Riuscirà Francesco? La scommessa della “riforma della Chiesa in uscita missionaria”

 

Sono pieno di idee confuse sulle possibilità di riuscita di papa Francesco nella sua impresa e queste mie idee sono distanti dalle congetture che sento e che leggo. E’ forse il caso che io cerchi di chiarirle dicendole.

Prima mossa: definire l’impresa. L’impresa del papa argentino per me è l’uscita e non questa o quella riforma. E neanche l’intero cesto delle riforme. Quando tengo conferenze su di lui non manca mai la domanda: riuscirà a riformare lo IOR, le finanze, la Curia, il governo accentrato, la diplomazia? Mi ingegno ogni volta a rispondere civettando con il linguaggio dell’interrogante, ma quella domanda non è la mia.

 

Le riforme le farà

ma la missione è un’altra cosa

A mio parere le riforme difficili non sono queste, né l’una o l’altra, né tutte insieme, né altre simili: nomine dei vescovi, conduzione dell’ecumenismo, interventi pubblici della Chiesa, pastorale della famiglia, celibato del clero. La vera scommessa è la “riforma della Chiesa in uscita missionaria” (EG 17). Ovvero l’uscita della Chiesa riformata. Ovvero l’uscita.

Le altre riforme le vedo in funzione di quella e ho fiducia che arriveranno. Ma l’uscita missionaria non dipende da lui, che la può solo indire. Ed è ragionevole attendersi che le Chiese del benessere non lo seguiranno. Egli avverte l’azzardo: “Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20).

Dove le comodità sono grandi – cioè qui da noi, in Europa e nell’America del Nord – è verosimile che la chiamata all’uscita vada incontro alla stessa risposta del “notabile” che interroga Gesù al capitolo 18 di Luca: “Udite le sue parole divenne assai triste perché era molto ricco”. Per seguire il maestro doveva uscire dalle ricchezze: non è una buona parabola per noi?

Le Chiese dell’Europa festeggeranno gli alleggerimenti che viene realizzando il papa dell’uscita. Già li festeggiano. Ma senza avvertire pienamente, mi parrebbe, ch’egli alleggerisce per facilitare l’uscita e non per rendere più confortevole il buon ritiro che tanto ci attira.

Prendiamo l’alleggerimento che provoca più gratitudine e più proteste, ma tutte estranee all’impresa dell’uscita: intendo l’alleggerimento della predicazione che tocca la vita pubblica. I miei amici di sinistra festeggiano briosamente, “finalmente si respira”. Anch’io respiro avendo trattenuto il fiato per una lunga stagione, come attestano i titoli dei testi apparsi per quindici anni in questa rubrica: Dai divieti di entrare in Chiesa alla festa per chi entra (22/2000), Prima la carità e dopo i precetti (2/2001), Le coppie di fatto e l’attesa di una nuova misericordia (20/2005), Ho fatto un incubo su Chiesa e politica (4/2008), La “traversata” di Sorge e io con lui ma non sempre d’accordo (12/20110), L’accanimento medico e i santi che invoco contro di esso (14/2011), In memoria del cardinale Martini e della sua libertà di parola (16/2012).

Presento le credenziali a chi mi conosce da poco per chiarire che condivido il respiro di sollievo quando sento il nuovo segretario della Cei, Nunzio Galantino, annunciare che «un’overdose di interventismo non serve a nessuno, finiamo col mischiare le competenze e non facciamo crescere i laici. C’è bisogno di laici ben formati che si assumano le loro responsabilità, anche sbagliando, e senza cercare la benedizione delle gerarchie, che non mette al riparo dagli errori» (intervista alla Stampa del 2 aprile).

 

Vuole il dialogo

perché si abbia l’annuncio

Ascoltando Galantino batto la mano sulle spalle degli amici di sinistra ma chiedo a me e a loro: “Dell’uscita chi se ne occupa?” Intorno a me quasi nessuno.

I competitors della destra fanno l’operazione speculare al festeggiamento della sinistra, prendono il lutto o mettono su il muso nulla curandosi, anche loro, dell’uscita: “Questo papa svende per quieto vivere un patrimonio di mobilitazione che era l’unica risorsa di una Chiesa in ritirata”, dicono i visitatori del mio blog delusi da Francesco. Non lo svende ma lo ridimensiona quel patrimonio ormai eccessivo, ribatto io. E non per quieto vivere ohibò, ma per l’uscita.

Invano mi affanno a precisare. Le due interpretazioni speculari si confermano a vicenda. “Hai visto come sono agitati quei ciula della destra che non vogliono il dialogo con la società? Se non hanno nemici non sono contenti” dicono i miei vicini. E i competitors: “Hai sentito quei pirla della sinistra che battono le mani giorno e notte alla resa di questo papa piacione che mira all’approvazione mondana?”

Non è un papa piacione ma esigentissimo. Vuole il dialogo perché si abbia l’annuncio. Non cerca il quieto vivere ma una piena concentrazione sullo zelo apostolico. Parla meno delle coppie gay perché non vuole che uno scandalo minore oscuri lo scandalo della croce.

 

Laici e preti

gelosi del tempo libero

Che ne è di me che predico? In che cosa vado realizzando l’uscita? Come andrà a sbattere con la fregola missionaria del papa il mio giudizioso progetto di godermi la pensione?

Nella “Gioia del Vangelo” – suggerisco di chiamare così, in italiano, l’esortazione apostolica, per avvicinarla alla vita – c’è un brano che fa per me, laico di belle parole: “Molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero. Oggi è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni. Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale”.

Ripensando al notabile del Vangelo di Luca che era “molto ricco” invito me e chi mi somiglia a questa riflessione: la nostra ricchezza non è il tempo libero, o personale, come dice questo papa che non rispetta la privacy?

Le riforme, dicevo sopra, papa Bergoglio le farà. IOR, Curia romana, collegialità e altri simili aggiustamenti ormai vengono da sé. Francesco è preparato, è determinato, è libero. Più libero d’ogni papa dell’epoca moderna. Non si lascerà frenare nell’appello all’uscita e in quanto – a suo parere – l’uscita comporta: novità di linguaggio, semplificazione simbolica, vicinanza all’umanità come via per testimoniare il Vangelo, superamento del modello europeo di Chiesa costituita per una configurazione comunitaria più leggera, mirata a raggiungere le periferie e meno preoccupata di difendere le conquiste della vecchia cristianità.

“Ma dovrà tener conto di chi ha difficoltà a seguirlo” dico a me stesso ragionando su quello che vedo. Immagino di sì, ne terrà conto ma non so con quale conclusione. Ci sono queste parole che ebbe a dire al Sinodo del 2001, nella Relatio post disceptationem, che mi assicurano che non si lascerà bloccare dalle divisioni, com’è capitato ai predecessori conciliari, dal Paolo VI del 1967-68 al Benedetto di tutto il Pontificato: “Il vescovo non deve lasciarsi bloccare da una Chiesa talvolta paralizzata dalle proprie tensioni interne. Incarna la vicinanza della Chiesa agli uomini del nostro tempo, nel radicalismo della testimonianza a Gesù Cristo”.

 

Non si farà bloccare

dalle divisioni interne

Bassetti e Capovilla cardinali, Kasper come relatore unico al concistoro straordinario, il don Angelo De Donatis predicatore degli esercizi alla Curia, la Via Crucis affidata a Bregantini, Galantino segretario della CEI e dieci e dieci altre decisioni dai bordi vivi, grandi e piccole, stanno a dire che non si lascerà bloccare dalle polarizzazioni. Egli andrà avanti e il grande traino cigolerà strattonato – viene da pensare al “carro trionfale” del Purgatorio di Dante, canti 29-32 – e sbanderà, poi seguirà. Ma l’uscita è l’uscita e non potrà essere fatta senza gli uscenti.

Ho chiesto a un prete sveglissimo di più di ottant’anni che ho conosciuto ultimamente a Cantù, di nome don Lino, che pensasse del nuovo papa: “Ne sono contentissimo ma mi domando se sarò capace di fare quello che mi chiede quando dice che dobbiamo parlare anche ai più lontani, o quando afferma che la carità mi deve costare”.

Avevo già abbozzato questa puntata e mi ero appuntato questa citazione dal Messaggio per la quaresima: “La quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole”.

Ascoltando don Lino mi sono detto: ecco uno che ha capito il papa. La stessa riflessione l’avevo fatta udendo un taxista verace che subito dopo il Conclave ebbe a rivolgersi così al nostro parroco di Santa Maria ai Monti, mentre sostava al semaforo: “Con ’sto papa don France’ so cavoli vostri”. Avrebbe dovuto dire “nostri” ma i tassinari – come diciamo a Roma – non hanno una buona idea della Chiesa come popolo di Dio e continuano a identificarla con il clero.

 

Ogni volta un gesto

che sappia di uscita

Una terza parola posso citare – e purtroppo sono solo tre in un anno – di una persona che “aveva capito”: uno che mi ascoltava il gennaio scorso a Ischia: “Il papa dice ‘uscite’ ma noi che dovremmo fare per ‘uscire’? Come possiamo ubbidirlo?”

Lo ubbidiamo già un poco se ci poniamo la domanda e se non ci tiriamo fuori dalla sfida e ci ingegniamo a trovare almeno un gesto, ogni volta, che sappia di uscita.

Luigi Accattoli

 

Il Regno attualità 8/2014

Lascia un commento