I miei quarant’anni al “Regno” e la sua spinta ad andare al largo

 

Compio 41 anni di “Regno”. Volevo intrecciare qualche scherzo su questa esagerazione l’anno scorso, ma 40 anni mi parevano troppi e ho aspettato i 41.

Inizio a collaborare con un articolo non firmato che esce sul numero di aprile del 1973 riguardante le elezioni in Cile, le ultime prima del golpe dell’11 settembre di quell’anno. Il primo pezzo firmato esce in maggio: “Dove va Gioventù aclista”. Mi avevano mandato a Montesilvano, Pescara, a seguire il congresso di quell’associazione. Al congresso ACLI di Cagliari dell’aprile dell’anno prima – dov’ero per la FUCI – avevo incontrato il padre Alfio Filippi che mi aveva proposto di collaborare al “Regno”.

 

Un migliaio di articoli

si salvi chi può

Avevo 29 anni, stavo per sposarmi, era il mio primo lavoro dopo un decennio di occupazioni precarie. Da allora a oggi ho scritto per il “Regno” un migliaio di articoli. Sta scritto in Matteo, al capitolo 12: “Di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio”. Confido nello sconto dei grandi numeri.

Per il “Corriere della Sera” in trentatré anni ne ho scritti di più, forse cinquemila e più tribolati e più pagati. Ma quelli del “Regno” contano di più. Senza di essi non sarei andato né alla “Repubblica” nel 1975, né al “Corriere della Sera” nel 1981. Ma è soprattutto la qualità del lavoro al “Regno” che non è paragonabile a quella di un quotidiano.

Ricordo quando gli articoli li spedivo per espresso o quando – nei casi di emergenza – veniva un dehoniano della comunità romana di Cristo Re, piccolo e bianco di capelli, Serafino Suardi, a prendere i fogli dalla macchina da scrivere e correva al treno per portarli a Bologna. Serafino amava viaggiare e i confratelli l’impiegavano come messo redazionale. Lo ricordo seduto accanto a me, nella redazione open space di “Repubblica”, che aspetta che io finisca di battere il pezzo: al rientro della prima visita di papa Wojtyla in Polonia (10 giugno 1979) e al rientro dalla prima in Brasile (12 luglio 1980).

Facevano così, in casi straordinari, anche i redattori della “Rocca” di Assisi, alla quale pure ho collaborato negli anni a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80. Racconto queste avventure da posta degli incas per aiutare i lettori giovani a farsi un’idea di come fino a ieri si correva di qua e di là con grande impegno per imprese che oggi si fanno cliccando.

Il progresso soccorse i corridori. Nei primi anni ’80 gli articoli li mandavo per telescrivente dalle Poste centrali di piazza San Silvestro, poi per fax da quello stesso ufficio: “E’ arrivato ma non si legge niente”. Infine con il fax da casa, che comprai nel 1989. E ormai, da più di tre lustri, per e-mail.

Dicevo che il primo articolo riguardava l’America Latina, argomento che ricorreva e ricorre con continuità sul “Regno”, ma allora più di oggi. Nel tempo della mia presenza in redazione (dalla primavera del 1973 all’inverno del 1975) ebbi a occuparmi dell’Argentina, del Brasile, del Cile; di una pubblicazione su “La lingua come veicolo di neocolonialismo” tra i nativi, del movimento indigenista. Fu una notizia di cui scrivere il fatto che Helder Camara sarebbe venuto al Sinodo del 1974, quello da cui uscì la Evangelii nuntiandi, dalla quale è venuta la Evangelii Gaudium.

In Italia il mio pascolo erano le Comunità di base e i Cristiani per il socialismo che tennero un convegno a Bologna dal 21 al 23 settembre 1973, cioè nei giorni di fuoco del golpe cileno. Simpatizzavo ed ebbi in casa alcuni di loro. Alla fine di quell’anno ci fu a Lione un’Assemblea internazionale dei “Cristiani critici”: fu la mia prima trasferta fuori d’Italia e scoprii che nell’Europa di sinistra noi italiani eravamo guardati con ammirazione, pensa tu. I preti operai, i cattolici del no nel referendum sul divorzio, il dibattito sull’aborto, i cattolici democratici (andando ai loro convegni conobbi Achille Ardigò e divenimmo fratelli), il “7 novembre” e “febbraio 74”: c’era una fretta che si esprimeva per date. “Com” e “Nuovi Tempi” che si fondevano in “Com-Nuovi Tempi” che poi diventerà “Confronti”.

 

A “Settegiorni” ero stato

il vice di Magister

Gran fermento a sinistra e qualcosa che si muove anche a destra: dieci intellettuali scrivono a Paolo VI per chiedergli “iniziative chiarificatrici” nei confronti dell’altra sponda della Chiesa italiana. Tra le firme: Sergio Cotta, Augusto del Noce, Gabrio Lombardi. Me ne venne un colloquio agitato con Cotta che avevo conosciuto alla Sapienza in margine alle occupazioni del ’68. “Si va a una nuova visione di Chiesa” facevo io e lui: “Qui tutti che hanno visioni”.

La Dc di Moro e di Zaccagnini che ripensa l’ispirazione cristiana. Il 1° marzo 1975 a Bologna si fa un convegno di area cattolica sul PCI e io intervengo e la rivista pubblica il mio testo che faceva gran conto di qualcosa che aveva detto poco prima Giorgio Napolitano sulla tendenza “a restringere l’area del nostro impegno a fatti meramente economici e meramente politici”. L’avanzata delle sinistre nelle amministrative del 1975 e il nuovo collateralismo di CL: andai a Milano a intervistare il giovane Formigoni.

La chiusura di “Settegiorni” (7 luglio 1974), che era stata anche una mia testata. Ho imparato molto conversando con Piero Pratesi e con Ruggero Orfei che erano vicedirettore e direttore del settimanale. Ero stato in esso qualcosa come il vice del vaticanista Sandro Magister. La pubblicazione del “Diario” di Mazzolari da parte della EDB: avevo dato una mano ad Aldo Bergamaschi nella sistemazione di quelle carte e infine lo commentavo. Andai più volte a Roma per il convegno del febbraio ’74 detto dei “mali di Roma” e in quelle andate conobbi Luigi di Liegro, Luciano Tavazza, Giuseppe De Rita, Clemente Riva. A Roma ci tornai per il tribolato Anno santo 1975, la Fuci e i Laureati cattolici tribolati anche loro ma miei orti di provenienza. Andavo ai convegni e li narravo giudiziosamente.

 

Tieni gli occhi aperti

ma non t’imbambolare

In una redazione si fa di tutto ed eccomi a recensire le Settimane sociali dei cattolici francesi in crisi conclamata, il dialogo tra Chiesa Cattolica e Chiesa ortodossa russa, contrasti all’interno della comunità cattolica del Vietnam. Il “Programma per combattere il razzismo” del Cec, Kueng sotto processo al Sant’Uffizio. Un rapporto di Gheddo a Silvestrini sul Vietnam. Il Portogallo che esce dalla dittatura e il Mozambico che festeggia la fine della dominazione portoghese. La nascita della sezione italiana di Amnesty International.

Una carrellata sugli articoli da me scritti per il “Regno” negli anni 1973-1975 mi era necessaria per recuperare un’immagine concreta degli argomenti di cui ebbi a occuparmi allora. Il “Regno” mi spingeva, o io spingevo il “Regno” a dare attenzione a ogni gruppuscolo ecclesiale. La scuola del “Regno” è questa: tenere gli occhi aperti anche a rischio di qualche imbambolamento. Ma per fortuna la rivista mi spingeva anche a guardare più ampiamente e andare al largo. Una spinta che poi sarebbe continuata con le trasferte dei quotidiani.

Con “Repubblica” fui l’unico inviato di un giornale laico che seguì la Conferenza di Puebla per le tre settimane in cui si svolse (26 gennaio-14 febbraio del 1979) e parlai con Romero e Camara, con Lopez Trujillo e con Castrillon Hoyos. Per il “Corriere della Sera” nel giugno del 1988 andai una settimana a Mosca e a Zagorsk per le celebrazioni del Millennio della Santa Rus’ e fui nella sala del Cremlino dove Casaroli incontrò Gorbaciov. E’ stata la veduta ampia del “Regno” a prepararmi ai papi che sono venuti da lontano e a farmi sentire per tempo il vento dell’America Latina che ci ha portato la primavera bergogliana.

 

Ho raccontato

i viaggi dei miei papi

A Puebla c’erano anche il padre Sorge e il padre Bergoglio ma non si conoscevano. In quell’occasione e in altre successive il buon Bartolomeo sentì giudizi severissimi su Bergoglio da parte dei confratelli latino-americani. Di rumori simili mi ha parlato ultimamente il centenario Arturo Paoli che fu in Argentina negli anni ‘60 e ’70: quel Bergoglio provinciale dei gesuiti che frenò la politicizzazione dei confratelli si fece cattiva stampa. Del resto anche il Sorge di quegli anni era guardato come un reazionario dai nostri cristianucci “per il socialismo”.

Ho narrato per il “Regno” l’ultimo viaggio di Paolo VI (a Pescara per il Congresso eucaristico del settembre del 1977), quasi tutti quelli di Giovanni Paolo e di Benedetto ed è sulla base di quei lavori che sono nati i miei libri e libretti sui papi fino a quello appena uscito su Francesco. Il “Regno” ti provoca ad ampliare la veduta tenendoti aggrappato ai fatti come il marinaio all’albero. Gli devo l’apprendimento di questo esercizio.

Ma gli devo molto di più. Credo di avere avuto dal “Regno” una fortuna che non ho meritato: di disporre di questo spazio mensile libero che ha ormai 14 anni. La rubrica nacque nel duemila da un libretto EDB intitolato Io non mi vergogno del Vangelo che ha avuto dieci ristampe e che aveva un taglio di narrazione della quotidianità. La direzione mi chiese di continuare sulla rivista l’esplorazione di quel volumetto.

 

Questa rubrica è il luogo

dove sono più io

Questa rubrica è il luogo dove sono più io. Solo il blog la pareggia in libertà ma il blog sottostà alla tirannia della quotidianità e allo strattonamento dei visitatori. Nonché alla superstizione della brevità. Moltiplica gli stimoli, amplia i contatti, ma a modo suo anch’esso ti porta dove non vuoi, per la velocità del botta e risposta, per l’impensabile reazione di destinatari sconosciuti.

In queste due pagine invece sono sicuro di me, oltre che libero. Scelgo l’argomento. Se lo spazio non mi basta, ci torno il mese dopo. Ho il tempo per scegliere gli aggettivi, come dice il direttore Brunelli.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

 

Da Il Regno attualità 6/2014

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