dello scarto. Da cima a fondo. Penso per esempio alla selettività prenatale […]. I senzatetto restano senzatetto. Giorni fa ho visto una fotografia, di Las Vegas, in cui erano stati messi in quarantena in un parcheggio. E gli alberghi erano vuoti. Ma un senzatetto non può andare in un albergo. Qui la si vede all’opera, la teoria dello scarto.
Nella crisi un’opportunità. Lei mi chiede della conversione. Ogni crisi è un pericolo, ma è anche un’opportunità. Ed è l’opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione (Laudato si’, 191) e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. Questa è un’opportunità di conversione.
Vedere il povero. E a proposito di contemplazione vorrei soffermarmi su un punto: è il momento di vedere il povero. Gesù ci dice che «i poveri li avete sempre con voi». Ed è vero. È una realtà, non possiamo negarla. Sono nascosti, perché la povertà si vergogna. A Roma, in piena quarantena, un poliziotto ha detto a un uomo: «Non può starsene per strada, deve andare a casa sua». La risposta è stata: «Non ho una casa. Vivo in strada». Scoprire la quantità di persone che si emarginano… e siccome la povertà fa vergognare, non la vediamo. Sono là, gli passiamo accanto, ma non li vediamo. Fanno parte del paesaggio, sono cose. Santa Teresa di Calcutta li ha visti e ha deciso di intraprendere un cammino di conversione. Vedere i poveri significa restituire loro l’umanità. Non sono cose, non sono scarti, sono persone. Non possiamo fare una politica assistenzialistica come con gli animali abbandonati. E invece molte volte i poveri vengono trattati come animali abbandonati. Non possiamo fare una politica assistenzialistica e parziale.
Medici eroi. Penso ai santi della porta accanto in questo momento difficile. Sono eroi! Medici, volontari, religiose, sacerdoti, operatori che svolgono i loro doveri affinché questa società funzioni. Quanti medici e infermieri sono morti! Quanti sacerdoti sono morti! Quante religiose sono morte! In servizio, servendo.
Luogo di metanoia. Quello che stiamo vivendo è un luogo di metanoia, di conversione, e ne abbiamo l’opportunità. Quindi facciamocene carico e andiamo avanti.
Assoluzione generale. Qualche settimana fa mi ha telefonato un vescovo italiano. Afflitto, mi diceva che stava andando da un ospedale all’altro per dare l’assoluzione a tutti quelli che erano all’interno, mettendosi nella hall. Ma dei canonisti che aveva chiamato gli avevano detto di no, che l’assoluzione è permessa soltanto con un contatto diretto. «Padre, che mi può dire?», mi ha domandato quel vescovo. Gli ho detto: «Monsignore, svolga il suo dovere sacerdotale». E il vescovo mi dice: «Grazie, ho capito». Poi ho saputo che impartiva assoluzioni dappertutto. In altre parole, la Chiesa è la libertà dello Spirito in questo momento davanti a una crisi, e non una Chiesa rinchiusa nelle istituzioni. Questo non vuol dire che il diritto canonico sia inutile: serve, sì, aiuta, e per favore usiamolo bene, perché ci fa del bene. Ma l’ultimo canone dice che tutto il diritto canonico ha senso per la salvezza delle anime, ed è qui che ci viene aperta la porta per uscire a portare la consolazione di Dio nei momenti di difficoltà.
Discorsi di Hitler. Nell’intervista c’è anche questo passaggio sui “discorsi populisti”, per il quale il Quotidiano del Sud mi ha chiesto un articolo che ha pubblicato oggi: “Oggi, in Europa, quando si cominciano a sentire discorsi populisti o decisioni politiche di tipo selettivo non è difficile ricordare i discorsi di Hitler nel 1933, più o meno gli stessi che qualche politico fa oggi”. Nei due commenti seguenti riporto per intero il mio articolo.
Mio articolo 1. Francesco torna a paragonare il populismo e le “politiche selettive” al nazismo: lo fa con un’intervista al giornalista britannico Austen Ivereigh, che è anche suo biografo, pubblicata da varie testate tra le quali “Civiltà cattolica”. Stavolta quel paragone lo propone in vista del dopo pandemia: al quale – secondo Bergoglio – dovremmo prepararci progettando una nuova economia, mirando all’unità della famiglia umana e mettendo da parte esclusivismi e sovranismi.
Queste sono le parole in cui richiama il nazismo: “Oggi, in Europa, quando si cominciano a sentire discorsi populisti o decisioni politiche di tipo selettivo non è difficile ricordare i discorsi di Hitler nel 1933, più o meno gli stessi che qualche politico fa oggi”.
E’ almeno la quarta volta che Francesco propone questo paragone, che puntualmente gli procura l’accusa di fare affermazioni generiche, mirate al sostegno di forze politiche di sinistra. E’ vero che il Papa, com’è suo costume, non argomenta compiutamente quell’affermazione, ma essa non è affatto generica se la leggiamo nei contesti in cui la viene formulando.
Mio articolo 2. Interrogato l’agosto scorso dal quotidiano la Stampa precisò che il suo riferimento a Hitler mirava a segnalare la pericolosità del sovranismo in quanto promotore di “isolamento” e ispiratore di slogan del tipo “prima noi”. E ancora: “Il sovranismo è chiusura” ed è “un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre”.
In settembre, di ritorno da un viaggio internazionale, ha aggiunto l’indicazione che i populismi, come il nazismo, “cavalcano le xenofobie”.
Francesco ha proposto quel paragone contundente perlopiù in conversazioni improvvisate, ma c’è stata un’occasione in cui l’ha svolto in modo più puntuale, il novembre scorso, parlando all’Associazione internazionale di diritto penale. Disse che il dilagare oggi della “cultura dello scarto e dell’odio”, favorito da dichiarazioni di responsabili politici, ricorda l’Hitler del ’33 e del ’36, in quanto argomentò – si tratta di “azioni tipiche del nazismo che, con le sue persecuzioni contro gli ebrei, gli zingari, le persone di orientamento omossessuale, rappresenta il modello negativo per eccellenza di cultura dello scarto e dell’odio”.
E’ una fortuna che nell’attuale rimescolamento dei popoli sul pianeta, e anche in vista del dopo pandemia, sia Papa e possa farsi ascoltare da tutti un uomo che viene dal Sud del mondo. Cioè che disponga della più alta autorità morale uno che può porsi del tutto naturalmente ad avvocato degli ultimi. “Degli spogliati”, dice in questa intervista, ovvero dei popoli della fame, dei rifugiati, dei portatori di tutte le povertà.
Grazie per tante importanti informazioni,
https://commentovangelodelgiorno.altervista.org/commento-vangelo-della-veglia-pasquale-della-notte-santa/
Anche Giuseppe Conte in una lettera ad “Avvenire” parla della preghiera:
http://www.governo.it/it/articolo/lettera-avvenire/14454