Ho letto il Diario di Bartoletti (1916-1976) con l’emozione che provoca il ritrovamento di un amico, grato ai curatori per aver fornito un testo utile a conoscere un uomo al quale molto dobbiamo. Un vescovo nostro che con il suo “primato dell’evangelizzazione” possiamo collocare in una genealogia ideale del primato del Vangelo che ora Francesco predica con tanta energia. Gli viene – quel primato – dal Vaticano II e da Medellin, ma anche dalla Evangelii nuntiandi (1975) e lì, in quel capitolo, c’è anche Bartoletti che applicando all’Italia il Concilio e il Sinodo del 1974 ebbe a introdurre nei nostri piani pastorali l’idea che per prima va posta l’opera dell’evangelizzazione.
Sono partito con entusiasmo nella lettura del Diario a motivo che Bartoletti un poco l’avevo conosciuto, incontrandolo da vaticanista della Repubblica nascente un paio di volte nella sede della Cei che proprio con la sua segreteria (1972-1976) prese la forma attuale. Sono poi andato avanti con qualche sofferenza a motivo del sentimento drammatico della vita che il Diario trasmette. Ma nel Diario c’è la guerra, la caduta di Mussolini, il passaggio del fronte; c’è il Concilio, ci sono – sullo sfondo – i Sinodi e la CEI, c’è il provvidenziale rapporto con Paolo VI senza il quale Bartoletti, io credo, non sarebbe oggi noto fuori della Toscana: e dunque sono andato avanti e ho concluso che si tratta di è un testo utile a intendere sia l’opera sia la santità dell’uomo.
Questa è una nota del Diario alla data del 26 luglio 1943, avendo egli 27 anni ed essendo un educatore del seminario minore di Firenze: “Mussolini è caduto: ho sentito Iddio attraversare la storia! Fino a ieri sera nessuno ci pensava; e si viveva soltanto sotto l’incubo delle incursioni. Stamani, aria insolita. Ho incontrato il babbo: non ne poteva più dalla gioia […]. Eppure sento la tristezza di un uomo che passa e non mi so capacitare di un avvenimento così travolgente. È proprio Iddio che domina la storia! Un uomo ‘che aveva sempre ragione’; un idolo addirittura, a cui tutti indistintamente mandavano il loro incenso; un semidio, che faceva e disfaceva d’uomini e cose, oggi è il ludibrio di tutti; è un pover’uomo della strada, forse anche meno. Dio è passato! Però la gente non lo sa; e mi fa rabbia essa pure. Non si accorge che il momento è terribilmente grave”.
Si sente in queste parole la ruminazione del Magnificat da parte di uno che aveva studiato al Biblico e il sentimento della storia di Alessandro Manzoni. Nella tristezza per “un uomo che passa” e nella “rabbia” per la gente che festeggia c’è tutta la pietas di una persona rara che ci lasciò prima del compimento dei sessant’anni.
Quello di Bartoletti non è un diario continuato ma si tratta di annotazioni discontinue rintracciate nelle sue agende di lavoro insieme agli appuntamenti e ai promemoria. Fino alla caduta di Mussolini si tratta di riflessioni riguardanti la preghiera, la vita di fede, la conduzione della giornata; ma a partire da quella data prende corpo l’attenzione agli eventi della guerra e – dopo la guerra – ai fatti della società. Si direbbe che l’attenzione alla storia sia il frutto – nel giovane Bartoletti – di quel drammatico “attraversamento” operato da Dio: un’aratura del mondo che questo prete e cristiano così assorto fino ad allora nella cura della vita interiore non cesserà più di scrutare.
11 agosto 1943. “Ascoltiamo i colpi di un bombardamento su Firenze. Queste distruzioni non sono che il simbolo di crolli più vasti. Quale il nostro domani?”
10 settembre 1943. “Una settimana che vale un secolo per la sua drammatica storia. Passaggio di tedeschi; disastro automobilistico alle Filigare e quel ragazzo, che mi è morto fra le braccia; armistizio; povera patria nostra, insultata, divisa, annientata; ma più ancora annientati gli uomini, i nostri uomini, le nostre donne, i nostri soldati. Che incoscienza e che egoismo. Traditori e traditi”.
Per uno che fino al luglio precedente non aveva mai annotato un evento “esterno”, è straordinaria la prontezza nel decifrare quelle tragiche giornate. Dello stesso segno sono le annotazioni sul “terribile bombardamento” del 2 maggio 1944 che rompe “qualche vetro” nelle camerate del seminario. Più forte è la reazione emotiva del Bartoletti ormai rettore del Seminario minore quanto questo viene requisito dai tedeschi: “giornata dolorosa”, “modi inumani degli ufficiali incaricati all’occupazione”, “dolore e anche rabbia da parte mia” (8 giugno 1944).
Seguono tre righe che dicono qualcosa sull’anima di Bartoletti, forte ma inadatta ai conflitti: “Che cosa inumana la guerra, e che malvagità nell’uomo! Non potrò mai dimenticare il dolore di oggi, e la faccia malvagia di coloro che me lo hanno procurato”.
Egli è un uomo di pace e di riflessione chiamato a gestire alte responsabilità in situazioni di forte contrasto non avendo vocazione ad affrontarle e vivendole male, o comunque con grande – forse eccessiva – sofferenza. Qui con i tedeschi, già prima con la conduzione del seminario minore e più tardi di quello maggiore; e nei rapporti con l’arcivescovo Florit (coadiutore del cardinale Dalla Costa dal 1954) a Firenze e con l’arcivescovo Torrini a Luca; e poi in Concilio, nei Sinodi del 1971 e del 1974, alla CEI.
Il conflitto era inevitabile per un lettore di Bernanos e di Mauriac, autore di una tesi di licenza alla Gregoriana su Rosmini, amico di Montini fin dagli anni ’30, legato d’amicizia con le figure più vive del clero fiorentino del primo dopoguerra, subito simpatizzante dell’ala marciante del Vaticano II e vivacemente insofferente della “palude” in esso rappresentata dall’episcopato italiano. Montini lo protegge e lo promuove, da papa lo chiama a ruoli impegnativi: gli affida una relazione sulla situazione della Chiesa da tenere al Sinodo del 1971, lo inserisce come membro di nomina papale nel Consiglio della Segreteria del Sinodo successiva a quell’assemblea, lo fa presidente di una Commissione sulla donna nella Chiesa nel 1973, lo chiama a segretario della CEI nel 1972 e lo conferma in tale incarico nel 1975 ripromettendosi di farlo in futuro presidente. Il Diario ci dice a ogni tappa quanto Bartoletti consenta, come con docilità obbedisca, con quanta forza e sofferenza conduca quelle imprese.
Quando Paolo VI in vista dell’approvazione della legge sull’aborto da parte del Parlamento italiano convoca presso di sè, il pomeriggio del 2 marzo 1976, il cardinale Villot, gli arcivescovi Casaroli, Benelli e Bartoletti, ci è del tutto evidente che quei cinque portano tutti la stessa pena ma diversa è la sofferenza d’ognuno nel portarla e massima quella del nostro uomo: già lo sapevamo dalle testimonianze che si erano avute sull’evento, concordi nell’attribuire a quella consultazione il tracollo di salute di Bartoletti che la notte seguente accusa l’infarto che in tre giorni lo porterà alla morte, il 5 marzo; ma la lettura del Diario ci lascia intuire il prezzo che il nostro ebbe a pagare in simili eventi.
La sua tendenza a somatizzare i contrasti e ad accusare la “cattiveria” degli interlocutori è frequente nel Diario e spesso con toni simili al lamento con cui aveva registrato la “malvagità” dei militari tedeschi che quel giorno si erano impadroniti del “suo” seminario.
“Gli uomini sono più esigenti del buon Dio” annota il 1° luglio 1942 quando sente “il vuoto” intorno a sé a seguito di qualche disapprovazione per una sua “relazione” ai sacerdoti giovani sulla “vita interiore”. “Il mondo e gli uomini sono inconsciamente cattivi” scrive il 21 agosto raccontando di aver “pianto come un bambino” per analoghe “incomprensioni” incontrate nei colleghi educatori del seminario: “Ora studierò gli uomini; li amerò; ma sarò prudente”.
“Molte piccole umiliazioni in questi giorni” è una nota del 20 dicembre 1942. Si rende conto di esagerare nel dare importanza all’approvazione altrui, di cui ha sempre bisogno, ricevendo invece frequenti “umiliazioni”: “Non so sopportarle. Le sento troppo; le accresco forse con la mia fantasia”.
Chi sta studiando le “virtù eroiche” del nostro (la causa di canonizzazione è stata introdotta nel 2007) dovrà prestare attenzione a questo crogiuolo interiore. Egli conduce un lavoro di aggiornamento della formazione sacerdotale a Firenze, della pastorale diocesana a Lucca, dell’intera immagine della Chiesa in Concilio, nei Sinodi e alla CEI, sempre soffrendo nella carne ogni contrasto. Non evita i conflitti ma li patisce come un momento dello scontro tra la grazia e il peccato: “Bernanos è diventato spaventosamente mio” scrive in una lettera dell’11 febbraio 1946 al confratello Mario Lupori, vedendosi contestato come rettore del seminario maggiore di Firenze. Da una nota di Diario del giorno prima sappiamo che stava leggendo il Diario di un parroco di campagna che da qualche mese era tradotto in italiano.
Nell’aggiornamento culturale è tempestivo già da giovane e sempre lo sarà. Nel 1943 Mazzolari pubblica Impegno con Cristo e Bartoletti lo cita nel Diario il 12 agosto di quell’anno.
Le pagine sul Concilio ce lo restituiscono come l’immaginavamo dai suoi testi in materia: entusiasta della “profezia” di Giovanni XXIII, timoroso che il suo “ottimismo”, la sua “fiducia”, la sua “fede” possano essere contraddetto dai “padri” che ha convocato: “Speriamo di non rinnegare, né deludere noi l’atteggiamento di Papa Giovanni” (14 ottobre 1962). Alla stessa data leggiamo un appunto sulla famosa “riunione dei vescovi italiani alla Domus Mariae” che dice da solo le riserve del combattivo Bartoletti rispetto ai confratelli della penisola: “Mi spiace, davvero, il clima in cui ci mettiamo, avallando sempre più i sospetti nei riguardi dell’episcopato straniero e confermando sempre più le nostre false sicurezze e il nostro conformismo”.
Tra tutte le pagine del Diario che ce lo danno come referente di Paolo VI presso il nostro episcopato, la meglio parlante è forse quella del 20 settembre 1975, a un anno dal referendum sul divorzio e quando già prendono piede le resistenze di tanti al suo progetto in vista del convegno “Evangelizzazione e promozione umana” che si terrà dopo la sua morte: “L’udienza di oggi è stata per me una grazia del Signore, attesa con sofferenza, ricevuta con intima gioia e profonda commozione. Il Papa, quasi rispondendo ai miei dubbi e insicurezze interiori, mi ha confermato il suo mandato e la sua fiducia, approvando quanto ho potuto fare nella difficile situazione italiana ed esortandomi a continuare col suo pieno appoggio”.
Va letto questo Diario. Per conoscere di che lacrime grondi il cammino pur cautissimo della nostra Chiesa. L’autentico martirio che esso – apparso insufficiente ai più – è costato a uomini come Bartoletti. Egli è forse colui che più ne ha sofferto. Altri che hanno vissuto lo stesso supplizio – da Lercaro a Pellegrino, da Ballestrero a Martini, per mantenerci nella sfera gerarchica – erano però dotati di migliore corazza, meno esposti psicologicamente ai colpi della fortuna. “Colpi di Dio” li chiama addirittura Bartoletti alla data 11 febbraio 1946.
Ma la ragione più forte per leggere il Diario è in un fatto che in esso non è mai nominato: cioè – come dicevo all’inizio – nel fatto che Bartoletti è il geniale promotore della scelta per l’evangelizzazione ed è il creatore della formula “primato dell’evangelizzazione” che ora vive una stagione piena nella predicazione di Papa Francesco. Il Diario ci dice l’humus, il terreno di coltura nel quale quella scelta – qui da noi – è germogliata, ha attecchito e ha portato frutto.
Appena arrivato a Roma per la Cei (siamo all’inizio del settembre del 1972) Bartoletti si impegna perché il piano pastorale votato dall’assemblea dei vescovi il giugno precedente muti nome e ci riesce: non sarà più “Sacramenti e catechesi”, ma “Evangelizzazione e sacramenti”, da cui poi germinerà l’altro: “Evangelizzazione e promozione umana”.
Un’opera – la sua – di aggiornamento culturale e pastorale della Cei che il cardinale Martini – ricordando Bartoletti al clero di Firenze nel 1980 – qualificherà come “traghettamento della Chiesa italiana sulla sponda del Vaticano II”. Un passaggio – per dirla con un testo bartolettiano – “da una Chiesa di praticanti a una Chiesa di credenti, da un cristianesimo di tradizione a un cristianesimo di convinzione e di testimonianza”.
Termino con le parole calde con le quali don Pietro Gianneschi, che fu segretario di Bartoletti a Lucca e a Roma, ha presentato a metà dicembre il Diario del suo “vescovo” a San Donato di Calenzano, Firenze, paese natale di Bartoletti:
“Non ho mai parlato di un avvenimento che porto nel cuore e che si svolse il martedì 2 marzo 1976. Il vescovo aveva partecipato a un incontro con Paolo VI e i suoi più diretti collaboratori: il cardinale Villot e gli arcivescovi Casaroli e Benelli. Argomento della riunione il referendum sull’aborto. Durante la cena non disse neanche una parola, tanto era stanco e stressato. Poi dicemmo il Rosario e la Compieta. Al momento di salutarci, mi mise la mano sulla spalla e mi chiese di andare nel suo studio. Dalle 21 alle 23,30 si svolse il più coinvolgente e profondo colloquio tra il vescovo e me. Mi parlò dell’incontro avuto e di come Paolo VI avesse dato il massimo di importanza e accolto quanto da lui suggerito in ordine all’atteggiamento pastorale della Chiesa italiana circa i problemi riguardanti l’aborto. Entrò poi a parlarmi di se stesso; dell’intenso lavoro che caratterizzava la sua vita; delle voci che si stavano diffondendo su una sua nomina ad arcivescovo di Firenze o ad altre importanti cariche. Ma il colloquio si estese anche ad altri aspetti della sua vita, compresa la malferma salute che in quei mesi si era aggravata. Ma quello che soprattutto mi colpì furono le parole con cui ribadì che a lui interessava soltanto l’abbandono filiale alla volontà del Padre. Io pure manifestai quello che c’era nel mio cuore con una completa apertura. Poi ci salutammo, affidandoci al Signore. Alle due di notte le suore per prime sentirono i suoi lamenti: era in preda a una grave crisi, che fu poi precisata in un edema polmonare e in un infarto”.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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ENRICO BARTOLETTI, In spe fortitudo. Diario spirituale 1933-1975, EDB 213, pp. 204, euro18,50.
Il Regno 2/2014, pp. 27-29