In presa diretta con la figura di Gesù
L’esperienza di una lettura familiare di Luca
Da tre anni vivo una felicità nuova, che si chiama Pizza e Vangelo: una lettura familiare di Luca, aperta a fidanzati, cugini e amici dei figli, alla quale ho già accennato in questa rubrica. Ne parlo con timore, come di una gioia che non sai se dura. Ma sento di doverne parlarne, perché incrocia l’ansia di tanti che hanno figli e si sentono Debitori del Vangelo ai giovani, come suona il titolo dell’ultima lettera del vescovo di Piacenza, Luciano Monari, uomo sobrio e vigilante.
Sorpresi dalla distanza che i nostri figli e i loro amici stavano mettendo tra sé e Gesù, abbiamo proposto un viaggio nei Vangeli, che è stato accettato. Si fa un tratto di strada ogni quindici giorni, mangiando insieme una pizza e conversando per un paio d’ore.
Il numero degli uditori viene crescendo. “Posso portare il mio ragazzo? Lo dico a un’amica curiosa di quello che facciamo?”
Secolarità montante e ventenni alla deriva
Quando ho preso l’iniziativa scommettevo sulla capacità di attrarre dei Vangeli e ora posso dire che quella scommessa ha trovato conferma. I ventenni che lasciano la pratica religiosa portati dalla secolarità montante, quasi fosse l’alta marea, conservano una curiosità di Cristo che da sola non si manifesta, ma che può essere risvegliata da un’occasione esterna, purchè non l’avvertano come invasiva.
Credo che se inventassimo – in Italia – forme non ecclesiastiche di proposta dei Vangeli, la gente correrebbe. Sogno tavolate sotto gli alberi, dove si mangia qualcosa e si legge la Buona Novella. Ecco il punto: occasioni conviviali, fuori dalle chiese. Forse non è ancora completa la disintossicazione dalla pratica obbligata del passato. Ma di questo un’altra volta.
Il nostro esperimento familiare ha dunque aspetti felici, che attirano i ragazzi e allargano la cerchia. Di ciò non finisco di ringraziare. Che mi ascoltino mentre parlo di Gesù è un dono impagabile e – per esso – sarei disposto a dare molto più di una pizza a testa.
Non manca la fatica. Quella di studiare il testo, inviare e-mail e sms, ordinare le pizze, andarle a prendere, aggiungere frutta e dolci è una fatica leggera che ci prendiamo volentieri io, la mia sposa e i miei figli, aiutati dall’uno o l’altro degli ospiti.
C’è però una fatica meno gradevole e dal risultato più incerto: quella che conduco io per mettere i miei uditori in presa diretta con la figura di Gesù, e quella che durano loro, come a gara e in maggioranza, a sciamare verso ogni questione. Tanto più affascinati – mi pare – quanto più quella curiosità porta lontano.
Gli angeli e i demoni, se ci sono e quanti sono. I profeti che vedono oltre le apparenze: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca”. Ci sono ancora i profeti? E che predicono? Satana il tentatore, i miracoli!
Mi sta venendo il sospetto che i miracoli siano nemici di Cristo. Con la seduzione che esercitano, tendono a dividere l’umanità tra coloro che credono perché vedono i miracoli e coloro che non credono perché non li vedono.
La falsa fede della prima categoria fu denunciata dallo stesso Gesù: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (Giovanni 4, 48). Ma noi oggi siamo alle prese soprattutto con chi non li vede e teme che mai li vedrà.
Miracoli e demoni come pietre d’inciampo
Il miracolo dunque come pietra d’inciampo. Tanta gente seguiva Gesù per vedere i “segni “che faceva. Persino Erode Antipa “sperava di vedere qualche miracolo operato da lui” (Luca 23, 8 ). Ancora oggi, leggendo i Vangeli, i più è lì che si appuntano.
“Non posso credere ai miracoli” dice un ragazzo di 23 anni, che ho tenuto a battesimo e che frequenta le nostre serate. All’ultima lettura su Luca 8 io mi esaltavo in “gioia delirante” – come avrebbe detto la piccola Teresa – per quel rabbi che aveva con sé una cerchia di discepole: Maria, Giovanna, Susanna… Sì, ero felice di poter chiamare per nome le amiche di Gesù! Ma la maggioranza dei ragazzi restava impigliata sui “sette demoni” che “erano usciti” da quella Maria: “come vanno interpretati” e “tu ci credi” e “papà ha visto un esorcismo”.
Spero che un giorno capiremo l’inciampo dei miracoli e delle cacciate dei demoni.
Anche la diatriba con i farisei può essere un intralcio. Così come la passione di Gesù per le parabole. Nell’episodio del fariseo e della peccatrice (Luca 7), che di più non potrei amare, è inserita la parabola dei due debitori e i miei giovani uditori obiettano: chi ha detto che “ama” di più colui al quale è stato “condonato di più”?
Poi Gesù svolge una specie di virtuale diatriba con il fariseo che lo ospita e dice “tu non mi hai dato l’acqua per i piedi” e subito arriva – dai ragazzi – l’obiezione che altrove Gesù rinfaccia l’attaccamento ai riti a un altro fariseo che l’ospita in casa, il quale si era meravigliato a vederlo mettersi a tavola senza aver fatto le “abluzioni prima del pranzo” (Luca 11).
La mia idea di partenza era che bastasse mettere i ragazzi in contatto con i Vangeli, perché scattasse un contagio. Dopo due anni di quindicinale diatriba con una ventina di ventenni, ho realizzato che il fascino lo esercita la figura viva e intera di Gesù e non la pagina evangelica. Ovvero, la pagina ti prende solo dopo che ti ha preso Gesù. Ma per arrivare a toccare Gesù ne dobbiamo fare di strada! Almeno quanta ne facevano i suoi contemporanei, che restavano puntualmente irretiti nei miracoli, nei demoni, nelle diatribe e nelle parabole. E magari nei pani e nei pesci che Gesù moltiplicava per loro. Proprio come i miei ragazzi.
Crederei se vedessi resuscitare un morto
Io fremo in attesa delle pagine in cui Gesù insegna il Padre nostro, o racconta la storia del samaritano, perché sono sedotto dalle sue parole. Ma l’uditore che sta in sospetto nulla si cura di quanto già conosce ed è pronto a scattare come una molla là dove Gesù dice al fico “non nasca mai più frutto da te” (Matteo 21): dunque “anche Gesù maledice”!
Dico ai ragazzi che io credo ai miracoli e mi incanto a vedere Gesù che illumina i ciechi, sana i lebbrosi, risveglia i morti, ma so che sono “segni” e valgono solo per chi ha il cuore puro e l’occhio limpido. Non sono mai argomenti decisivi, prove provate. Nei Vangeli come ai nostri giorni.
Ed ecco una ventisettenne neomamma che assicura: se io vedessi un miracolo con i miei occhi, certo che crederei! Obietto che i miracoli sono segnalati continuamente, anche oggi, a Lourdes e nelle “cause dei santi”.
“Ma sono sempre fatti lontani”, dice lei. E pone le sue condizioni, esattamente come la gente di Nazaret al rabbi girovago, che aveva operato guarigioni a Cafarnao: “Se lo vedessi resuscitare un morto a piazza Venezia, non avrei difficoltà a credere”.
Osservo che i giornali si riempirebbero di opinioni sulle suggestioni collettive e sul coma apparente. La Procura della Repubblica aprirebbe un’inchiesta sul possibile “raggiro”. Testimoni oculari affermerebbero di non aver visto.
Mi seguono – in questa argomentazione – i ragazzi che credono, mentre i dubbiosi insistono: se lo vedo, ci credo!
Ma per fortuna viene il momento – in ognuna delle serate – in cui la parola di Gesù sorprende gli uditori meglio schermati. Quando promette: “Beati voi che ora piangete, perché riderete” (Luca 6, 21). Allora dicono: “Questo sì che non lo trovi da un’altra parte”.
Questa bella umanità non intende la Parola
O quando afferma che “l’uomo buono tira fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore” (Luca 6, 45). Osservo che Gesù qui insegna la possibilità di mutare il cuore da cattivo in buono e gli occhi dei ragazzi trepidano su tale possibilità.
Ma perché l’ascolto è raro? Perché questa bella umanità – io sono incantato dalla bellezza dei miei figli – non intende la parola cristiana? Mi riprometto di chiederne conto al Signore ogni giorno, mentre interrogo Luca versetto per versetto, preparando il cuore per le prossime serate.
A volte faccio quella domanda ai giovani che mi ascoltano in giro per l’Italia. Dany mi risponde così, durante una conferenza a Catena di Villorba (Treviso): “I giovani non ascoltano perché la generazione dei cristiani adulti è triste. Lei stasera ha fatto una proposta gioiosa, ma non capita spesso”.
Non so se è tutta la ragione, ma questa ragione è vera.
Il movimento Noi siamo Chiesa ha cinque bandiere: sacerdozio femminile, celibato ecclesiastico, divorziati risposati, partecipazione alle decisioni, annuncio gioioso. Io credo di non essere insensibile a nessuna di queste richieste, ma condivido totalmente l’ultima.
Perché ha tanto colpito la morte del vescovo Vincenzo Savio, di Belluno, il marzo scorso? Perché è morto di tumore dicendo al mondo: “Io sono senza misura contento di Dio: una meraviglia!” Se ogni cristiano morisse così, in capo a sei mesi l’Italia si convertirebbe.
“Tutti ci fanno la predica! Solo il cardinale Martini ha parlato con entusiasmo di Gesù”: così i miei figli più grandi, Agnese e Valentino, undici anni fa, una sera che erano venuti al mio albergo, a Denver, durante la Giornata mondiale della gioventù, che io seguivo come giornalista.
Cristianesimo gioioso cercasi
Mi domando: come mai non gli è bastato il cardinale Martini? Tutti i miei figli sono stati, o sono, frequentatori di Bose e lì si pratica il cristianesimo gioioso. Perché dunque questa giovane umanità resta sulla difensiva?
Un incoraggiamento a non temere quella difensiva viene dalla parabola del seminatore (Luca 8 ): tre volte su quattro il seme lanciato in ogni direzione non porta frutto, perché cade sulla strada, sulla roccia e tra le spine; ma una parola su quattro cade in “terra buona” e produce frutto. Avanti dunque con la semina.
Luigi Accattoli
Da Il Regno 20/2004