“E’ un papa che non sa comunicare”. Non è vero, comunica benissimo come ha mostrato nella giornata milanese del 25 marzo o nella visita al Centro per ciechi del 31 marzo. Ma è vero che comunica in modo diverso dai predecessori e questa diversità è buona.
“Contrariamente al sorriso di cui a ogni udienza si maschera ha un carattere aspro”. E’ vero che ha un carattere aspro, non è vero che si maschera di sorriso. Ambedue le facce sono autentiche, mirate a due diverse umanità. Il carattere aspro l’aiuta a combattere le molte resistenze.
“Non si interessa alla Chiesa
ma al futuro della terra”
“Non richiama i valori non negoziabili e intanto vengono approvate leggi disumane”. Sarebbero approvate comunque, come mostrano le leggi varate in tutto il mondo sotto Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI che martellavano sui valori. L’Argentina del cardinale Bergoglio ha avuto – tra le sue proteste – il matrimonio gay e l’eutanasia. La scelta di mutare linea, fatta dal Conclave e interpretata da Francesco, è epocale e viene dalla presa d’atto della piena esperienza dell’altra strada.
Sono tre obiezioni di Giuseppe Rusconi e tre mie risposte. Discutiamo pubblicamente di Francesco da gennaio, in privato da ottobre. Miriamo alla reciproca comprensione tra sostenitori e oppositori del papa argentino. Riteniamo che siano possibili passi di avvicinamento. Già ho riferito qui dei nostri dibattiti il mese scorso. Racconto ora l’ultimo confronto avvenuto nella mia parrocchia romana il 13 marzo, anniversario dell’elezione di Francesco.
Rusconi ha affermato che Bergoglio “è stato eletto papa della Chiesa Cattolica ma considera poco la Chiesa”, preferendo occuparsi piuttosto del “mondo”. “Spesso polemizza con i dottori della legge e facendo questo mortifica tutti coloro che vorrebbero attenersi alle norme della dottrina sociale cattolica”. “Dovrebbe essere guida della Chiesa ma non lo è”, e di conseguenza abbiamo “un magistero papale fluido e una Chiesa fluida, che corrispondono pienamente allo spirito dei tempi che stiamo attraversando”.
Credo invece che Francesco lo sia, guida della Chiesa, con mano ferma e vita austera, con il continuo richiamo al combattimento spirituale contro la tentazione della mondanità. La sua è una guida al cambiamento reso necessario dalla situazione di crisi del cristianesimo mondiale e in particolare europeo. La polemica con i dottori della legge è in funzione di quel cambiamento che alcuni “dottori” osteggiano. Che consideri poco la Chiesa è affermazione bizzarra: di che si occupa quando nomina i vescovi, riforma la Curia, aggiorna il diritto e la pastorale della famiglia?
Per avvalorare l’affermazione che il papa si occupa più del mondo che della Chiesa il mio interlocutore ha citato un’affermazione di Leonardo Boff: “Il centro del suo interesse non è più la Chiesa ma la sopravvivenza dell’umanità, il futuro della terra” (intervista del 25 dicembre 2016 al Kölner Stadt-Anzeiger). Ho contestato più del necessario il ricorso alle affermazioni boffiane e Giuseppe l’ha difeso con sovrabbondanza e il dibattito su questo elemento secondario è lievitato nella serata in parrocchia, ma anche qui ne debbo fare parola per segnalare un metodo di guerriglia antibergogliana che reputo rivelatore.
Per la guerriglia antibergoglio
ogni argomento è buono
Ho respinto come inappropriata la chiamata di Boff a testimone delle intenzioni papali. Ho detto: “Sarebbe come interpretare Dante sulla base di quello che ne dice Cecco Angiolieri invece che leggendo la Divina Commedia”. Il riferimento era al sonetto del procace Cecco che dice “Dante Alighier, s’i’ so’ bon begolardo, / tu mi tien’ bene la lancia alle reni”. Dicevo che per interpretare il pontificato bergogliano abbiamo due encicliche, due esortazioni, un migliaio di omelie, una ventina di decisioni riformatrici: che senso ha ricorrere a una battuta del loquace Boff, che appartiene alla corrente marxisteggiante della “Teologia della liberazione” che il gesuita e arcivescovo Bergoglio ha sempre combattuto?
Rusconi replicava moltiplicando le ragioni dell’attendibilità delle parole di Boff: è “grande amico” di Bergoglio “da lungo tempo”, hanno “scritto insieme” alcune parti dell’enciclica sull’ecologia. “Boff collaborava con il cardinale Bergoglio già ad Aparecida nel 2007”.
Conoscevo le rivendicazioni di Boff sul ruolo avuto nella preparazione dell’enciclica ecologica (nell’intervista citata afferma che mandò al papa del materiale e si dice convinto che il papa l’abbia utilizzato), ma non avevo mai sentito nulla della “collaborazione” ad Aparecida. Ho chiesto in giro ai colleghi che meglio conoscono la biografia dei due e nessuno mi ha saputo dire. Ho chiesto a Rusconi la fonte di quell’affermazione e mi ha risposto “penso fosse in un convegno teologico”: a papa fluido, vaticanisti gassosi?
Per la guerriglia antibergogliana ogni argomento vale: ha la veste trasparente, non nomina Cristo. E’ constatazione che ho ripetuto più volte in questa rubrica. Riconosco che non è il modo di procedere abituale del mio interlocutore. Mi ritengo fortunato d’avere a che fare con il suo metodo razionale. Ma la verifica delle singole affermazioni la rivendico e non solo per i convegni che si tengono ad Aparecida, ma anche per la “lista di insulti” del papa ai cattolici, alla quale Giuseppe è ricorso nei tre nostri dibattiti.
Quando Montini richiamava
“i nostri figli inquieti di certi gruppi”
E’ quella geremiade che inizia con “vecchie comari, sgranarosari” che i siti piagnoni si palleggiano nelle ore di allenamento. Ho chiesto a Rusconi di indicarmi la fonte dei singoli insulti, deciso a studiarne la verità: se cioè davvero si trattasse di insulti. Mi ha detto che non aveva il tempo per la ricerca delle fonti. Ho provato io e qualche testo l’ho trovato ed è lampante che di insulto non c’è neanche l’ombra. Do conto di due: “cristiani di pasticceria” e “facce da peperoncino in aceto”.
Francesco usò l’espressione cristiani di pasticceria ad Assisi il 4 ottobre 2013: “Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, con belle torte, con belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero”. Il papa stava dicendo che togliere la croce dal kerigma vuol dire falsare il cristianesimo: chi dovrebbe sentirsi insultato?
“Faccia da peperoncino all’aceto” ricorre più volte tra i testi papali, la prima volta nell’omelia al Santa Marta del 10 maggio 2013: “A volte, alcuni cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncino all’aceto che di gioiosi che hanno una vita bella”. La critica ai cristiani che trasmettono malinconia è frequente in scrittori, vescovi e Papi del nostro tempo, ma già in santi e maestri spirituali del passato: e perché costituirebbe un’offesa?
Per questo come per altri “insulti” Rusconi potrebbe obiettare che con tale espressione Francesco intenda rivolgersi ai cultori della tradizione. Il contesto che ho richiamato non autorizza tale interpretazione, ma se anche fosse, sarebbe proibito a un papa muovere quel rimprovero? Potrei citare il Paolo VI dell’esortazione “Gaudete in Domino” (1975) dove invita “i nostri figli inquieti di certi gruppi” a respingere “gli eccessi della critica sistematica e disgregatrice” e a “impegnarsi risolutamente a discernere l’aspetto positivo delle persone e degli avvenimenti”. Ciò che poteva Montini sarebbe negato a Bergoglio?
Cristiani intesi ai principi
contro quelli rivolti al mistero
Più importante degli “insulti” è la questione dei valori non negoziabili. Su di essa Rusconi e io abbiamo messo a fuoco, in parrocchia, il punto chiave: in quale posizione essi debbano essere posti rispetto al kerigma. Cioè la loro proposta rispetto a quella del mistero centrale della fede: incarnazione, passione, morte, risurrezione di Gesù il Cristo.
“Francesco – avevo detto io in risposta a una domanda del pubblico – riduce l’insistenza su quei principi non perché non gli stiano a cuore ma perché vuole che in primo piano venga il kerigma: tutto il resto deve avere un ruolo secondario”.
Rusconi: “I principi non negoziabili non sono secondari”.
Io: “Non ho detto che il papa li considera secondari come problemi, ho detto che li vuole secondari rispetto al kerigma”.
Rusconi: “Sono fondamentali allo stesso modo”.
Ecco il punto: nella nostra modestia Rusconi e io rappresentiamo i due fronti dei cristiani intesi ai principi e di quelli rivolti ai misteri. Sono ragioni forti che ci dividono. Riusciamo a dialogare perché ci conosciamo e lui sa che a me non sono estranei i valori e io riconosco che lui coltiva il mistero. Ma non ci fosse questa buona conoscenza dell’altro, la demonizzazione reciproca sarebbe a portata delle nostre linguacce combattive.
Sempre in forza del reciproco rispetto Giuseppe e io riusciamo ad abbozzare una partita doppia di riconoscimenti, essenziale perché il dialogo abbia un senso.
Partita doppia
e reciproco rispetto
Io riconosco che Francesco ha i suoi limiti di carattere e di comunicazione, che potrebbe badare di più alle parole che usa, che la sua audacia apostolica presenta dei rischi, che la velocità con cui opera e lo scarso utilizzo dello staff gli garantiscono libertà ma espongono all’avventura le sue decisioni più solitarie.
Rusconi gli riconosce lo slancio verso i poveri, che la Chiesa ha sempre avuto ma che questo papa propone come elemento della vita quotidiana; la costante denuncia della cultura dello scarto; una certa capacità d’iniziativa nei rapporti internazionali e una qualche facilità personale di contatto con i leaders mondiali.
Partita doppia e reciproco rispetto sono alla base del nostro dibattito. Che va avanti e sul quale tornerò.
Luigi Accattoli
Il Regno 8/2017